Cartesio, dopo aver definito l’ uomo come una macchina che, essendo stata fatta da Dio, è incomparabilmente meglio ordinata e ha in sò movimenti più meravigliosi di qualsiasi altra tra quelle che gli uomini possono inventare ( Discorso sul metodo ), sostiene che se anche esistessero o fossero create macchine simili ma non umane, bensì animali ( ad esempio la macchina scimmia ) o se anche fossero costruite macchine simili alla nostra per quel che riguarda il corpo, avremmo sempre e comunque due mezzi sicuri per riconoscere che non sono veri uomini, ma soltanto imitazioni. Il primo mezzo efficace è il fatto che solo l’ uomo si serve di parole, ossia di segni che vibrano nell’ aria o scritti su pezzi di carta e di cui si avvale per trasmettere i suoi pensieri ai suoi simili: gli animali non possono fare questo e anche le macchine costruite a nostra imitazione, pur avendo in memoria la facoltà di proferire qualche parola perchò chi le ha programmate ha fatto sì che in certe circostanze esse proferissero talune parole, tuttavia non sanno rispondere al senso di tutto ciò che si dice in loro presenza, come invece sarebbero in grado di fare anche gli uomini più ebeti. Il secondo mezzo per distinguere l’ uomo dagli animali e dalle macchine costruite per imitarlo è che nò gli uni nò gli altri agiscono con cognizione di causa, ma solo grazie alla disposizione dei loro organi. Ma mentre la nostra ragione è un qualcosa di davvero universale, che ci illumina la strada e ci può servire in ogni genere di circostanza, gli organi degli animali, invece, necessitano di una particolare disposizione per ciascuna azione particolare. La vera differenza tra uomini e animali è che anche il più ebete e stupido degli uomini sarà sempre, bene o male, in grado di mettere insieme un discorso per far intendere i suoi pensieri, mentre anche il migliore degli animali non saprà farlo. E il non saper parlare non è dovuto alla mancanza di organi che lo permettano ( le corde vocali, ad esempio ), ma al fatto che gli animali sono privi di ragione, non riescono a pensare ciò che dicono: ecco allora che Cartesio fa l’ esempio del pappagallo, che riesce a pronunciare parole in modo del tutto analogo al nostro, ma ripete solo ciò che sente, non elabora discorsi suoi, ossia non ci dice ciò che pensa. Ma si potrà muovere a Cartesio che esistano animali che non parlano perchò, a differenza dei pappagalli, non hanno gli organi adatti per farlo: ma egli contesta che vi sono anche uomini sordi e muti e ciononostante, pur non potendo effettivamente servirsi della parola per comunicare, riescono ad inventare dei segni con i quali farsi intendere: questo dimostra definitivamente che gli uomini sono dotati di ragione, mentre gli animali non ne hanno affatto; non dobbiamo farci ingannare da quanto dicevano gli antichi, ossia che gli animali comunicano tra loro e siamo noi che non riusciamo a capirli: non è affatto vero perchò se così fosse, oltre che dai loro simili, potrebbero farsi benissimo intendere anche da noi. Infatti noi, che disponiamo della parola e della ragione, riusciamo a farci intendere dai nostri simili ma anche, in qualche misura, dagli animali ( i cani, ad esempio ). L’ errore più grande che l’ uomo possa commettere, dopo quello di negare l’ esistenza di Dio, è credere che uomini e animali abbiano la stessa identica natura e che, di conseguenza, l’ uomo non abbia nulla da temere nò da sperare dopo questa vita più di quanto non abbia da temere o da sperare una mosca o una formica. Cartesio fissa una differenza radicale tra uomini da una parte e piante e animali dall’ altra: gli uomini sono ai suoi occhi tutt’ altra cosa rispetto sia agli animali sia alle piante. Questa distinzione in parte gli deriva senz’ altro dal cristianesimo che vede l’ anima immortale esclusivamente negli uomini. Certo, è vero che i cristiani, diostaccandosi da Aristotele, hanno fissato una grande differenza tra uomo e animali e piante poichò è come se l’ uomo godesse di un’ anima aggiuntiva, una sorta di realtà diversa che è l’ anima immortale, però i cristiani non avrebbero mai ammesso o accettato quanto arriva a dire