La vita e le opere Agostino nasce nel 354 a Tagaste, nell’ attuale Algeria. La madre Monica è cristiana e sarà la figura dominante nella vita del figlio. Il padre Patrizio, pagano, pur avendo scarsi mezzi, gli fa impartire un’ educazione letteraria e retorica. Nella provincia d’ Africa da tempo fioriva la cultura retorica, come dimostra l’ opera di pagani quali Apuleio e di cristiani quali Tertulliano. Agostino studia a Madaura e poi nel 371 a Cartagine, ma non apprende il greco. In questo periodo conduce una vita di dissipazione e si lega con una donna, della quale si ignora il nome, con la quale convive per 15 anni, avendone anche un figlio di nome Adeodato. Respinto dalla rozzezza dei racconti e dello stile della Bibbia, legge un’ opera perduta di Cicerone, l’ Ortensio, dove trova teorizzato il primato della vita filosofica. Si avvicina allora ad una forma di religione di tipo gnostico, il manicheismo, ampiamente diffuso in Africa. Il fondatore di esso, Mani, originario della Persia, si era presentato come apostolo di Cristo, ma fautore di una religione universale e aveva svolto intensa opera di predicazione, sicchò verso il 276 era stato giustiziato dal governo sassanide. I suoi discepoli ne avrebbero continuato l’ attività missionaria, diffondendo il manicheismo fino in Cina. A Cartagine il manicheismo si era insediato già dal 297. Si trattava di una religione dualistica, nella quale confluivano elementi di origine persiana, ma soprattutto elementi gnostici, anche cristiani. Il nucleo era il riconoscimento dell’ esistenza di due regni, della luce e delle tenebre, ciascuno retto da un principio divino. La vita del manicheo era vista come preparazione all’ evento che avrebbe posto fine alla mescolanza di luce e tenebre. Per 9 anni circa, dal 374 al 383, Agostino, suscitando la contrarietà della madre, aderisce al manicheismo come uditore ( l’ equivalente del catecumeno cristiano ): per il manicheismo è il male il creatore del mondo e paradossalmente questo è il peggiore dei mondi possibili ( l’ esatto contrario di quanto dicevano gli Stoici ). Il manicheismo era una religione che andava incontro ad un personaggio come Agostino che sentiva assai forte il senso del peccato in quanto essa dava al male consistenza ontologica: da giovane Agostino aveva condotto una vita piuttosto dissoluta e peccaminosa e questo lo testimonia egli stesso affermando di aver proferito in gioventù queste parole ” Signore dammi la castità , ma non adesso “. Dopo un soggiorno a Tagaste nel 375, si reca a Cartagine per continuare i suoi studi e insegnare la retorica. Qui si circonda di alcuni amici, tra i quali Alipio e Nebridio, compone verso il 380 il suo primo scritto ” Sul bello e sul conveniente “, che non ci è pervenuto, e comincia a nutrire i primi dubbi sul manicheismo: si reca da uno dei principali esponenti manichei per avere spiegazioni esaurienti, però quello gli dà spiegazioni effettivamente poco convincenti sul piano razionale: fa appello a una mitologia ricca e lussurreggiante. Deluso tanto dal cristianesimo della madre, rozzo e irrazionale quanto dal manicheismo si dà alla filosofia scettica dove arriva alla conclusione di sapere di non sapere, per dirla alla Socrate. Tutte queste esperienze lasciano tracce in lui: del manicheismo permane in Agostino l’ idea del senso del peccato e la visione dell’ umanità come ” massa damnationis “, dello scetticismo gli rimarrà l’ idea dell’ impossibilità di avere certezze. Nel 382 decide di trasferirsi con la madre, la concubina, il figlio e alcuni amici a Roma, dove insegna retorica, riscuotendo successo e attirando l’ attenzione di Simmaco, prefetto della città . Questi riceve l’ ordine di scegliere un professore di retorica per Milano, dove risiede la corte imperiale, e propone Agostino. Anche per l’ appoggio di influenti manichei ( sebbene Agostino si fosse già sganciato da tale religione ), la proposta è accolta. Nel 384 Agostino arriva a Milano e può assistere alle prediche del vescovo Ambrogio. Sorrette dall’ interpretazione allegorica e spirituale delle Scritture, pervase dalla presenza di dottrine neoplatoniche, dal riconoscimento della superiorità dell’ anima sul corpo e del suo destino ultraterreno, queste prediche lo predispongono alla lettura della Bibbia. Nel 385 decide di farsi catecumeno, abbandona la sua concubina e, insieme ad alcuni amici, legge i ” libri dei Platonici, ossia Plotino e Porfirio, forse nella traduzione di Mario Vittorino. In essi, egli trova argomentata la supremazia e l’ autonomia del mondo incorporeo e spirituale. Neoplatonismo e cristianesimo gli appaiono conciliabili, ma avverte