Il titolo
Utopia ha una derivazione leggermente ambigua, poiché, anche se si è sicuri del fatto che l'ultima parte del nome derivi dal greco topos (luogo), non si è certi da dove derivi la prima parte: questa, infatti, potrebbe derivare dalla parola greca eu (bene), in questo caso utopia significherebbe "luogo felice", oppure da ou (non), che in questo caso darebbe ad utopia il significato di "non luogo", "luogo inesistente". Questa parola venne usata per la prima volta da Tommaso Moro, che in una sua opera del 1516 esponeva le usanze, le abitudini e i costumi del popolo dell'isola di Utopia, del quale sentì parlare da un marinaio; la controversia sull'origine del nome è dovuta al fatto che nell'opera di Moro viene presentata una società che ha entrambe le caratteristiche. L'origine più probabile rimane comunque quella di "non luogo", in quanto era intento dell'autore descrivere una società che fosse in qualche modo perfetta, ma che purtroppo fosse anche impossibile da realizzare. Ad avvalorare quest'ipotesi c'è anche l'uso da parte di Moro di alcuni nomi quali ademo (senza popolo) per designare il principe, Anidro (senz'acqua) per indicare il fiume vicino ad Amauroto (città invisibile), la città principale dell'isola di Utopia, che in precedenza fu chiamata Abraxa (dove non piove) di re Utopo. Il libro inizia con una lettera indirizzata ad un suo amico, Pietro, con il quale ascoltò il racconto sull'isola di Utopia; in questa lettera Moro chiede se per favore Pietro potesse correggere la sua trascrizione del racconto, allo scopo di evitare che ci possano essere degli errori. Di seguito alla lettera inizia la vera opera, che è divisa in due libri.
Nel primo libro Moro descrive il suo incontro ad un ricevimento con l'amico Pietro, che coglie l'occasione per presentargli un personaggio che sicuramente sarebbe interessato all'autore, un marinaio esperto conoscitore di terre lontane a causa dei suoi lunghi ed innumerevoli viaggi: Raffaele Itlodeo. Dopo aver fatto conoscenza i due, assieme a Pietro, decidono di ritirarsi in un posto appartato e di iniziare a discutere. Durante la prima parte del dialogo vengono analizzati i vari problemi della monarchia inglese, discussione che sorge dal diverbio successivo alla proposta di Moro secondo cui Itlodeo poteva essere utile in carica di consigliere per un sovrano europeo in quanto era dotato di buon senso e di esperienza, essendo rimasto per cinque anni nell'isola di Utopia. In realtà il motivo per cui Itlodeo rifiuta ritenendo di non essere adeguato all'incarico è proprio il fatto di aver vissuto per un così lungo tempo in quella società: egli sa bene, infatti, che il modello utopico fosse irrealizzabile in qualsiasi altro stato a causa delle sue caratteristiche. Fra i problemi individuati vengono messi in risalto: la nobiltà parassitaria e i lati negativi della proprietà privati fra i quali, soprattutto, la divisione che faceva tra ricchi e poveri. Questi ultimi, infatti, erano fortemente dipendenti dalla nobiltà che li costringeva a mendicare e a fare lavori poco retribuiti. Inoltre viene trattato la questione della pena di morte e il fatto che, con questa, fossero puniti anche i ladri che erano in molti casi costretti a rubare per necessità. In generale possiamo dire che vengono trattai tutti quei problemi cui, nel secondo libro, tramite la narrazione del racconto di Raffaele Itlodeo, Moro cerca di dare una soluzione pur sapendo che l'isola da lui ipotizzata è del tutto irrealizzabile.
Nella seconda parte dell'opera – che coincide con il secondo libro – il discorso di Itlodeo si sposta sulla descrizione dell'isola secondo i suoi più vari aspetti.
