Essere e tempo rimane un’opera non ultimata: ‘ Il chiarimento della costituzione dell’essere dell’esserci resta soltanto una via: il fine ò l’elaborazione del problema dell’essere in generale ‘ asserisce Heidegger alla fine dell’opera. Heidegger si rese conto di aver chiarito l’essere dell’esserci come temporalità , ma di avere ancora aperto davanti a sè il problema del rapporto tra tempo ed essere. In seguito, egli interpreterà l’interruzione della sua opera nel senso che il pensiero non può venire a capo di questo problema, se continua a impiegare il linguaggio della metafisica tradizionale. Se la temporalità e la storicità sono costitutive dell’esserci, allora ogni ricerca, come possibilità propria dell’esserci, ò anch’essa storica: questo significa che la tradizione predetermina sempre in qualche modo la prospettiva entro la quale si pone la domanda sull’essere. La pretesa di Husserl di iniziare radicalmente da zero, partendo dalle cose stesse, appare ad Heidegger un’illusione; bisogna invece procedere alla distruzione della metafisica tradizionale, che pensa l’essere a partire dall’ente, inteso come semplice presenza, per mettere allo scoperto i presupposti rimasti nascosti della sua interpretazione dell’essere. La ricerca di Heidegger successiva ad Essere e Tempo, ha dunque uno dei suoi punti fondamentali nel ripercorrere i momenti cruciali della storia della metafisica. L’essenza della metafisica si rende comprensibile, se si parte dal problema della verità . Già in Essere e Tempo Heidegger aveva dimostrato l’inadeguatezza della concezione tradizionale della verità come corrispondenza tra il pensiero o la proposizione e i fatti a cui essi si riferiscono: questa concezione, infatti, si basa sul presupposto che l’essere sia da intendere come qualcosa di semplicemente presente, il quale può dunque essere rispecchiato nel pensiero o nella proposizione. Ma l’esserci non ò semplice presenza, bensì ò apertura al suo poter essere autentico: proprio questa apertura rivela la verità nella sua autenticità , che ò la verità dell’esistenza. Questa verità non ò qualcosa di già dato, ma deve sempre essere strappata dal suo nascondimento: questo secondo Heidegger ò implicito nella parola greca alòtheia ( alhqeia ), la quale ò tradotta generalmente con “verità “, ma significa propriamente “quel che non ò celato” (a ‘non’ + lanqanw ‘nascondere’), “quel che ò sottratto al velamento che lo nasconde”. In Essere e Tempo, però, la verità ò ancora concepita soltanto come un modo di essere dell’esserci, che in quanto autentico ò nella verità e in quanto non autentico ò anche sempre nella non-verità . Il punto di partenza della seconda fase del pensiero heideggeriano consiste invece nel concepire il senso dell’essere come della verità dell’essere, anzichè di quell’ente particolare che ò l’esserci. Che cosa si deve intendere per “verità dell’essere”? Anche la domanda sulla verità dell’esser dev’essere oggetto di una meditazione storica, per scoprire i presupposti nascosti che hanno determinato le risposte date ad essa. In questo quadro una posizione centrale ò occupata, ad avviso di Heidegger, dal pensiero di Platone, nel quale sarebbe intervenuto un mutamento radicale a proposito dell’essenza della verità . A questo tema Heidegger dedica lo scritto La dottrina platonica della verità , pubblicato nel 1942, ma già elaborato in precedenza. Secondo Heidegger i gradi successivi che, nel mito della caverna della Repubblica platonica, l’uomo deve percorrere si distinguono per il modo in cui in ciascuno di essi le cose si mostrano: ciascun grado ò contrassegnato da una lotta tra quel che ò svelato e quel che continua a rimanere velato. Platone, però, non tiene fermo anche questo aspetto della velatezza, che entra a costituire l’essenza della verità , ma rivolge la sua attenzione solo alla svelatezza, che egli intende come idea. Quel che ò vero, cioò quel che ò svelato, diventa allora quel che ò accessibile nell’apparire dell’idea, cosicchò l’apprendimento e la conoscenza si configurano essenzialmente come un vedere, un conformarsi all’idea. Questo vuol dire che la verità diventa della correttezza dello sguardo rivolto all’idea: tale correttezza consiste nella corrispondenza del conoscere all’oggetto nel suo essere presente. Ma in tal modo la verità abbandona il tratto fondamentale della svelatezza, cioò il suo essere svelamento, ma anche velamento, dal quale deve essere strappata: proprio della verità ò infatti, secondo Heidegger, il non darsi mai nella sua totalità e compiutezza. Nella concezione platonica, invece, la svelatezza scivola nei meandri dell’oblìo a favore del solo svelamento e la filosofia diventa