Jacopo in questo incontro con il Parini porta a maturazione il suo dramma interiore ed elabora forse ancora inconsapevolmente la decisione del suicidio, in quanto ritiene preclusa ogni via all'azione. Parini è la coscienza storica dei mali dell'Italia. La dominazione francese non ha certo mutato il clima politico e culturale del nostro Paese: domina la viltà, la scarsa considerazione per la virtù e la generosità.
Se Jacopo decidesse di unirsi ad altri patrioti per tentare di recuperare la libertà del Veneto fallirebbe sia per l'impossibilità storica di realizzare i suoi piani, sia perché snaturerebbe il senso della sua missione tra gli uomini. Egli è eroe generoso ed invece – operando clandestinamente – dovrebbe adottare la violenza, di cui tutti i dominatori si servono per la conservazione del potere. Ripensando al Principe di Machiavelli – che ricordava come il potere si accompagna spesso alla sopraffazione ed al sangue – ed al Trattato della tirannide di Alfieri, Parini esorta Jacopo a non cedere alla tentazione di esercitare – a sua volta – il potere cieco e sanguinario del tiranno. Il discorso non è strettamente legato alla contingenza dei fatti storici, ma è molto suggestivo nel richiamare due chiari modelli di azione:
– Parini è il letterato che racchiude nella sua coscienza pura e generosa il dolore per i mali della patria. E' religioso non crede al suicidio, teme ogni compromesso col potere, è l'intellettuale moderato che detesta la violenza, la quale snatura tutto ciò che di meglio l'uomo possiede.
– Jacopo è invece uomo di azione, teso al superamento di una prova estrema; vive una disperazione totale a cui tenta di sottrarsi con slancio generoso. Vuol lasciare una testimonianza eroica di sé e, mancando la prova, sceglie la via del suicidio. Aderisce ancora al materialismo pessimistico che abbandonerà solo nei Sepolcri.
Jer sera dunque io passeggiava con quel vecchio venerando nel sobborgo orientale della città sotto un boschetto di tigli. Egli si sosteneva da una parte sul mio braccio, dall'altra sul suo bastone: e talora guardava gli storpj suoi piedi, e poi senza dire parola volgevasi a me, quasi si dolesse di quella sua infermità, e mi ringraziasse della pazienza con la quale io lo accompagnava. S'assise sopra uno di que' sedili ed io con lui: il suo servo ci stava poco discosto.
L'INCONTRO CON IL PARINI
Percezione della sua fisica debolezza di Parini rispetto per la persona anziana e per la sua austerità, riserbo, compostezza nell'osservarlo.
Il Parini è il personaggio più dignitoso e più eloquente ch'io m'abbia mai conosciuto; e d'altronde
un profondo, generoso, meditato dolore a chi non dà somma eloquenza? Mi parlò a lungo della sua patria, e fremeva e per le antiche tirannidi e per la nuova licenza. Le lettere prostituite; tutte le passioni languenti e degenerate in una indolente vilissima corruzione: non più la sacra ospitalità, non la benevolenza, non più l'amore figliale – e poi mi tesseva gli annali recenti, e i delitti di tanti uomiciattoli ch'io degnerei di nominare, se le loro scelleraggini mostrassero il vigore d'animo, non dirò di Silla e di Catilina, ma di quegli animosi masnadieri che affrontano il misfatto quantunque e' si vedano presso il patibolo – ma ladroncelli, tremanti, saccenti – più onesto insomma è tacerne.
RITRATTO PSICOLOGICO DEL PARINI
Si ha qui la definizione del modello ideale di poeta civilmente impegnato, consapevole del dramma italiano. E' il letterato (l'intellettuale si direbbe modernamente) che rispecchia criticamente la sofferta presa di coscienza della situazione italiana e vive interiormente il dramma della mancata libertà della patria. Egli richiama emblematicamente gli ideali di Vittorio Alfieri. Rievoca con Jacopo i mali passati e presenti della terra lombarda, segnata da molte dominazioni straniere. Il suo è soprattutto un giudizio negativo sulla povertà culturale, sulla bassezza e degradazione morale degli italiani, sulla loro viltà che li porta a sfruttare la protezione del più forte: ora in particolare la presenza di Napoleone e dei Francesi.