La società
I cittadini di Utopia sono secondo la legge tutti uguali, anche se in realtà all'interno della società esistono delle differenze di classe. La divisione più sostanziale che possiamo trovare tra i cittadini è sicuramente quella tra uomini liberi e schiavi. Secondo lo statuto utopico tutti gli uomini nascono liberi; gli schiavi, infatti, non sono né prigionieri di guerra né figli d'altri schiavi, semplicemente presso gli utopici la schiavitù è una pena assegnata per i reati più gravi. Agli schiavi sono destinati i lavori più umili, mentre c'è l'uguaglianza tra gli altri cittadini. In realtà però anche tra i cittadini liberi esistono delle differenze di classe, che comportano alcuni privilegi per una di queste. Tutti gli uomini devono per legge avere un lavoro, anche se in realtà esiste una rotazione tra campagna e città, in modo che nessuno sia costretto a svolgere solamente i lavori agricoli nella sua vita. La società degli utopici è in realtà basata sul sapere, basti pensare alla classe sociale esente dal lavoro: gli uomini di lettere o sifogranti. Infatti i lavoratori hanno a disposizione nella loro giornata sei ore non lavorative, che possono dedicare allo svago o, se vogliono, allo studio; privilegiato è lo studio della letteratura. Tra questi vengono scelti i più meritevoli e vengono esentati dal lavoro, ed è da questa classe sociale che vengono scelti gli ambasciatori, i sacerdoti e le persone facenti parte delle istituzioni.
Le istituzioni
L'isola di Utopia è una federazione di 54 città, in ognuna delle quali il potere legislativo, giudiziario ed esecutivo è nelle mani del senato. Il senato in ogni città è formato da un principe (eletto a vita), da filarchi e da un protofilarco, eletto ogni dieci filarchi. Il principe è eletto dai protofilarchi d'ogni città che devono votare tra i quattro candidati che la città stessa designa. Oltre a questo senato all'interno delle città, ogni anno si tieni un ulteriore senato ad Amauroto con tre rappresentanti di ogni città. L'intero stato è basato sulla democrazia che viene materialmente rappresentata dai comitia publica, sede e istituzione principale. Non esiste un capo assoluto, addirittura ci sono leggi che evitano l'insediarsi di un potere tirannico, come per esempio il prendere decisioni politiche al di fuori del senato. Le leggi sono poche e chiare, in modo che la reggenza dello stato sia basata su pochi ma saldi pilastri, e che in questo modo possano essere tenuti bene a mente dai cittadini. Per la difesa dell'isola non esiste un esercito stabile, di conseguenza, in caso di guerra saranno gli stessi cittadini a difenderla. Preciso dicendo "difenderla" in quanto gli utopici non attaccano mai una popolazione vicina, ma si limitano a difendere l'isola o le loro colonie quando queste vengono attaccate. Il diverso modo di pensare influisce sugli utopici anche durante le guerre, in quanto essi ritengono vergognosa una vittoria ottenuta con un grandissimo spargimento di sangue, poiché secondo loro "sembra ignoranza pagar troppo caro una merce, per quanto di pregio". Secondo questo loro modo di vedere è molto più gratificante una vittoria ottenuta con un inganno, ma che riesca a ridurre le vittime.
La famiglia
Il nucleo fondamentale della società di Utopia è la famiglia, sia nel campo economico che politico. Essa è unità base della politica, giacché decide per l'elezione dei filarchi (uno ogni trenta famiglie) e dei candidati al principato. Questa è anche la prima tappa produttiva dell'agricoltura ed entità fondamentale della società. All'interno della famiglia a comandare è il più anziano, o, in caso disturbi dovuti ad una eventuale avanzata senilità, il parente prossimo più anziano. Anche all'interno della famiglia perciò ci sono delle differenze, per esempio il fatto che i figli devono ubbidire ai padri e le mogli ai mariti. Grande importanza è poi attribuita al matrimonio, tanto che le leggi sono molto più severe su quest'argomento, anche allo scopo di preservare la famiglia e la moralità. È per questo che come per qualsiasi altro "commercio", prima del matrimonio i due interessati vengono spogliati nudi e fatti vedere all'altro per la decisione finale e per verificare che nessuno dei due abbia imperfezioni fisiche che non aveva in precedenza fatto presente all'altro, per evitare così che il rapporto sia contratto senza il pieno amore e conoscenza dell'altro, e che sono vietati i rapporti precedenti il matrimonio.
