Umano, troppo umano - Niezsche - Studentville

Umano, troppo umano - Niezsche

Commento dell'opera.

Con “Umano, troppo umano. Un libro per spiriti liberi” (1878) Nietzsche prende le distanze sia da Schopenhauer, sia da Wagner e imbocca la via del rischiaramento logico-scientifico, inteso come “storia della genesi del pensiero”. Scritti in poco più di un anno, le Opinioni e sentenze diverse e Il viandante e la sua ombra ( riuniti nell’edizione del 1886 col titolo di Umano, troppo umano ) sono testimonianze, nell’attività  di Nietzsche, di un ripiegamento su se stesso: è uno stato d’animo ciclico nella sua vita, anche se talora viene mascherato, come in questo caso. Le cose non lo sospingono e gli uomini l’hanno lasciato solo, cosicchò l’autore può interessarsi più di se stesso, come fa qui il viandante, costretto a parlare con la sua ombra. Discorrendo con sò, si parla più facilmente di sò. Questo fatto tuttavia non appare in primo piano, e il lettore si trova di fronte a concreti argomenti di storia, di arte, morale, com’era naturale, del resto, perchò nell’opera di Nietzsche questo risulta il periodo più imparziale, scientifico, obiettivo. Tale oggettività  è però raggiunto paradossalmente, ossia attraverso una concentrazione e una speculazione interiore. Lo dice chiaramente egli stesso: Il mio modo di riportare le cose della storia consiste propriamente nel raccontare “esperienze” personali, prendendo a spunto epoche e uomini del passato. Non è qualcosa di organico-solo cose singole mi si sono chiarite, altre no. I nostri storici della letteratura sono noiosi, perchò si impongono di parlare e di giudicare di tutto, anche dove non hanno “vissuto”.

La stessa critica del cristianesimo si muove con una compostezza contemplativa e riflessiva. Indagando la nascita delle rappresentazioni di questo mondo, Nietzsche propugna una “chimica delle idee dei sentimenti morali, religiosi ed estetici”, per mostrare che “anche in questo campo i colori più magnifici si ottengono da materiali molto bassi e persino spregiati”: per esempio il razionale dall’irrazionale, la logica dall’illogicità , il disinteresse dalla brama, l’altruismo dall’egoismo e la verità  dagli errori. Egli inoltre si propone di sostituire al pathos del possesso di verità  assolute “quel pathos, certo più mite e meno altisonante, della ricerca della verità “. Vista nel suo insieme, quest’opera di Nietzsche, la cui dedica a Voltaire testimonia la simpatia per l’illuminismo e la cultura filosofica francese, si presenta come un aggiornato discorso sul metodo. Tale metodo consiste nel saper rendere giustizia alla conoscenza disdegnando “tutto ciò che acceca e confonde il giudizio sulle cose”, per conoscerle invece “in modo puro” ponendole “nella luce migliore” ed esaminandole “con occhio attento”. Va poi data una spiegazione del titolo: Umano, troppo umano. Nietzsche si sforza di guardarsi intorno ma tutto ciò che vede è ancora troppo volgare, troppo legato all’uomo e ai suoi errori di sempre: non è ancora arrivato il superuomo e anche il migliore degli uomini è ancora troppo umano. La pubblicazione di “Umano, troppo umano”, dedicato a Voltaire, segna una vera e propria svolta nella filosofia di Nietzsche. Egli continua l’aspra polemica nei confronti della cultura del proprio tempo e delle esaltazioni del progresso storico, ma non scorge più nell’arte la via per uscire dalla decadenza, bensì nella scienza. Il pensatore tedesco ora guarda con interesse e simpatia, da una parte, all’illuminismo e alla tradizione dei moralisti francesi del Seicento e del Settecento e, dall’altra, alle scienze naturali. In questa fase la scienza è valutata in modo positivo da Nietzsche non tanto perchò in grado di pervenire a conoscenze oggettive, quanto come forma di atteggiamento metodico e, insieme, libero e spregiudicato di fronte ai valori correnti, ai presupposti, alle abitudini e alle regole imposte dalla