– A quelle parole io m'infiammava di un sovrumano furore, e sorgeva gridando: Ché non si tenta? morremo? ma frutterà dal nostro sangue il vendicatore. – Egli mi guardò attonito: gli occhi miei in quel dubbio chiarore scintillavano spaventosi, e il mio dimesso e pallido aspetto si rialzò con aria minaccevole – io taceva, ma si sentiva ancora un fremito rumoreggiare cupamente dentro il mio petto. E ripresi: Non avremo salute mai? ah se gli uomini si conducessero sempre al fianco la morte, non servirebbero sì vilmente. –
ATTEGGIAMENTO DI JACOPO
Fierezza, spirito di ribellione, protesta. Jacopo si propone come l'eroe tragico alfieriano pronto ad agire per tentare la libertà della patria. Nelle parole del protagonista emergono tutta l'esasperazione e la tensione drammatica legata al presente, il rifiuto di accettare ogni mediazione moderata, la voglia di riscatto, la ricerca della prova (l'azione militare), lo spirito di rivolta e di sacrificio.
Qui emerge tutto l'utopismo alfieriano che Jacopo interpreta e ripropone come un modello d'azione.
Il Parini non apria bocca; ma stringendomi il braccio, mi guardava ogni ora più fisso. Poi mi trasse, come accennandomi perch'io tornassi a sedermi: E pensi, tu, proruppe, che s'io discernessi un barlume di libertà, mi perderei ad onta della mia inferma vecchiaia in questi vani lamenti? o giovine degno di patria più grata! se non puoi spegnere quel tuo ardore fatale, ché non lo volgi ad altre passioni?
PARINI E' UOMO MODERATO.
Egli ha il compito di frenare lo spirito ribelle di Jacopo, che non approva nei suoi eccessi
Ha coscienza profonda dei mali dell'Italia e della loro irrevocabilità. Anche Parini vuole la libertà della sua terra ma è pessimista sulla possibilità di raggiungere qualche risultato con la forza.
E' testimonianza del dramma di un'intera generazione che spegne le residue velleità del giovane.
Egli sorrise mestamente; e poiché s'accorse che la mia voce infiochiva, e i miei sguardi si abbassavano immoti sul suolo, ricominciò.
Parini si accinge a smontare gli entusiasmi di Jacopo con una serie di argomentazioni che esprimono una concezione pessimistica della realtà umana e storica. Tale concezione è sì espressa dal personaggio Parini, ma finirà per essere condivisa – tacitamente – anche da Jacopo. In realtà lo stesso Foscolo condivide le argomentazioni del poeta milanese e ciò alimenta il suo pessimismo sull'agire politico, che nell'Ortis si consuma con il suicidio e che solo gradualmente sarà superato con la nuova milizia nelle armate napoleoniche.
– Forse questo tuo furore di gloria potrebbe trarti a difficili imprese; ma – credimi; la fama degli eroi spetta un quarto alla loro audacia; due quarti alla sorte; e l'altro quarto a' loro delitti. Pur se ti reputi bastevolmente fortunato e crudele per aspirare a questa gloria, pensi tu che i tempi te ne porgano i mezzi? I gemiti di tutte le età, e questo giogo della nostra patria non ti hanno per anco insegnato che non si dee aspettare libertà dallo straniero? Chiunque s'intrica nelle faccende di un paese conquistato non ritrae che il pubblico danno, e la propria infamia.
1^ argomentazione – L'eroismo, ansia di gloria conducono gli uomini ad imprese estreme. Il successo di tali imprese dipende dalla sorte, dal coraggio ma anche dalla violenza impiegata.
