Unità d'Italia - Studentville

Unità d'Italia

Le vicende storiche che portarono all’unità d'Italia.

IN EUROPA 

Dopo il fallimento dei moti del 1848 vi fu un generale ritorno reazionario. L’Austria era la vera potenza egemone che segnava la via da percorrere per restaurare il vecchio ordine. Furono in generale soppresse le libertà di stampa e di parola e almeno inizialmente furono condannati e allontanati gli esponenti delle forze liberali.

La Borghesia moderata tuttavia, nel periodo 1850-1860, riuscì a conquistare importanti posizioni grazie a un avvicinamento alle forze conservatrici. 

IL PIEMONTE 

Il regno di Vittorio Emanuele II, succeduto al padre Carlo Alberto, fu l’unico Stato dove sopravvisse lo Statuto del 1848. Nella sua prima fase conobbe un momento di scontro in occasione della discussione parlamentare riguardante la pace raggiunta con l’ Austria che manteneva integri i confini del Regno pur prevedendo il pagamento di un forte indennizzo. Il rifiuto della Camera di approvare la pace indusse il re, a risolvere lo scontro istituzionale con lo scioglimento dell’Assemblea parlamentare e con la convocazione di nuove elezioni. Venne così approvata da una maggioranza moderata la pace di Milano.

Si poté così proseguire sulla strada delle riforme e nel 1850 vennero approvate le leggi Siccardi le quali limitavano i privilegi di cui godeva da secoli il clero.
Nel frattempo nel parlamento si metteva in luce Camillo Benso di Cavour, esponente della nobiltà e schierato con la borghesia moderata. Egli fin da principio si dimostrò interessato a realizzare forme di progresso economico e sociale e di liberismo, aspirazioni che  aveva assimilato dall’economia classica inglese.

Questa sua propensione si tradusse subito in una serie di trattati con alcuni Paesi europei quali il Belgio, l’Inghilterra, la Francia e l’Austria che avevano lo scopo di inserire il regno sabaudo nell’intesa dei grandi Stati. Il suo programma venne ben accolto in Parlamento anche dall’ala più moderata della Sinistra democratica guidata da Urbano Rattazzi. Questo accordo definito “connubio” diede origine ad una nuova formazione di centro che portò Cavour alla presidenza del Consiglio. 

IL PROGRAMMA DI CAVOUR 

Politica Interna: Cavour era profondamente convinto che il liberismo economico avrebbe giovato all’economia piemontese. Concentrò i propri sforzi sul settore agricolo il quale subì importanti trasformazioni.
Inoltre subirono ulteriori miglioramenti le reti di comunicazioni, stradali e ferroviarie favorendo lo sviluppo del mercato interno e internazionale.
Migliorò perfino il sistema fiscale favorendo l’economia sabauda.
Nel 1855 venne eseguito un progetto per la soppressione di alcuni ordini religiosi il quale scatenò una decisa opposizione e quindi le dimissioni di Cavour.

Il Re lo richiamò al governo e la legge venne approvata. Essa era inserita nell’ambito di una visione più ampia che prevedeva “una libera Chiesa in un libero Stato”  cioè:

-*- La Chiesa doveva occuparsi della Religione e delle coscienze, non del Governo e delle cose terrene;

-*- Lo stato doveva governare senza occuparsi di questioni religiose e anzi garantire a chiunque la libertà di professare la propria fede.
 
Politica Estera:  nella prima fase Cavour non sentì l’esigenza di lottare per l’unità d’Italia ma solamente di far sviluppare il regno sabaudo.
Il suo orientamento fu sempre anti-austriaco e pensava che per una liberazione italiana dall’Austria il Piemonte fosse l’unico Stato a poter compiere l’unificazione. Questo perché sia l’Italia centrale che meridionale erano sotto l’egemonia Austriaca.
Per avere un peso di rilievo nel quadro europeo, Il Piemonte partecipa alla guerra di Crimea venendo incontro con 15000 soldati a Francia ed Inghilterra.

Il risultato positivo in Crimea provocò:

– Il Piemonte assumeva un ruolo sempre più importante nel quadro europeo

– L’ Austria perdeva importanza e restava politicamente isolata.

Gli intenti di Cavour di creare un’alleanza con la Francia vennero favoriti dagli eventi che seguirono. Nel 1858 Felice Orsini, un repubblicano, attentò alla vita di Napoleone III. L’imperatore non venne colpito ma le bombe lanciate causarono numerosi morti.

L’attentato a Napoleone III ebbe il merito di accelerare la formazione di un’ alleanza franco-piemontese. Cavour convinse l’imperatore a stringere un alleanza, e l’accordo fu raggiunto a Plombieres. L’ Italia venne così suddivisa in 3 Stati:

NORD: Guidato dai savoia

CENTRO: Toscana e Stato Pontificio

SUD:  Il regno tolto ai Borboni e al quale Napoleone III mirava

Si trattava ora di provocare una guerra con l’ Austria per rafforzare il Piemonte.  

 

La seconda guerra d'indipendenza

Cavour cercò di provocare l’Austria inviando truppe sul confine (Garibaldi e i Cacciatori delle Alpi) e la reazione non si fece attendere. L’Austria riteneva di potere sconfiggere in breve tempo il Piemonte prima che la Francia intervenisse, ma in realtà venne sconfitta in alcune successive battaglie (Montebello, Magenta, Solferino e San Martino). Napoleone III si decise così a firmare un armistizio con l’Austria al quale Cavour non fu chiamato a partecipare (Armistizio di Villafranca)

I due imperatori concordarono che la Lombardia venisse ceduta al regno di Sardegna, ma che l’intero Veneto rimanesse sotto il governo Austriaco. Per protesta Cavour si dimise.
Ma il piano di Cavour continuò a realizzarsi. Richiamato a capo del governo (1860), egli riprese a trattare con Napoleone III. Venne così fatto un passo avanti all’Unità d’Italia, L’Italia centrale si unì al regno di Sardegna.
 