L'economia
L'economia di Utopia è fondata sul lavoro, tanto che, come abbiamo già detto in precedenza, ognuno ha il dovere nella propria vita di imparare un lavoro; nonostante questo tutti i lavoratori di Utopia hanno il dovere, a rotazione, di lavorare in campagna; la rotazione è stata scelta affinché nessuno debba lavorare ingiustamente più degli altri, anche se questa rotazione non è così rigida come si potrebbe immaginare, e per rendersene conto basti tener presente il fatto che chiunque, se mosso da vera passione per il proprio lavoro può ottenere dei cambiamenti, a volte anche di un mese o più, sui turni. Preoccupazione dei sifogranti è che nessuno passi le sue giornate nell'ozio, ma che tutti abbiano un'occupazione; preoccupazione di questa classe sociale è però anche che nessuno debba fare più lavoro di quanto gliene spetti (a meno che non lo voglia lui di sua spontanea volontà lavorando anche in una parte delle sei ore che ognuno ha a disposizione), e per questo motivo la giornata lavorativa di ognuno è di sei ore. Moro precisa nella sua opera di non lasciarsi ingannare dal fatto che la giornata lavorativa sia così brave, in quanto poiché tutta la popolazione lavora non c'è mai mancanza di generi di prima necessità. Un altro punto sul quale è importante soffermarci è sicuramente l'atteggiamento degli utopici di fronte all'uso dei metalli e delle pietre preziosi come per esempio l'oro. L'atteggiamento delle persone rispetto all'oro è di rifiuto, siccome essi pensano che non sia necessari per il cittadino doversi abbellire con questo genere di oggetti (l'unico uso che "rientri nella norma" è per gli scambi esteri con le altre popolazioni), e perciò li usano in modi alternativi. Le pietre preziose vengono usate dai bambini per giocare, in quanto non sono ancora in possesso del modo del modo di pensare delle persone adulte, anche se verso i quindici anni anche loro le abbandonano; l'oro viene usato come materiale per i più svariati oggetti – Moro cita addirittura vasi da notte – e anche per cingerei polsi agli schiavi, perciò come segno di riconoscimento per loro.
La religione
In Utopia non vi è nessuna religione di stato ed è concesso a tutti di venerare il dio che ognuno sceglie. Nonostante questo però l'ateismo non è accettato, in quanto secondo il loro modo di vedere l'ateismo corrisponderebbe ad un abbassamento della natura dell'anima degli uomini, che per loro invece deve essere rispettata.
Come abbiamo già affermato la parola "utopia" nasce con l'opera di Tommaso Moro, ma il concetto che essa esprime è molto più antico. Infatti la nascita delle dottrine politiche utopistiche viene comunemente associata con Moro, ma questo è in realtà un discorso valido solamente per il periodo moderno, in quanto nell'antichità furono scritte altre opere a carattere utopistico. La prima opera di questo genere che la storia ricordi è sicuramente la Repubblica di Platone, che, anche se da un lato è connessa alla concreta base della polis greca, dà comunque un modello idealizzato, in quanto per il filosofo l'uomo si poteva realizzare solamente come cittadino, non come singolo individuo, e questo stato ideale era pensato proprio per questa funzione. Il mondo romano, invece, è povero o addirittura privo di tendenze utopistiche. Il suo forte senso giuridico, l'orgoglio realistico della civis, la scarsa propensione all'astrazione filosofica, la concretezza di questo popolo, la stessa potenza politica e vastità territoriale non ne favorirono certo lo sviluppo. Questa situazione continuò in seguito anche nel medioevo, dovendo perciò aspettare l'umanesimo per rivedere altre opere utopiste. Queste opere vengono infatti riscoperte proprio in questo periodo a causa del cambiamento culturale: difatti la seconda metà del cinquecento e il seicento rappresentano il periodo immediatamente successivo all'umanesimo; una delle conseguenze più importanti di questo movimento di pensiero fu sicuramente la valorizzazione dell'uomo come essere razionale, concezione che portò poi all'affermazione della ragione. Questo portò in seguito ad una più completa autonomia dell'uomo, che contribuì ad una laicizzazione del sapere. Quest'evoluzione, che per alcuni storici segna il passaggio da pseudoscienze a scienze vere e proprie, ebbe come conseguenza la formazione di nuove dottrine politiche e la rivoluzione scientifica. Le dottrine politiche di questo periodo sono le utopie, e il realismo di Machiavelli, che per le loro caratteristiche sono una l'opposto dell'altra; Machiavelli, infatti, preferì partire da un'analisi della realtà, facendo riferimento in particolare alla situazione italiana, su cui poi costruisce il suo pensiero politico. Nelle opere utopiste invece c'è la volontà di idealizzare la società, creandone un'altra come secondo gli utopisti sarebbe dovuta essere; è da questo che derivano le particolari caratteristiche di queste opere, come per esempio la mancanza di distinzioni di classi sociali (anche se, come abbiamo visto per quest'opera, questo principio non viene sempre rispettato). Dentro il modello ideale, che è possibile ricollegare a Platone, s'annida un rifiuto della società da ricondurre alla storia del tempo. La ragione, con l'autorità che le conferisce la sua conquistata autonomia, non accetta il dispotismo dei principi o le ingiustizie della società; non riuscendo, da sola, a sanare quei mali contemporanei che tuttavia individua e denuncia, ne trasferisce la soluzione al di fuori e al di sopra della storia.