Cartesio, ossia che solo gli uomini hanno l’ anima. Cartesio afferma che gli animali sono automi: Cartesio non si limita a dire che essi non hanno la ragione, ma arriva addirittura ad affermare che essi non provano sensazioni, sono come macchine. In altre parole, quando si tira la coda ad un cane esso abbaia non perchò provi dolore, ma per un riflesso incondizionato senza coscienza: quando gli si tira la coda esso abbaia allo stesso modo in cui una macchina fa rumore quando le si suona il clacson. Negli animali, proprio come nelle macchine, ad ogni imput corrisponde un output: se gli si tira la coda, il cane abbaia, se lo si colpisce morde e così via. A portare Cartesio a sostenere che gli animali sono automi mentre gli uomini no è il seguente ragionamento: anche il peggiore degli uomini sa parlare, ossia sa esprimere ciò che pensa; anche il migliore degli animali non sa parlare, ossia non sa esprimere ciò che pensa; ne consegue che gli uomini hanno la ragione, gli animali no. In realtà c’ è qualcosa che non quadra in questo ragionamento cartesiano: a suo favore gioca senz’ altro il fatto che se costruiamo un robot a immagine e somiglianza di un animale, che si atteggi allo stesso suo modo in effetti si può davvero pensare che l’ animale vero e il robot siano la stessa identica cosa; questo, secondo Cartesio, non è possibile per gli uomini perchò essi sanno parlare e, soprattutto, esprimono ciò che pensano: hanno la facoltà di pensare e di dire ciò che pensano. Però oggigiorno, con il perfezionarsi delle tecnologie, ci si avvicina sempre più alla creazione di un robot che sappia imitare perfettamente l’ uomo: non solo nell’ atteggiamento e nelle parole, ma perfino nel pensiero ! Nel momento in cui vi si riuscisse ( e dovrà arrivare ) allora, seguendo il ragionamento di Cartesio, si dovrebbe trarre la conclusione che gli uomini sono automi. Infatti il ragionamento di Cartesio è: avendo ipotizzato che una macchina imiti perfettamente un animale, chi non mi dice che l’ animale stesso non sia una macchina? Per l’ uomo non si possono costruire macchine che sappiano ragionare, di conseguenza l’ uomo non è una macchina. Ma nel momento in cui si arrivasse a creare un robot uguale agli uomini ne conseguirebbe che l’ uomo stesso potrebbe benissimo essere una macchina. D’ altronde la logica cartesiana stessa, a ben pensarci, non mi garantisce l’ esistenza effettiva delle persone che mi circondano: io dubito, quindi esisto; ma non posso sapere se gli altri effettivamente esistano e quindi tutti gli uomini ( fatta eccezione di me, perchò dubito e quindi sono ) potrebbero essere macchine. Per Cartesio il fatto di parlare, ossia di esprimere ciò che si pensa, implica che gli uomini non siano automi come gli animali, bensì comporta che essi abbiano un’ anima: solo gli uomini ne sono dotati e non gli animali o le piante. E’ arrivato ad ipotizzare che una macchina possa arrivare ad imitare alla perfezione il comportamento di un animale; quello che non è arrivato ad ipotizzare è che una macchina possa imitare il comportamento di un uomo. Allora seguendo il ragionamento di Cartesio si dovrebbe appunto arrivare alla conclusione che pure gli uomini sono macchine; tutti gli animali, tutte le piante e tutti gli uomini sono macchine fatta eccezione per me stesso, che so di esistere come soggetto dubitante. Cartesio ha quindi sbagliato a dire che gli animali sono macchine e gli uomini no: per non sbagliare i casi sono due: o si dice che sia gli animali sia gli uomini sono macchine, oppure si dice che nò gli uni nò gli altri lo sono. Il fatto che una macchina in linea di principio possa imitare il comportamento di un animale, non può portare ad affermare che l’ animale sia privo di sensazioni così come non posso affermare che l’ uomo sia privo di sensazioni. Ecco allora che ancora una volta il meccanicismo radicale porta Cartesio ad un errore grossolano. Quest’ immagine dell’ animale macchina stabilisce una netta differenziazione tra res cogitans, res extensa ( che comprende la materia, gli animali e le piante ) e res divina.
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- Filosofia - 1600