La libertà non si deve attendere dagli stranieri: la collaborazione con Napoleone sarebbe impropria e infamante, soprattutto se costringesse ad impiegare la violenza per ottenere il successo.
Quando e doveri e diritti stanno su la punta della spada, il forte scrive le leggi col sangue e pretende il sacrificio della virtù. E allora? avrai tu la fama e il valore di Annibale che profugo cercava per l'universo un nemico al popolo Romano? – Né ti sarà dato di essere giusto impunemente. Un giovine dritto e bollente di cuore, ma povero di ricchezze, ed incauto d'ingegno quale sei tu, sarà sempre o l'ordigno del fazioso, o la vittima del potente.
2^ argomentazione – La legge del più forte non lascia spazio al riconoscimento della virtù e della giustizia. Implicato nella conquista del potere Jacopo potrebbe essere strumentalizzato dai nuovi vincitori. Il successo nell'impresa militare e la vittoria sul campo non assicurano il rispetto delle alte idealità che hanno spinto all'azione. Jacopo dovrebbe aprirsi a tutti i compromessi.
E dove tu nelle pubbliche cose possa preservarti incontaminato dalla comune bruttura, oh! tu sarai altamente laudato; ma spento poscia dal pugnale notturno della calunnia; la tua prigione sarà abbandonata da' tuoi amici, e il tuo sepolcro degnato appena di un secreto sospiro.
3^ argomentazione: la calunnia – è quasi certo – non lascerà immune Jacopo. L'effetto sarà l'abbandono da parte degli amici ed il venir meno di ogni positivo ricordo legato alla sua vita ed alla sua opera. Si profila in questo caso il peggior male per il poeta: la perdita della memoria di sé.
– Ma poniamo che tu superando e la prepotenza degli stranieri e la malignità de' tuoi concittadini e la corruzione de' tempi, potessi aspirare al tuo intento; di'? spargerai tutto il sangue col quale conviene nutrire una nascente repubblica? arderai le tue case con le faci della guerra civile? unirai col terrore i partiti? spegnerai con la morte le opinioni? adeguerai con le stragi le fortune? ma se tu cadi tra via, vediti esecrato dagli uni come demagogo, dagli altri come tiranno. Gli amori della moltitudine sono brevi ed infausti; giudica, più che dall'intento, dalla fortuna; chiama virtù il delitto utile, e scelleraggine l'onestà che le pare dannosa; e per avere i suoi plausi, conviene o atterrirla, o ingrassarla, e ingannarla sempre.
4^ argomentazione ancora di carattere generale, seppur scaturita da una concreta possibilità di azione legata al presente. La vittoria, qualora richieda l'impiego della violenza, metterà a dura prova la coscienza di Jacopo. Egli ben sa che solo il tiranno si nutre di violenza (Alfieri e Machiavelli). Il popolo poi non perdona chi esercita la violenza, anche se vilmente è sempre pronto a sostenere il vincitore. Alla fine la fama di capo-popolo violento o di tiranno contrassegnerà proprio lui, difensore strenuo della libertà.
E ciò sia. Potrai tu allora inorgoglito dalla sterminata fortuna reprimere in te la libidine del supremo potere che ti sarà fomentata e dal sentimento della tua superiorità, e della conoscenza del comune avvilimento? I mortali sono naturalmente schiavi, naturalmente tiranni, naturalmente ciechi. Intento tu allora a puntellare il tuo trono, di filosofo saresti fatto tiranno; e per pochi anni di possanza e di tremore, avresti perduta la tua pace, e confuso il tuo nome fra la immensa turba dei despoti. – Ti avanza ancora un seggio fra capitani; il quale si afferra per mezzo di un ardire feroce, di una avidità che rapisce per profondere, e spesso di una viltà per cui si lambe la mano che t'aita a salire. Ma – o figliuolo! l'umanità geme al nascere di un conquistatore; e non ha per conforto se non la speranza di sorridere su la sua bara.