metafisica, nel senso etimologico del termine, come sapere orientato verso “quel che ò al di là delle cose sensibili”; nel caso di Platone, verso l’essere dell’ente vero e proprio identificato con l’idea. Di qui si sviluppa la metafisica come della onto-teo-logia: la metafisica infatti ò ontologia, cioò dottrina dell’essere dell’ente, la quale assume come tratto fondamentale dell’essere la sua presenza costante. Cercando l’essere che meglio soddisfa a questa condizione, essa rimanda a un ente supremo, Dio, inteso come fondamento di ogni ente: per questo aspetto dunque la metafisica ò teologia, ma anche come teologia essa continua a pensare l’essere come un ente semplicemente presente, anche se superiore a tutti gli altri. La conseguenza ò che essere ed ente non sono distinti in modo che l’essere possa essere problematizzato nella sua verità . La metafisica, infatti, non può pensare una differenza ontologica tra essere ed ente, ma crede di poter ricondurre tutto l’ente ad un fondamento ultimo. Dalla concezione platonica della verità come correttezza scaturisce inoltre la conseguenza che il luogo in cui si decide della verità ò il pensiero, non l’essere, e, dal momento che l’idea ò intesa da Platone come il valore, il pensare diventa pensare secondo valori, ma in tal modo si pongono le radici del della soggettivismo e dell’ della umanismo, che rientrano a pieno titolo nell’ambito della metafisica. Il mutamento nell’essenza della verità determina, secondo Heidegger, tutta la metafisica occidentale. In quanto insiste sul manifestarsi dell’ente e pensa l’essere come ente semplicemente presente, la metafisica ò, dunque, la storia dell’ della oblìo dell’essere a favore di un ente. La metafisica ò, dunque, preda di un errore, ma non si tratta di un errore dovuto all’iniziativa umana e pertanto correggibile: esso ò invece un della evento, e precisamente l’ evento, in cui resta nascosto il fenomeno originario della verità . Questo consiste nell’essere svelamento, ma anche al tempo stesso velamento. Questo vuol dire che, nell’accadere storico, l’essere non appare mai nella sua totalità , non si esaurisce mai in quel che di volta in volta accade: nel momento in cui si manifesta, l’essere anche si sottrae, cioò effettua un’ epochò, una sospensione. Questo manifestarsi e, insieme, sottrarsi dell’essere determina quella che Heidegger chiama appunto un’ della epoca. Ogni epoca risulta dunque caratterizzata dalla compresenza di svelamento e velamento: tale ò anche l’epoca della metafisica che da Platone arriva sino a noi. Secondo Heidegger, la filosofia di Nietzsche rappresenta il punto in cui la metafisica giunge a compimento: essa pertanto consente di scoprire l’essenza della metafisica stessa e, quindi, anche i tratti costitutivi della nostra epoca. Su Nietzche, Heidegger torna a riflettere a più riprese, in lezioni e scritti, per una decina di anni, dal 1936 al 1946: il frutto di queste riflessioni sarà raccolto in due volumi intitolati Nietzche e pubblicati nel 1961. Con il detto di Nietzche “Dio ò morto” giunge al termine quel che era cominciato con Platone secoli addietro, cioò la fondazione della verità in un ente supremo. Per Nietzche, nichilismo ò non soltanto il diventar privo di valore dei valori tradizionali, ma soprattutto il platonismo, che ripone il vero nell’idea sovrasensibile e in tal modo svaluta e indebolisce la vita corporea. Sulla linea del platonismo Nietzsche dice che si collocano il giudaismo e il cristianesimo, i quali mettono l’ente nelle mani di Dio e così facendo lo sottraggono alla presa e al dominio dell’uomo; in opposizione ad essi, Nietzsche pensa l’essere come volontà di potenza, che mira ad incrementarsi costantemente e così ritorna eternamente, in un divenire incessante che porta ad innalzarsi sopra di sè in vista del proprio essere. Crollata la distinzione platonica tra sovrasensibile e sensibile, la volontà di potenza può trovare solo in se stessa la propria giustificazione e così essa rappresenta la vita nella sua verità . Stando ad Heidegger, però, anche Nietzsche, pensando la volontà di potenza come quel che ò costante e l’essere nella figura del superuomo, rimane nell’ambito della metafisica, portando il soggettivismo alle sue estreme conseguenze: l’essere, il fondamento di tutto e di ogni valore, ò infatti inteso come la soggettività incondizionata, la volontà di potenza che si vuole come eternamente ritornante e per questo si rende permanente nella sua presenza. Dunque per Heidegger anche la filosofia di Nietzsche va annoverata a pieno titolo nel nichilismo, cioò nella storia in cui ‘ dell’essere non ne ò più niente ‘. Il dominio del mondo rappresenta