società . Infatti, la scienza stessa ha la sua origine e la sua giustificazione nei bisogni della vita e i suoi risultati si sono storicamente trasformati in condizioni di vita, cosicchò la conoscenza si è imposta come un bisogno tra gli altri, essenziale per vivere e, in quanto tale, ha assunto un potere sempre più vasto nel mondo moderno. Ma questo potere crescente non dipende dal fatto che la scienza sia un sapere disinteressato, che abbia come scopo la “verità ” e sia capace di carpirla. Intanto, è necessario osservare, a parere di Nietzsche, che anche l’ “errore” può essere utile alla vita e che la stessa promozione della scienza nell’età  moderna è avvenuta grazie ad alcuni errori inconsapevoli. Alla scienza, infatti, sono stati erroneamente attribuiti il potere di cogliere la bontà  e la sapienza divina che regge l’universo e la prerogativa di essere lo strumento fondamentale per realizzare la felicità  umana. Sono questi errori che hanno fatto aumentare l’importanza della scienza nella vita moderna. In realtà , la rappresentazione del mondo, fornita dalle scienze, non coglie affatto le cose come sono in se stesse, in quanto non può andare oltre l’apparenza. Anche la scienza, infatti, ben lontana dall’essere disinteressata e pacifica e, quindi, in contrasto con i presunti istinti cattivi degli uomini, nasce dal bisogno vitale di avere certezze e rassicurazioni, per poter sopravvivere: è tale esigenza che ha fatto escogitare i princìpi erronei sui quali si fonda la scienza, come l’esistenza di legami causali tra cose ed eventi o la possibilità  di numerare e di compiere astrazioni e generalizzazioni, al fine di cogliere presunte essenze stabilite delle cose. Ammettere che la scienza possa nascere da errori e finzioni pare in contrasto con i consueti giudizi di valore, eppure è possibile, secondo Nietzsche, che l’apparenza, l’illusione, l’interesse personale abbiano per la vita un valore superiore alla verità  e al disinteresse, anzi è possibile che i due piani siano intrecciati, anzichò contrastanti. La filosofia e la scienza hanno la loro origine più profonda e recondita, più che nell’istinto di conoscenza, in un istinto vitale che si è servito della conoscenza come strumento per la vita stessa. Così dice Nietzsche in un celebre aforisma del testo: Prossimi alla follia. – La somma dei sentimenti, delle conoscenze, delle esperienze, l’onere complessivo della civiltà , insomma, ò divenuto così grande che c’ò un pericolo generalizzato di sovreccitazione della capacità  nervosa e mentale, anzi, le glassi colte dei paesi europei sono ormai completamente nevrotiche e in quasi tutte le grandi famiglie c’ò qualcuno prossimo alla follia. E’ vero che oggi si favorisce la salute in tutti i modi; ma fondamentalmente rimane la necessità  di una riduzione di quella tensione del sentimento, di quello schiacciante onere della civiltà  che, anche qualora dovesse venire pagato con gravi perdite, ci fa tuttavia fortemente sperare in un nuovo Rinascimento. L’intera opera è talvolta pervasa da un senso di ambiguità , con il quale il pensatore tedesco vuol dimostrare che ciò che è bene può anche essere male (e viceversa): Pieno di riguardi. – Non voler offendere nè danneggiare nessuno può essere segno di una mentalità  equa, ma anche di una timorosa, egli afferma amaramente; oppure egli dice con un pizzico di ironia che l’ipocrita più raffinato. – Non parlare per niente di sè ò un’ipocrisia molto raffinata. Ma anche in quest’opera sullo sfondo c’è l’idea tipicamente nietzscheana della volontà  di potenza, secondo la quale ogni nostra azione ha come fine ultimo l’aumento del nostro potere: Bontà  materna. – Certe madri hanno bisogno di figli felici onorati; altre di figli infelici: altrimenti la loro bontà  materna non può manifestarsi. Ma non mancano le critiche rivolte ai bugiardi e agli ipocriti, contro cui Nietzsche si scaglia per tutto il corso della sua vita: