Nato a Monza nel 1942, Umberto Galimberti ò stato dal 1976 professore incaricato di Antropologia Culturale e dal 1983 professore associato di Filosofia della Storia. Dal 1999 ò professore ordinario allâuniversità Caâ Foscari di Venezia, titolare della cattedra di Filosofia della Storia. Nelle sue opere più importanti come Heidegger, Jaspers e il tramonto dell’Occidente (1975), Psichiatria e Fenomenologia (1979), Il corpo (1983), La terra senza il male. Jung dall’inconscio al simbolo (1984), Gli equivoci dellâanima (1987) e Psiche e techne. L’uomo nell’età della tecnica (1999), Galimberti indaga il rapporto che effettivamente sussiste tra lâuomo e la società della tecnica. Memore della lezione di Emanuele Severino (di cui ò stato allievo) e di Heidegger, Galimberti sostiene che nelle condizioni attuali lâuomo non ò più al centro dellâuniverso come intendeva lâetà umanistica: tutti i concetti chiave della filosofia (individuo, identità , libertà , salvezza, verità , senso, scopo, natura, etica, politica, religione, storia) dovranno essere riconsiderati in funzione della società tecnologica attuale. Al centro del discorso filosofico di Galimberti câò la tecnica, che secondo il filosofo ò il tratto comune e caratteristico dellâoccidente. La tecnica ò il luogo della razionalità assoluta, in cui non câò spazio per le passioni o le pulsioni, ò quindi il luogo specifico in cui la funzionalità e lâorganizzazione guidano lâazione. Noi continuiamo a pensare la tecnica come uno strumento a nostra disposizione, mentre la tecnica ò diventata lâambiente che ci circonda e ci costituisce secondo quelle regole di razionalità (burocrazia, efficienza, organizzazione) che non esitano a subordinare le esigenze proprie dellâuomo alle esigenze specifiche dellâapparato tecnico. Tuttavia ancora non ci rendiamo conto che il rapporto uomo-tecnica si sia capovolto, e per questo ci comportiamo ancora come lâuomo pre-tecnologico che agiva in vista di scopi iscritti in un orizzonte di senso, con un bagaglio di idee e un corredo di sentimenti in cui si riconosceva. Ma la tecnica non tende a uno scopo, non promuove un senso, non apre scenari di salvezza, non redime, non svela verità : la tecnica funziona e basta. Il punto cruciale sta nel fatto che tutto ciò che finora ci ha guidato nella storia (sensazioni, percezioni, sentimenti) risulta inadeguato nel nuovo scenario. Come “analfabeti emotivi” assistiamo all’irrazionalità che scaturisce dalla perfetta razionalità dell’organizzazione tecnica, priva ormai di qualunque senso riconoscibile. Non abbiamo i mezzi intellettuali per comprendere la nostra posizione nel cosmo, per questo motivo ci adattiamo sempre di più allâapparato e ci adagiamo sulle comodità che la tecnica ci offre. Ciò di cui necessitiamo ò un ampliamento psichico capace di compensare la nostra attuale inadeguatezza. Inadeguato non ò solo il nostro modo di pensare, inadeguata ò anche lâetica tradizionale (cristiana e kantiana in particolare): le diverse etiche classiche, infatti, ponevano lâuomo al centro dellâazione, per cui Kant dice di non trattare lâuomo come mezzo ma sempre come fine. Ma oggi questo ò smentito dai fatti dellâapparato, infatti lâuomo (per usare unâ espressione di Heidegger) ò la materia prima più importante, ò ciò di cui la tecnica si serve per funzionare. La scienza, da quando ò al servizio della tecnica e del suo procedere, non ò più al servizio dellâuomo, piuttosto ò lâuomo al servizio della tecno-scienza e non solo come funzionario dellâapparato tecnico come gli esponenti della Scola di Francoforte andavano segnalando sin dagli anni ’50, ma come materia prima. Lâetica, di fronte alla tecnica, diventa pat-etica, perchè come fa a impedire alla tecnica che può di non fare ciò che può? E lâetica, nellâetà della tecnica, celebra tutta la sua impotenza. Infatti, finora abbiamo elaborato delle etiche in grado di regolare esclusivamente i rapporti tra gli uomini. Queste etiche, religiose o laiche che fossero, controllavano solo le intenzioni degli uomini, non gli effetti delle loro azioni, perchè i limiti della tecnica a disposizione non lasciava intravedere effetti catastrofici. Anche lâetica della responsabilità che affiancò lâetica dellâintenzione (Kant) ha, oggi i suoi limiti. A formularla fu Max Weber (poi la riprese Jonas nel suo celebre teso Il principio di responsabilità ) che però la limitò al controllo degli effetti “quando questi sono prevedibili”. Sennonchè ò proprio della scienza e della tecnica produrre effetti “imprevedibili”. E allora anche lâetica della responsabilità ò costretta a gettare la spugna. Oggi siamo senza unâetica che sia efficace per controllare lo sviluppo della tecnica che, come ò noto, non tende ad altro scopo che non sia il proprio potenziamento. La tecnica, infatti, non ha fini da realizzare, ma solo risultati su cui procedere, risultati che non nascono da scopi che ci si ò prefissi, ma che scaturiscono dalle risultanze delle sue procedure. Per Galimberti viviamo in una società al servizio dellâapparato tecnologico e non abbiamo i mezzi per contrastarlo, soprattutto perchè abbiamo la stessa etica di centâanni fa: cioò unâetica che regola il comportamento dellâuomo tra gli uomini. Tuttavia quello che oggi serve ò una morale che tenga conto anche della natura, dellâaria, dellâacqua, degli animali e di tutto ciò che ò natura. Riprendendo importanti autori come Marx, Heidegger, Jaspers, Marcuse, Freud, Severino e Anders e coinvolgendo discipline quali lâantropologia filosofica e la psicologia, Galimberti sostiene che oggi lâuomo occidentale dipende completamente dallâapparato tecnico, ò un uomo-protesi come sosteneva già Freud, e questa dipendenza non sembra potersi spezzare. Tutto rientra nel sistema tecnico, qualsiasi azione o gesto quotidiano lâuomo compie ha bisogno del sostegno di questo apparato. Ormai viviamo nel paradosso, infatti se lâuomo vuole salvare se steso e il pineta dalle conseguenze del predominio della tecnica (inquinamento, terrorismo, povertà , etc. ) lo può fare solo con lâaiuto della tecnica: progettando depuratori per le fabbriche, cibi confezionati, grattacieli antiaerei e così via. Il circolo ò vizioso e uscirne, se non impossibile, sembra improbabile, visto soprattutto la tendenza delle società occidentali. Una speranza sarebbe quella di riuscire a mantenere le differenze tra scienza e tecnica; se riusciamo a salvaguardare una differenza tra il pensare e il fare, la scienza potrebbe diventare l´etica della tecnica. La tecnica procede la sua corsa sulla base del “si fa tutto ciò che si può fare”. La scienza, che ò il luogo pensante, potrebbe diventare, invece, il luogo etico della tecnica. In questo senso va recuperato il valore umanistico della scienza: la scienza al servizio dellâumanità e non al servizio della tecnica. La scienza potrebbe diventare il luogo eminente del pensiero che pone un limite. Perchè la scienza ha un´attenzione umanistica. Promuove un agire in vista di scopi. Mentre la tecnica ò un fare senza scopi, ò solo un fare prodotti. Il valore più profondo del pensiero di Galimberti consiste, appunto, nel tentativo di fondare una nuova filosofia dell’azione che ci consenta, se non di dominare la tecnica, almeno di evitare di essere da questa dominati.
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