5^ argomentazione. Continuano le riflessioni sulla condizione psicologica di chi domina con la forza. I pericoli sono quelli dell'esercizio incontrollato e sempre più allargato del potere (atteggiamento di chi ha un'alta considerazione di sé e nutre uno smodato desiderio di primeggiare). L'esercizio del comando nasconde altre tentazioni pericolose: un'estrema temerarietà, un'insensata avidità e perfino la viltà dell'adulazione. La frase che chiude, del tutto emblematicamente, il ragionamento pariniano – di filosofo saresti fatto tiranno – mostra come sia negativo abbandonare la condizione di poeta ed intellettuale per quella di uomo d'armi, soggetto pericolosamente alle lusinghe del potere.
Allora io guardai nel passato – allora io mi voltava avidamente al futuro, ma io errava sempre nel vano e le mie braccia tornavano deluse senza pur mai stringere nulla; e conobbi tutta tutta la disperazione del mio stato. Narrai a quel generoso Italiano la storia delle mie passioni, e gli dipinsi Teresa come uno di que' genj celesti i quali par che discendano a illuminare la stanza tenebrosa di questa vita. E alle mie parole e al mio pianto, il vecchio pietoso più volte sospirò dal cuore profondo. – No, io gli dissi, non veggo più che il sepolcro: sono figlio di madre affettuosa e benefica; spesse volte mi sembrò di vederla calcare tremando le mie pedate e seguirmi fino a sommo il monte, donde io stava per diruparmi, e mentre era quasi con tutto il corpo abbandonato nell'aria – essa afferravami per la falda delle vesti, e mi ritraeva, ed io volgendomi non udiva più che il suo pianto. Pure s'ella – spiasse tutti gli occulti miei guai, implorerebbe ella stessa dal Cielo il termine degli ansiosi miei giorni. Ma l'unica fiamma vitale che anima ancora questo travagliato mio corpo, è la speranza di tentare la libertà della patria.
Jacopo riconosce – dopo queste riflessioni di Parini – tutta l'angoscia della sua condizione. Nonostante ammetta che l'unica aspirazione plausibile della sua vita è ancora il tentare la libertà della patria, in realtà coglie la difficoltà dell'impresa e soprattutto le contraddizioni insite in un'azione che implichi ancora la collaborazione con i Francesi e l'impiego della violenza contro i suoi concittadini.
L'idea del suicidio si profila nitida e anche l'immagine della madre pietosa non indebolisce questa prospettiva.
Tacque – ed io dopo lunghissimo silenzio esclamai: O Cocceo Nerva! tu almeno sapevi morire incontaminato.
Jacopo richiama a questo punto un esempio classico di morte incontaminata e volontaria
(suicidio). Cocceo Nerva, amico intimo dell'imperatore Tiberio, quando s'accorse che questi, da imperatore era divenuto tiranno, si lasciò morire di fame per protesta.
Il gesto è visto come emblematico di una ferma risoluzione a non venire a compromessi con la perdita della dignità / libertà. Tale soluzione estrema, prospettata attraverso un esempio tratto dall'antica Roma, in fondo è la risposta più coerente al discorso sul potere sviluppato di Parini.
– Il vecchio mi guardò – Se tu né speri, né temi fuori di questo mondo – e mi stringeva la mano – ma io! – Alzò gli occhi al Cielo, e quella severa sua fisionomia si raddolciva di soave conforto, come s'ei lassù contemplasse tutte le tue speranze. – Intesi un calpestio che s'avanzava verso di noi; e poi travidi gente fra' tiglj; ci rizzammo; e l'accompagnai sino alle sue stanze.
Parini, forte della sua fede, non può condividere la scelta di Jacopo, ma mostra di comprenderla nelle sue ragioni. Questo implicito riconoscimento darà ancora più forza alla finale decisione del protagonista di togliersi la vita.
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- Ugo Foscolo
- Letteratura Italiana - 800