LA SPEDIZIONE DEI MILLE

I democratici, poco soddisfatti, pensano che la Sicilia sia un terreno più che fertile per iniziative rivoluzionarie, sfruttando anche le rivolte nate per il malgoverno napoletano. Francesco Crispi, democratico, convinse, nel 1860, Garibaldi  a organizzare una spedizione militare in Sicilia garantendogli l’appoggio popolare. Vittorio Emanuele II era segretamente favorevole all’impresa, mentre Cavour diffidava dei democratici garibaldini perché temeva l’intervento della Francia e dell’Inghilterra. Alla fine Cavour accettò il progetto purché l’impresa si realizzasse senza il consenso del governo, in modo da evitare contrasti con le grandi potenze. Sbarcarono così 1070 garibaldini a Marsala dove poche centinaia di insorti si unirono a loro. Dopo il successo a Catalafimi arrivarono 15000 volontari dal settentrione in aiuto e anche contadini locali ai quali gli erano state promesse terre da coltivare.

A Milazzo infine fu sancita la vittoria e la liberazione dell’isola.
Le terre promesse non furono però date ai contadini e questo contribuì ad esasperare gli animi e a spingerli alla rivolta. A Bronte su ordine di Nino Bixio (braccio destro di Garibaldi) si verificò un vero e proprio massacro, fra l’altro riportato anche in una novella di G. Verga “Libertà”.

L’entusiasmo fece continuare l’impresa che sbarcò in Calabria dove registrò altri successi. Francesco II di Borbone si rifugia nel frattempo a Gaeta e Garibaldi entra a Napoli espugnando la città. Cavour cerca di prendere in mano la situazione per paura che il sud dell’Italia rimanesse in mano rivoluzionaria e con il consenso di Napoleone III inviò truppe piemontesi in Umbria e nelle Marche per prevenire un eventuale attacco garibaldino allo stato pontificio. Questo accordo con Napoleone III gli concedeva l’annessione dello Stato Pontificio escluso Roma ed il Lazio. L’esercito piemontese si scontra con l’esercito Papale e continua ad avanzare verso il sud.
Garibaldi nello storico incontro di Teano affidò al controllo dell’esercito sabaudo le regioni liberate ritirandosi in esilio volontario a Caprera.
Vittorio Emanuele II venne proclamato Re D’Italia.
 

Il COMPLETAMENTO DELL’UNITÀ

Sia i moderati che i democratici sostenevano l’opportunità di compiere l’unificazione annettendo Roma e il Veneto, ma il programma con cui ottenere ciò era ben diverso: la Destra Storica optava per iniziative diplomatiche (per non guastare i rapporti con le altre potenze); la Sinistra invece desiderava risolvere il problema in tempi brevi e si affidava all’iniziativa popolare.

La “Questione Romana” non era di facile soluzione. La Francia manteneva a Roma un contingente militare, inoltre i rapporti con Pio IX erano per lo Stato abbastanza difficili.
Garibaldi allora decise di prendere l’iniziativa. Si recò in Sicilia con l’intenzione di guidare un “corpo di volontari” alla conquista di Roma. Napoleone III manifestò l’intenzione di reagire con la forza e Vittorio Emanuele III per non guastare i rapporti, dapprima sconfessò pubblicamente Garibaldi, successivamente lo affrontò in Aspromonte; dopo un breve scontro Garibaldi fu arrestato e le sue truppe disperse.  

A causa della crisi politica che ne derivò il ministro Rattazzi fu dimesso, al suo posto fu nominato Minghetti che subito riallacciò rapporti con la Francia e stipulò la “Convenzione di Settembre”. In questo modo, in cambio del ritiro delle truppe francesi da Roma si garantivano i confini dello Stato Pontificio. Veniva inoltre spostata da Torino a Firenze.

L’annessione di Roma subì un rallentamento compensato però dall’opportunità che si presentò per ottenere l’annessione del Veneto. Infatti Bismark propose un’alleanza militare per sconfiggere l’Austria. Purtroppo però per le truppe italiane fu un vero disastro e furono sconfitte sia per terra  (Custoza 1866) che per mare (Lissa 1866), solo Garibaldi alla testa dei cacciatori delle Alpi ottenne qualche successo (Bezzecca 1866). A Vienna il 3 ottobre si stabilì la pace fra l’Austria e l’Italia ma rimaneva sotto il dominio Asburgico la Venezia Giulia e il Trentino. Si riaccese così la “Questione romana”. Garibaldi progettò una nuova spedizione che avrebbe dovuto essere sostenuta da una rivolta di patrioti romani, ma l’attacco fallì per l’intervento francese (Mentana 1867). Si decise così di non seguire più questa via.

Dopo la caduta dell’impero di Napoleone III il governo Italiano decise di intervenire per la conquista armata di Roma. Si tentò in un primo momento di trattare con Pio IX, ma fallito il tentativo, si ordinò al generale Cadorna di entrare a Roma attraverso la Breccia di Porta Pia. Venne così trasferita la Capitale a Roma e si cercò di regolare il complesso rapporto tra Chiesa e Stato con la legge delle Guarentigie.

Essa stabiliva:

1) Il libero esercizio dei poteri spirituali

2) Una rendita annua

3) La sovranità del Vaticano sul Laterano e su Castel Gandolfo

Il Papa però non accettò quella legge ed invitò i fedeli a non partecipare alla vita politica dello Stato.

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