che il primo è sprovvisto dei concetti di incarnazione e redenzione ad opera di Cristo. Ciò che egli cerca è appunto una garanzia di stabilità in un ” dottore invisibile “, Dio. Agostino rimane affascinato dal cristianesimo in chiave platonica, raffinato ed esauriente, a differenza di quello della madre: in questo periodo il cristianesimo sta sempre più diventando la religione di stato, anche grazie ad Ambrogio; Agostino scopre che ciò che dice il vangelo di Giovanni è affine a ciò che dicevano i neoplatonici ed in particolare Plotino: in principio era il Logos. Noi moderni non ci stupiamo tanto, in quanto è evidente che Giovanni è assai influenzato dal neoplatonismo. Nel 386 avviene la conversione, che egli racconterà più tardi nelle Confessioni. Affetto da un dolore al petto, decide di ritirarsi con il figlio, la madre e alcuni amici nella villa di un amico a Cassiciaco, vicino al lago di Como. Qui scrive un primo gruppo di opere, dialoghi alla maniera di Cicerone: ” Contro gli Accademici “, ” Sulla vita beata “, ” Sull’ ordine “, ” Sull’ immortalità dell’ anima “, quest’ ultimo rimasto incompiuto. Nuovi anche nel titolo, oltre che nella forma, sono invece i ” Soliloqui “, che iniziano con una preghiera e proseguono come colloquio tra la sua ragione e la sua anima. Nell’ aprile del 387 riceve il battesimo a Milano da Ambrogio e prende la decisione di tornare in Africa a condurre una vita cristiana di meditazione. Durante il tragitto, muore ad Ostia la madre Monica. Alla fine del 388 Agostino arriva in Africa e si stabilisce a Tagaste, vivendo per due anni con un piccolo gruppo di persone secondo il modello della comunità monastica, ma continua anche a scrivere libri. In particolare, egli progetta di comporre una serie di scritti sulle arti liberali: di essi è rimasto soltanto quello ” Sulla musica “. Di questo periodo sono anche opere di rilevanza filosofica, come ” Sul maestro “, nel quale egli espone le sue concezioni dell’ apprendimento, ” Sul libero arbitrio ” e ” Sulla vera religione “, dove è elaborata la tesi del cristianesimo come vera religione, fondata sulla concezione di un unico Dio creatore. Questa tesi segna anche l’ ormai netto distacco dalle posizioni manichee, contro le quali egli compone in questi anni una serie di opere polemiche, in particolare sull’ interpretazione della Genesi. Nel 391 si reca a Ippona con l’ intenzione di fondarvi un monastero, ma è fatto prete per aiutare il vescovo della città , Valerio, che gli consente di predicare: inizia così l’ attività pastorale di Agostino, che durerà sino alla fine della sua vita. Nel 395 è nominato vescovo coadiutore e l’ anno successivo, alla morte di Valerio, vescovo a pieno titolo di Ippona. Sono anni in cui con gli scritti e con la predicazione Agostino combatte anche contro la Chiesa del vescovo Donato, fondata su una concezione rigoristica e settaria della comunità ecclesiale, dalla quale devono essere esclusi tutti gli impuri. Nella lotta contro i donatisti, Agostino non esita ad appoggiarsi alle autorità imperiali e ad auspicare l’ uso di mezzi coercitivi anche violenti: l’ umanità , caduta con Adamo nel peccato, ha bisogno di freni, che le impediscano di ricadere nel male. Nel 411 un sinodo di vescovi riunito a Cartagine condanna il donatismo. Sempre più impegnato nella sua attività di vescovo, come protettore della comunità cristiana e arbitro nelle liti, Agostino continua a scrivere. Si tratta di opere in gran parte legate ai problemi della sua comunità e quindi dirette in primo luogo ai membri di essa; ma al tempo stesso egli si dedica anche ad opere di maggior respiro, che lo impegnano per parecchi anni. In particolare, nel 396 inizia uno scritto ” Sulla dottrina cristiana “, che sarà completato in 4 libri soltanto nel 427. In esso, egli fornisce un quadro complessivo della cultura cristiana, fondata sull’ utilizzazione del sapere elaborato dalla cultura classica, ma avente al suo vertice lo studio e l’ interpretazione della Bibbia. Verso il 397 egli inizia anche la composizione della sua opere letterariamente più originale, le Confessioni, in 13 libri, terminate verso il 400; e fra il 399 e il 419 scrive la sua opera teologica più importante, i 15 libri ” Sulla Trinità “. Parecchi anni, dal 401 al 414, richiede anche la stesura del suo trattato esegetico più importante, un commento alla Genesi. Nell’ agosto del 410 i goti, guidati da Alarico, saccheggiano Roma. Girolamo si chiede: ” se Roma può perire, che cosa può esservi di sicuro? “. Anche per rispondere alle accuse dei pagani, che imputano le sventure dell’ impero all’ ira degli dei contro i cristiani, Agostino