Contro i visionari. – Il visionario nega la verità  di fronte a se stesso, il bugiardo solo di fronte agli altri. Ed è poi evidente in un certo senso il biasimo mosso alla società  moderna, con i suoi costumi e le sue mode: Musica d’oggi. – Questa musica modernissima, con i suoi polmoni forti e i nervi deboli, ò la prima a spaventarsi di se stessa. Troppo e troppo poco. – Oggi gli uomini vivono troppe cose e riflettono troppo poco: hanno insieme fame e colica, e perciò diventano sempre più magri, per quanto mangino. Chi oggi dice: “Non mi ò mai successo niente”, ò uno sciocco. Dura è anche la critica ai deboli, a quelli che, secondo la morale cristiana, esercitano l’indulgenza e la pazienza: Non far valere il proprio diritto. – Esercitare il potere costa fatica e richiede coraggio. Perciò tanti non fanno valere il loro buon, buonissimo diritto, perchè questo diritto ò una specie di potere, e loro invece sono troppo pigri o troppo vigliacchi per esercitarlo. Indulgenza e pazienza vengono chiamate le virtù che mascherano questi difetti. Ma che cosa è, in buona fine, la chimica delle idee e dei sentimenti? Ce lo spiega Nietzsche nell’apertura di “Umano, troppo umano”: “I problemi filosofici riprendono oggi in tutto e per tutto quasi la stessa forma interrogativa di duemila anni fa: come può qualcosa nascere dal suo opposto, per esempio il razionale dall’irrazionale, ciò che sente da ciò che è morto, la logica dall’illogicità , il contemplare disinteressato dal bramoso volere, il vivere per gli altri dall’egoismo, la verità  dagli errori? La filosofia metafisica ha potuto finora superare questa difficoltà  negando che l’una cosa nasce dall’altra e ammettendo per le cose stimate superiori un’origine miracolosa, che scaturirebbe immediatamente dal nocciolo e dall’essenza della ‘cosa in sò’. Invece la filosofia storica, che non è più affatto pensabile separata dalle scienze naturali, ed è il più recente di tutti i metodi filosofici, ha accertato in singoli casi (e questo sarà  presumibilmente il suo risultato in tutti i casi), che quelle cose non sono opposte, tranne che nella consueta esagerazione della concezione popolare o metafisica, e che alla base di tale contrapposizione sta un errore di ragionamento: secondo la sua spiegazione, non esiste, a rigor di termini, nò un agire altruistico nò un contemplare pienamente disinteressato, entrambe le cose sono soltanto sublimazioni, in cui l’elemento base appare quasi volatilizzato e solo alla più sottile osservazione si rivela ancora esistente. Tutto ciò di cui abbiamo bisogno e che allo stato presente delle singole scienze può esserci veramente dato, è una chimica delle idee e dei sentimenti morali, religiosi ed estetici, come pure di tutte quelle emozioni che sperimentiamo in noi stessi nel grande e piccolo commercio della cultura e della società , e perfino nella solitudine: ma che avverrebbe, se questa chimica concludesse col risultato che anche in questo campo i colori più magnifici si ottengono da materiali bassi e perfino spregiati? Avranno voglia, molti, di seguire tali indagini? L’umanità  ama scacciare dalla mente i dubbi sull’origine e i princìpi: non si deve forse essere quasi disumanizzati per sentire in sò l’inclinazione opposta? ” Ma in “Umano, troppo umano” Nietzsche tratta anche di politica, prevedendo con grande acutezza una ormai prossima democratizzazione dell’Europa; per quel che riguarda il socialismo, Nietzsche, suo acerrimo nemico, ravvisa in Platone l’archegeta di tale movimento; ma la parte più affascinante è quella conclusiva: l’opera si conclude infatti con quello che il pensatore tedesco definisce un “aureo motto”: “All’uomo sono state poste molte catene, affinchò egli disimpari a comportarsi come un animale; e veramente egli ò divenuto più mite, spirituale, gioioso e assennato di tutti gli animali. Ma ora soffre ancora del fatto di aver portato per tanto tempo le catene, di aver