L’identità dell’uomo di penna Giuseppe Ungaretti, alle prese con le atrocità della guerra, stenta a volte a ricostruirsi solida e riconoscibile. Sono necessarie ora la percezione istintiva della solidarietà con i suoi simili (Fratelli) ora la benevolenza della natura, capace di far intuire il fascino toccante della sua purezza, indenne dalla violenza umana (I fiumi), per operare il miracolo.
In Vanità l’identità umana si oggettiva in fragilità fluttuante, in tracce opache deposte su una liquida superficie, in cui la sagoma umana appare ombra inconsistente. Perché l’emblema di precarietà assuma spessore e riviva la speranza del domani è importante cogliere questo particolare all’interno del limpido stupore dell’immensità, cioè nell’ambito della vita della natura, che – con la sua perennità – assicura dignità anche alla vita umana.
VANITÀ
D’improvviso
è alto
sulle macerie
il limpido
stupore
dell’immensità
E l’uomo
curvato
sull’acqua
sorpresa
dal sole
si rinviene
un’ombra
Cullata e
piano
franta
Vallone il 19 agosto 1917
“..e il naufragar m’è dolce in questo mare”. L’ Infinito di Giacomo Leopardi dona al lettore un’emozione di indescrivibile intensità; al di là di un ostacolo naturale si cela la verità proiettata nell’immaginario di ognuno di noi e attraverso la “finzione del pensiero” si intuisce la straordinaria bellezza del paesaggio naturale.
Questa stessa bellezza si intuisce nella prima strofa di Vanità, in contrapposizione alla drammaticità della realtà dolorosa delle macerie della guerra. Il limpido stupore dell’immensità condensa stupendamente il senso di improvvisa apertura dell’animo, che coglie – quasi miracolosamente – la vastità degli spazi della natura, pur negli scenari di guerra.
La parola poetica di Ungaretti permette di cogliere altresì l’emozione di un’altra inquietante scoperta: quella dell’estrema fragilità umana che si intreccia con lo stupore di sentirsi in armonia con la natura. In guerra il tempo si trasforma, muta, si distorce perdendo quasi la cadenza naturale delle stagioni. La luce del sole sulla superficie dell’acqua rifrange un’ombra tremante, una vaga insicura parvenza che sembra tuttavia fluttuare delicatamente.
Per l’uomo, prigioniero del dramma bellico, anche il riflesso di un volto nell’acqua può apparire straordinariamente nuovo, un’ombra abbandonata nel delicato abbraccio della natura.
Si tratta di illuminazione improvvisa, caratterizzata dall’ infinito nitore della luce e dell’acqua (essa richiama forse la dimensione religiosa della purificazione); dimensione che pare – del resto – radicalmente negata dalla provvisorietà tragica del presente.
II poeta ha questa duplice intuizione osservando il rischiararsi improvviso d’uno specchio d’acqua colpito dal sole. Rinvenirsi «ombra» può mantenere ancora implicazioni negative, una sorta di scomparsa della propria identità.
Tuttavia il moto lieve dell’acqua, che culla l’immagine riflessa del poeta, sembra risolvere positivamente tale preziosa imminenza in una momentanea percezione di pienezza vitale.
«Una delle opposizioni immaginative fondamentali della poesia ungarettiana è quella tra “deserto”, con le connotazioni dell’aridità e sete e abbandono ed esposizione alla morte, e “acqua”, con le connotazioni contrarie della protezione, del conforto, del rifugio». Il critico Gioanola compie quest’osservazione a proposito della lirica I fiumi, ma è chiaro che essa può applicarsi anche al finale di Vanità.
Vanità, una delle più tarde liriche dal fronte. E’ giudicata da Pasolini il «capolavoro» delle «composizioni rarefatte» ungarettiane. In essa «meglio si configura l’ineffabilità ungarettiana, la parola in trasparenza, il sintagma volatilizzato in nuclei semantici senza peso», e in essa «si riscontra quella situazione di abbandono, di confidenza, di allegria, molto giovanili, che sono il sottofondo fisico più ancora che psicologico del primo libro ungarettiano» (Pasolini usa qui il termine “allegria” secondo l’interpretazione di Contini, che egli stesso descrive: allegria «come momento attivo dell’atto liberatorio della poesia, come passaggio dal piano della vicissitudine umana al piano linguistico»). Si tratta, comunque, dell’illuminazione improvvisa di una dimensione di limpidezza, di infinito (e di eterno?) che pare radicalmente negata dalla provvisorietà torbida e finita del presente. II poeta coglie questa intuizione nel rischiararsi improvviso d’uno specchio d’acqua colpito dal sole (o dalla stessa limpida trasparenza dell’acqua). Rinvenirsi «ombra» può – come si è osservato in nota – mantenere implicazioni negative (del resto presenti irrimediabilmente nel titolo), in parte risolte però nel moto lieve dell’acqua che culla appunto l’ombra del poeta e forse la sua illusoria intuizione di salvezza.
- 900
- Giuseppe Ungaretti
- Letteratura Italiana - 900