Le tre utopie
Ognuna delle tre opere del periodo (Utopia di Moro, Nuova Atlantide di Bacone e La città del sole di Campanella) ha caratteristiche proprie, ma è possibile trovarvi degli elementi comuni. In tutte le opere vi è una visione idealizzata del luogo, in quanto le società descritte dai tre autori sono tutte poste su isole che vengono a loro volta collocate nell'emisfero australe del mondo, o comunque in luoghi lontani dalle società europee. Questa decisione è un modo per far risaltare maggiormente i caratteri di isolamento e di autarchia di questi popoli, che per la loro impostazione economica appaiono totalmente indipendenti dagli stati confinanti. Inoltre le società appaiono fondatale sul lavoro, e la sua razionalizzazione e la sua estensione all'intera comunità, anche alle donne, permette di aumentare il livello della produzione a beneficio di tutti e permette a tutti, e non più ad una sola minoranza privilegiata, di dedicare il tempo libero alla cultura. Si avverte qui la protesta e la condanna, esplicita del resto, sia in Moro che in Campanella, contro una società ancora gravata dal peso di parassiti e di oziosi. Le società utopistiche hanno la caratteristica di essere società precomuniste, e la caratteristica più lampante di questa interpretazione è sicuramente l'assenza di proprietà privata, per cui tutto appartiene a tutti ed è lo stato che distribuisce per esempio il cibo o le abitazioni (che nel caso di Utopia vengono distribuite anche in base ai "turni" di lavoro nelle campagne). Nel caso specifico dell'opera di Moro possiamo però vedere che la società, oltre che precomunista, può anche essere interpretata come una forma di socialismo, essendo una società meritocratica, dove i più capaci e più portati allo studio fanno poi parte della classe sociale dei sifogranti. Quest'aspetto rispecchia il desiderio di nuove gerarchie elettive fondate sul sapere, sul merito, sulla capacità, che ricorrono alla consultazione popolare, non più sui principi di assolutismo, dei diritti del sangue, della fondatezza dei privilegi del censo. Altri aspetti comuni alle tre opere sono il rifiuto della guerra, e la scomparsa del tempo: questo stava a significare che in alcune di queste società la giornata delle singole persone era preorganizzata, ovvero erano già decisi gli orari sia di lavoro sia quelli di tempo libero. Da notare che, nonostante in questo periodo si assista alla rivoluzione astronomica (al tempo di Moro in realtà iniziò semplicemente a circolare privatamente l'opuscolo De hypothesibus motuum coelestium a Se constitutis commentariolus di Copernico, che lo tenne nascosto per molti anni per timore delle possibili reazioni critiche), la scienza non è un aspetto cui gli autori dettero molto importanza; l'unica opera che abbia queste caratteristiche è la Nuova Atlantide di Bacone, in quanto nell'opera di Campanella, che pure ne intuisce le implicazioni sociali, ha ancora aspetti magici e astrologici. Contro l'arbitrio dei singoli, contro la prepotenza dei principi, si leva il limite dell'ostacolo di una razionalità comune a tutti gli uomini, cui ineriscono ormai diritti innati e naturali, anche se la schiavitù, che Campanella respinge, è ancora accolta da Moro che leva tuttavia la sua protesta contro la pena di morte.
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