mancato per tanto tempo di aria buona e di movimento libero; queste catene però sono, lo ripeterò sempre di nuovo, gli errori gravi e insieme sensati delle idee morali, religiose e metafisiche. Solo quando anche la malattia delle catene sarà  superata, la prima grande meta sarà  veramente raggiunta: la separazione dell’uomo dagli animali. – Ora noi siamo impegnati nel nostro lavoro di togliere le catene e ci ò necessaria, in tale circostanza, la massima prudenza. La libertà  dello spirito può essere data solo all’uomo nobilitato; a lui solo rende vicino l’alleggerimento della vita spargendo balsamo sulle sue ferite; egli per primo può dire di vivere per la gioia e per nessun altro scopo; e su ogni altra bocca il suo motto sarebbe pericoloso: pace intorno a me e un prender piacere a tutte le cose più vicine. – Con questo motto per singoli uomini, egli si circonda di un’antica, grande e toccante parola, che fu detta per tutti, e che si ò fermata sopra l’umanità  intera, come un motto e un simbolo, per cui ò destinato a perire chiunque ne adorni troppo presto la propria bandiera, – per cui ò perito il cristianesimo. Ancora, così sembra, non ò tempo che a tutti gli uomini possa accadere come a quei pastori che videro rischiarato il cielo sopra di sè e udirono quella parola: ‘Pace in terra e agli uomini un prender piacere gli uni agli altri’. – Questo ò ancora il tempo degli individui. ” Vi è poi il celeberrimo dialogo tra il viandante e la sua ombra: è Nietzsce che dialoga con se stesso, per molti versi. * * * L’ombra: Giacchè ò tanto tempo che non ti sento parlare, vorrei dartene un’occasione. Il viandante: Parla – dove? e chi? ò quasi come se sentissi parlare me stesso, solo con voce più debole della mia. L’ombra (dopo una pausa): Non sei contento di avere un’occasione di parlare? Il viandante: Per dio e per tutte le cose a cui non credo, ò la mia ombra che parla: la sento, ma non ci credo. L’ombra: Accettiamolo e non pensiamoci oltre, tra un’ora sarà  tutto finito. Il viandante: Pensai proprio così, quando in un bosco vicino a Pisa vidi prima due e poi cinque cammelli. L’ombra: E’ bene che ambedue siamo ugualmente indulgenti verso di noi, se per una volta la nostra ragione tace: così anche nel nostro colloquio non ci adireremo e non metteremo subito le manette all’altro se la sua parola ci suonerà  incomprensibile. Se proprio non si sa rispondere, basta già  dire qualcosa: questa ò l’equa condizione alla quale io mi intrattengo con qualcuno. In un dialogo un po’ lungo, anche il più savio diventa una volta pazzo e tre volte babbeo. Il viandante: Le tue modeste pretese non sono lusinghiere per colui al quale le confessi. L’ombra: Debbo dunque lusingare? Il viandante: Pensavo che l’ombra dell’uomo fosse la sua vanità : ma questa non chiederebbe mai: “debbo dunque lusingare? “. L’ombra: La vanità  umana, se ben la conosco, non domanda neppure, come io ho già  fatto due volte, se può parlare: parla sempre. Il viandante: Solo adesso mi accorgo quanto sono scortese nei tuoi confronti, mia cara ombra: non ho ancor neppure fatto parola su quanto mi rallegra di ascoltarti, e non solo di vederti. Lo sai, io amo l’ombra come amo la luce. Perchè esistano la bellezza del volto, la chiarezza del discorso, la bontà  e fermezza del carattere, l’ombra ò necessaria quanto la luce. Esse non sono avversarie: anzi si tengono amorevolmente per mano, e quando la luce scompare, l’ombra le scivola dietro. L’ombra: E io odio quel che odi tu, la notte; amo gli uomini perchè sono seguaci della luce, e mi allieta lo splendore che ò nel loro occhio quando conoscono e scoprono, loro, gli infaticabili conoscitori e scopritori. Quell’ombra che tutte le cose mostrano quando su di esse cade il sole della conoscenza – io sono anche quell’ombra. Il viandante: Credo di capirti, anche se ti sei espressa in modo un po’ umbratile. Ma avevi ragione: i buoni amici si dicono talvolta una