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Vita

Vita e opere.

Hannah Arendt nasce nel 1906 a Hannover, in una famiglia benestante appartenente alla borghesia ebraica, ma non avevano legami particolari con il movimento e con le idee sioniste. A Kà¶nigsberg, dove nel frattempo la famiglia si ò trasferita, consegue nel 1924 l’ “Abitur”, titolo di studio che equivale all’italiano diploma di maturità . Conseguito l’ “Abitur” decide di iscriversi all’Università  di Marburg, dove si stava facendo strada la tendenza più interessante di quegli anni, la fenomenologia di Husserl. Arendt incontra un giovane docente destinato a diventare uno dei pensatori più importanti del XX secolo: Martin Heidegger. Con il filosofo tedesco Hannah intratterrà  un rapporto personale intenso, che la coinvolgerà  sotto diversi aspetti (anche sentimentali) per l’intero arco della vita. Nel 1925 si reca a Friburgo per un semestre di studio, al fine di seguire le lezioni del fondatore della filosofia fenomenologica Edmund Husserl. Quindi, seguendo le indicazioni di Heidegger, si sposta all’Università  di Heidelberg, dove sotto la guida di Karl Jaspers prepara e porta a termine nel 1929 la ricerca di dottorato “Der Liebensbegriff bei Augustin” (“Il concetto di amore in Agostino. Saggio di interpretazione filosofica”). Nel 1929, trasferitasi a Berlino, ottenne una borsa di studio per una ricerca sul romanticismo dedicata alla figura di Rahel Varnhagen (“Rahel Varnahagen. Storia di un’ebrea”). Nello stesso anno sposa Gà¼nther Stern, un filosofo conosciuto anni prima a Marburg. Dopo l’avvento al potere del nazionalsocialismo e l’inizio delle persecuzioni nei confronti delle comunità  ebraiche, Hannah abbandona la Germania nel 1933 attraversando il cosiddetto “confine verde” delle foreste della Erz. Passando per Praga, Genova e Ginevra giunge a Parigi, dove conosce e frequenta, tra gli altri, lo scrittore Walter Benjamin e il filosofo e storico della scienza Alexander Koirè. Fino al 1951, anno in cui le verrà  concessa la cittadinanza statunitense, rimane priva di diritti politici. Nella capitale francese collabora presso istituzioni finalizzate alla preparazione di giovani ad una vita come operai o agricoltori in Palestina (l’Agricolture et Artisan e la Yugend-Aliyah) e diventa, per alcuni mesi, segretaria personale della baronessa Germaine de Rothschild. Nel 1940 si sposa per la seconda volta, con Heinrich Blà¼cher. Ma gli sviluppi storici del secondo conflitto mondiale portano Hannah Arendt a doversi allontanare anche dal suolo francese: internata nel campo di Gurs dal governo Vichy in quanto “straniera sospetta” e poi rilasciata, dopo varie peripezie, riesce a salpare dal porto di Lisbona alla volta di New York, che raggiunge insieme al coniuge nel maggio 1941. Il periodo americano inizia in maniera non certo facile: alle iniziali difficoltà  economiche si aggiunge l’impegno, faticoso quanto necessario, dell’apprendimento di una nuova lingua. Nonostante tutto ò proprio nel nuovo mondo che Hannah ha modo di creare nuove amicizie e di scrivere opere importanti, che le permettono di acquisire autorevolezza e notorietà  come intellettuale e pensatrice politica. Nella sua intensa attività , Hannah Arendt ò costantemente supportata da una particolare famigliarità  con la scrittura: possiede infatti il talento non comune di unire, con fluidità , il pensiero alla penna. In modo più o meno marcato ma sempre indelebile, tale capacità  può essere vista come un segno distintivo, presente in tutti i suoi scritti. Le riflessioni vengono proposte attraverso uno stile personale, rigoroso e discorsivo al tempo stesso: in quanto scrittrice avversa al dogmatismo culturale, Hannah Arendt non vuole la passività  del lettore, ma al contrario ricerca e richiede un suo coinvolgimento attivo, attento, dialogico. La figura e l’opera di questa pensatrice possono costituire una esempio eloquente della possibilità  di un felice connubio fra pensiero e parola, contemplazione e azione, tradizione e innovazione. Nel 1951 pubblica il fondamentale “The Origins of Totalitarianism” (“Le origini del totalitarismo”), frutto di un’ accurata indagine storica e filosofica. In tale contesto, particolarmente interessante risulta essere l’analisi della cosiddetta “ideologia”, intesa come uso indebito della facoltà  razionale umana e perciò crogiolo potenziale di ogni dinamica totalitaria. La mente gioca con se stessa: l’atteggiamento ideologico, privo di un vero ideale, assolutizza la facoltà  logica facendola esorbitare dai suoi limiti costitutivi, in modo tale da costruire una pseudo-realtà , impermeabile all’esperienza della realtà  autentica, al cui interno vige la pretesa di spiegazione totale che nega, di fatto, la vocazione della natura umana alla libertà  di iniziativa. Dal 1957 comincia la carriera accademica vera e propria: ottiene insegnamenti presso le Università  di Berkeley, Columbia, Princeton e, dal 1967 fino alla morte, anche alla New School for Social Research di New York Nel 1961, in qualità  di inviata del settimanale “New Yorker”, assiste al processo contro il gerarca nazista Eichmann. Il resoconto di questa esperienza viene inizialmente pubblicato a puntate sulla rivista newyorkese e successivamente proposto in forma unitaria nel 1963, con il libro “Eichmann in Jerusalem: A Report on the Banality of Evil” (“La banalità  del male. Eichmann in Gerusalemme”). Sempre nel 1963 pubblica “On Revolution” (“Sulla rivoluzione”), saggio politologico dalle cui pagine emergono giudizi negativi sia sulla Rivoluzione francese sia su quella russa. L’assunto principale dell’opera, il punto fisso su cui fa leva il discorso dell’autrice, ò l’intelligenza della correlazione presente fra libertà  e politica: la politica infatti ò vista, essenzialmente, come l’attività  che preserva, cura e garantisce lo spazio all’esercizio concreto della libertà  in tutte le sue forme di attuazione. Nel 1972 viene invitata a tenere le Gifford Lectures all’Università  scozzese di Aberdeen, che già  in passato aveva ospitato pensatori di prestigio come Bergson, Gilson e Marcel. Due anni più tardi, durante il secondo ciclo delle “Gifford”, subisce il primo infarto. Altre opere significative sono “The Human Condition” del 1958 (“Vita activa. La condizione umana”) e il volume teoretico “The Life of the Mind” (“La vita della mente”), uscito postumo nel 1978, attraverso cui Hannah, sulla scia originaria della migliore filosofia greca, riporta al centro dell’esistenza umana la “meraviglia” (il qaumazein ). Tale “stupore” metafisico non ò uno stato psicologico, bensì un elemento costitutivo della capacità  dell’essere umano di conoscere, pensare e vivere in modo costruttivo, come persona in comunione con altre persone. Il 4 dicembre 1975 muore a causa di un secondo arresto cardiaco, nel suo appartamento di Riverside Drive a New York: questo il capolinea storico di un’esistenza “pensante”, pervasa da un senso di gratitudine sempre fedele alla realtà  delle cose. Una vita densa non solo di studi e letture ma anche di incontri, luoghi, eventi.

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