Verre, profanatore di luoghi sacri - Studentville

Verre, profanatore di luoghi sacri

Ex amplissimo collegio decemvirali sacerdotes populi Romani, cum esset in urbe nostra Cereris pulcherrimum et magnificentissimum templum, tamen usque Hennam profecti sunt. Tanta erat enim auctoritas et vetustas illius religionis, ut, cum illuc irent, non ad aedem Cereris, sed ad ipsam Cererem proficisci viderentur. Non obtundam diutius; etenim iam dudum vereor ne oratio mea aliena ab iudiciorum ratione et a cotidiana dicendi consuetudine esse videatur. Hoc dico, hanc ipsam pulcherrimam Cereris statuam antiquissimam, religiosissimam, principem omnium sacrorum quae apud omnes gentes nationesque fiunt, a C. Verre ex suis templis ac sedibus esse sublatam. Venit enim mihi fani, loci, religionis illius in mentem; versantur ante oculos omnia, dies ille quo, cum ego Hennam venissem, praesto mihi sacerdotes Cereris cum infulis ac verbenis fuerunt, contio conventusque civium, in quo ego cum loquerer, tanti gemitus fletusque fiebant, ut acerbissimus tota urbe luctus versari videretur. Hic dolor erat tantus, ut Verres alter Orcus venisse Hennam et non Proserpinam asportavisse, sed ipsam abripuisse Cererem videretur. Etenim urbs illa non urbs videtur, sed fanum Cereris esse; habitare apud sese Cererem Hennenses arbitrantur, ut mihi non cives ullius civitatis, sed omnes sacerdotes, omnes accolae atque antistites Cereris esse videantur.

Versione tradotta

E allora dei sacerdoti del popolo romano, (provenienti) dal nobilissimo collegio dei decemviri, pur essendovi nella nostra città un tempio di Cerere bellissimo e magnifico, tuttavia si misero in viaggio fino a Enna. Erano infatti così grandi l’importanza e l’antichità di quel culto che, recandosi lì, non sembrava andassero in un tempio di Cerere, ma da Cerere in persona. Non (vi) annoierò oltre; infatti già da un pezzo temo che la mia arringa appaia incompatibile con la prassi giudiziaria (iudiciorum ratio) e con la consueta oratoria forense (dicendi consuetudo: consuetudine del parlare [in pubblico]). Dico (soltanto) che proprio questa bellissima statua di Cerere, la più antica, la più venerata, il primo fra gli oggetti di culto che vi sono presso tutti i popoli e nazioni, fu da Gaio Verre tolta dal suo tempio e dal suo posto. Mi tornano infatti alla mente quel santuario, quel luogo, quel culto; mi stanno davanti agli occhi tutti i particolari, quel giorno in cui, dopo essere arrivato a Enna, si presentarono davanti a me (praesto mihi… fuerunt) le sacerdotesse di Cerere con le bende e i ramoscelli sacri, nonché una grande adunanza (contio conventusque) di cittadini, da cui, mentre parlavo, provenivano gemiti e pianti così forti che un gravissimo cordoglio pareva diffondersi in tutta la città. Ma questo dolore era così acuto che sembrava (loro) che Verre fosse giunto a Enna come un secondo Plutone e che non avesse portato via Proserpina, bensì avesse rapito la stessa Cerere. E veramente quella città non dà l’impressione di essere una città, ma il santuario di Cerere; gli Ennesi ritengono che Cerere abiti presso di loro, sicché (mi) pare che siano non già i concittadini di quella città, ma tutti sacerdoti, tutti abitanti e sacerdoti (del tempio) di Cerere.

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