parola oscura, come segno d’intesa, che dev’essere un enigma per ogni altra persona. E noi siamo buoni amici. Perciò basta con i preamboli! Centinaia di domande premono il mio animo, e il tempo in cui tu potrai rispondervi ò forse troppo breve. Vediamo su che cosa incontrarci in fretta e pacificamente. L’ombra: Ma le ombre sono più timide degli uomini: non dirai a nessuno come abbiamo parlato insieme! Il viandante: Come abbiamo parlato insieme? Il cielo mi guardi da lunghi ed elaborati dialoghi scritti! Se Platone avesse avuto meno gusto a elaborare, i suoi lettori avrebbero più gusto a lui. Un dialogo che nella realtà  delizia ò, se trasformato in scrittura e letto, un quadro con prospettive del tutto false: tutto ò troppo lungo o troppo corto. – Tuttavia potrò forse comunicarti su che cosa ci siamo accordati? L’ombra: Questo mi basta; perchè tutti vi riconosceranno solo le tue opinioni; nessuno si ricorderà  dell’ombra. Il viandante: Forse ti sbagli, amica! Sinora nelle mie opinioni si ò vista più l’ombra che me. L’ombra: Più ombra che luce? E’ possibile? Il viandante: Sii seria, cara matta! La mia prima domanda esige subito serietà ! L’ombra: Di quel che hai detto, più di tutto mi ò piaciuta una promessa: che volete ridiventare buoni vicini delle cose prossime. Questo tornerà  a vantaggio anche di noi, povere ombre. Perchè, ammettetelo, sinora ci avete calunniato anche troppo volentieri. Il viandante: Calunniato? Ma perchè non vi siete difese? Avevate pur vicine le nostre orecchie. L’ombra: Ci sembrava appunto di esservi troppo vicine per poter parlare di noi stesse. Il viandante: Delicato! Assai delicato! Ah, voi ombre siete “uomini migliori” di noi, me ne accorgo. L’ombra: Eppure ci avete chiamato “importune” – noi, che almeno una cosa sappiamo fare – tacere e attendere – nessun inglese lo sa far meglio. £ vero, ci si trova molto, molto spesso al seguito dell’uomo, ma mai come sue schiave. Quando l’uomo fugge la luce, noi fuggiamo l’uomo: a tanto arriva la nostra libertà . Il viandante: Ahimò, tanto più spesso ò la luce a fuggir l’uomo e allora anche voi lo abbandonate. L’ombra: Ti ho abbandonato spesso con dolore: a me, avida di sapere, tante cose dell’uomo sono rimaste oscure, perchè non posso esser sempre intorno a lui. Pur di possedere una totale conoscenza dell’uomo, sarei volentieri la tua schiava. Il viandante: Lo sai tu, lo so io, se tu da schiava non diventeresti improvvisamente padrona? Oppure se tu rimarresti schiava ma, disprezzando il tuo padrone, condurresti una vita di umiliazione, di disgusto? Accontentiamoci ambedue della libertà , così come ò rimasta a te – a te e a me! Giacchè la vista di un essere non libero amareggerebbe le mie gioie più grandi; le migliori cose mi ripugnerebbero, se qualcuno dovesse dividerle con me, – non voglio sapere di schiavi intorno a me. Per questo non amo il cane, il pigro e scodinzolante parassita, che ò diventato “cane” solo come servo degli uomini, e di cui essi sogliono addirittura decantare la fedeltà  al padrone e il fatto di seguirlo come la sua. – L’ombra: Come la sua ombra, essi dicono. Forse anch’io oggi ti ho seguito per troppo tempo? E’ stato il giorno più lungo, ma ne siamo alla fine, abbi ancora un attimo di pazienza! Il prato ò umido, ho i brividi. Il viandante: Oh, ò già  tempo di separarsi? E ho dovuto alla fine farti ancora male, l’ho visto: sei diventata più scura. L’ombra: Arrossivo, nel colore in cui posso farlo. Mi ò venuto in mente che spesso sono stata ai tuoi piedi come un cane, e che tu allora – Il viandante: E, in tutta fretta non potrei farti ancora L’ombra: Nessuno, tranne quello che ebbe il “cane” filosofico davanti al grande Alessandro: togliti un poco dal sole, ho troppo freddo. Il viandante: Che debbo fare? L’ombra: Cammina sotto quei pini e guarda i monti: il sole tramonta. Il viandante: Dove sei? Dove sei? * * *

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