il compimento della storia della metafisica: per Heidegger, con Nietzsche arriva a manifestarsi il tratto basilare dell’epoca corrente come lotta per il dominio della terra. Heidegger effettua queste riflessioni negli anni in cui avverte l’instaurarsi di una lotta planetaria, in cui la Germania ò stretta fra la morsa del comunismo, da una parte, e delle democrazie occidentali, dall’altra parte. Nel discorso rettorale del 1933, Heidegger aveva collegato alla rivoluzione nazionalsocialistica la speranza che i Tedeschi potessero ritrovare il cammino ‘ verso la loro destinazione ‘ tramite una decisione comune; in un secondo tempo, però, egli riconobbe nel nazismo (pur non rinnegandolo mai) alcuni aspetti bivalenti: da un lato, il senso del ritorno alla terra patria (cantato da Hà¶lderlin), ma, dall’altro lato, anche un grande impiego della tecnica e un’organizzazione totale della vita. Sotto questo profilo anche il nazismo rimaneva ai suoi occhi nell’ambito della metafisica, anche se il suo imperare avrebbe potuto allestire l’avvento di una nuova epoca. L’epoca della metafisica raggiunge l’apice con il dominio della tecnica; il mondo attuale, spiega Heidegger, ò caratterizzato dal fatto che la scienza e la tecnica sono talmente intrecciate con la vita che questa non ò più possibile nella sua immediatezza, ma soltanto tramite esse. Dopo la guerra, Heidegger asserirà che nel mondo attuale tutto quel che ò, ò massificato per via della riduzione planetaria delle distanze e della diffusione dei mezzi tecnici di comunicazione e si presenta sotto la terribile minaccia di una distruzione totale da parte della bomba atomica. La domanda che egli si pone in questo panorama riguarda pertanto l’essenza della tecnica. Generalmente la tecnica ò intesa come strumento in vista di uno scopo e, dunque, come tipica di quel modo specifico dell’agire umano, che consiste nel produrre. Questo vuol dire, in termini heideggeriani, che il produrre porta e fa apparire l’ente della velatezza nella svelatezza. Ma la verità ò svelamento, ovvero velatezza e svelatezza ad un tempo, cosicchò pure la tecnica, in quanto produrre, rientra a pieno titolo nell’ambito della verità . E del resto questo era il modo in cui i Greci concepivano la tecnica, ma anche la tecnica del mondo moderno ò un modo dello svelamento, con la differenza che in essa la natura appare come deposito di risorse energetiche di cui si può usufruire. Nella tecnica moderna, quindi, mondo e impianto, risultante da una im -posizione, formano una cosa sola. Nell’impianto l’essere dell’ente coincide con il suo essere rappresentabile e impiegabile e questo vuol dire che esso ò reso presente e disponibile alla conoscenza e alla prassi umana. L’impianto dà quindi all’uomo la possibilità di aumentare il proprio valore fino a configurarsi come signore della terra, ma così resta dimenticato l’essere nella sua verità , cioò come evento che, nello svelarsi, al tempo stesso si nasconde e si sottrae sempre ad una totale disponibilità ; nella tecnica moderna arriva all’apice la nullità dell’essere e del mondo, ridotto ad una somma di enti meramente presenti e disponibili alla manipolazione umana: essa rappresenta quindi il nichilismo come esito ultimo dell’epoca della metafisica. Nel mondo della tecnica come impianto l’uomo perde la sua essenza, che risiede nel salvaguardare la verità e metterla al riparo nella sua inesauribilità . Ben lontana dal rappresentare il disincanto del mondo (come aveva voluto Weber), la tecnica moderna assoggetta il mondo col suo incantesimo e per questo motivo Heidegger ravvisa in essa un pericolo per l’umanità , soprattutto in quanto genera l’ illusoria impressione che non sussista pericolo alcuno. Questo non vuol dire però che la salvezza debba essere ricercata al di fuori della tecnica, in un ricordo tanto nostalgico quanto assurdo ad una situazione pretecnologica; piuttosto, come aveva spiegato Hà¶lderlin, ‘ dove ò il pericolo, cresce anche ciò che salva ‘. In altre parole, per Heidegger, proprio quando il pericolo si rivela come tale, allora può esserci la svolta e si può essere richiamati al fatto che l’essere non ò mai del tutto disponibile all’uso da parte dell’uomo; in virtù di questo richiamo, la tecnica può cessare di essere praticata in modo cieco o come semplice strumento di dominio della natura e l’uomo può acquisire l’ abbandono necessario per adoperare gli strumenti della tecnica, ma in modo da rendersi libero per il mondo in quanto non riducibile ai soli usi della tecnica; si possono in questo modo porre le condizioni per un possibile nuovo avvio rispetto all’epoca della metafisica, ormai terminata.
- 1900
- Filosofia - 1900