compone nel 413 i primi tre libri della ” Città di Dio “. L’ opera sarà completata nel 426 raggiungendo il numero complessivo di 22 libri. In essa Agostino tenta di dimostrare la superiorità del cristianesimo su tutta la cultura pagana e sugli pseudo-valori che la sorreggono, ma nel frattempo egli è costretto anche ad affrontare un nuovo avversario, il pelagianesimo, che ai suoi occhi minaccia anch’ esso, come il donatismo, di frantumare l’ unità della Chiesa e del suo insegnamento. Pelagio era un monaco originario della Britannia, ma si era stabilito a Roma, vivendovi da laico battezzato per oltre 30 anni. Qui era riuscito ad attrarre nella sua cerchia anche l’ amico di Agostino, Paolino da Nola. Nel 411 Pelagio era sbarcato in Africa, ma non si era incontrato con Agostino, e l’ anno dopo era partito per la Palestina. Le sue dottrine continuarono però ad essere diffuse nell’ ambiente di Agostino soprattutto ad opera di Giuliano di Eclano. Contro i pelagiani, e in particolare contro Giuliano, Agostino scrisse numerose opere, quali ” Sulla grazia di Cristo ” e ” Sul peccato originale “, ” Sulla grazia e sul libero arbitrio “, Sulla predestinazione dei santi. Tra la fine del 429 e la primavera del 430 i vandali, guidati da Genserico, invadono l’ Africa del nord e pongono l’ assedio anche a Ippona, difesa da Bonifacio con l’ aiuto di mercenari goti. Nell’ agosto del 430 Agostino è colpito da febbre e poco dopo muore. L’ anno successivo Ippona è evacuata ed in parte incendiata, ma la biblioteca di Agostino probabilmente sfugge alla distruzione. Verso la fine della sua vita Agostino aveva voluto riordinare i suoi scritti, li aveva riletti e aveva scritto le Retractationes ( termine che significa propriamente ” nuova trattazione ” ), nelle quali guardava all’ indietro a tutta la sua attività letteraria. Esse sono composte di due libri, forniscono l’ elenco delle sue opere principali, indicano l’ occasione della loro composizione e quali sono i loro contenuti e al tempo stesso danno una valutazione, talvolta autocritica, di esse. Nelle intenzioni di Agostino il lettore di questo nuovo tipo di libro deve percepire, come avviene anche con le Confessioni, l’ itinerario percorso dall’ autore. Agostino vuol dare un’ immagine di sò, inquietamente in evoluzione sino al suo periodo conclusivo. Il problema del male La lettura giovanile dell’ Ortensio di Cicerone, come già accennato, pone davanti agli occhi di Agostino l’ ideale di una vita filosofica; tuttavia, egli avverte di non avere in sò forze sufficienti per realizzare il modello del sapiente stoico, che disprezza i piaceri e le ricchezze. Sin dall’ inizio egli si pone l’ interrogativo: perchò facciamo il male? La sua adesione al manicheismo è legata alla convinzione di poter trovare in esso la risposta a questa domanda. Esso, infatti, riconosce l’ esistenza reale di un principio del male, dal quale dipendono le nostre azioni cattive; ma il manicheismo è permeato anche dal desiderio di essere liberati dal male e di tornare al regno della luce. Ciò che del manicheismo attrae il giovane Agostino è anche la critica alla rappresentazione antropomorfica della divinità nell’ Antico Testamento e soprattutto il fatto che esso richiede un’ adesione fondata non sull’ autorità , bensì sull’ approfondimento filosofico. Ma la rilettura a Milano, nel 384, degli scritti di Cicerone, vicini allo scetticismo dell’ Accademia, comincia a suscitare dubbi sulla coerenza della dottrina manichea, oltre che sul suo dogmatismo e settarismo. I manichei parlano di due principi in lotta tra loro: ma se il principio delle tenebre non può esercitare un’ azione o addirittura danneggiare il principio della luce, ha significato parlare di una lotta tra essi? Se Dio trova contrapposto a sò un principio del male, è segno che egli ne subisce l’ azione, ma come è possibile che Dio subisca mutamenti e addirittura soffra? Dio, se è bene perfetto, deve essere immutabile e incorruttibile. Platone aveva insegnato che solo ciò che è incorporeo e puramente intellegibile è immutabile; questo stesso insegnamento Agostino ritrova nelle prediche di Ambrogio. Plotino, dal canto suo, aveva mostrato che il bene, ben lungi dall’ essere passivo, irradia da sò i molti. La conclusione di Agostino è che non possono esistere due principi contrapposti, tanto meno due principi corporei: la divinità è unica, incorporea e incorruttibile. Ma se Dio è bene ed è l’ unico principio, creatore di tutte le cose, il male fisico e il male morale, i dolori e le colpe, derivano anch’ essi da Dio? In un primo momento, negli anni della conversione, la risposta di Agostino è vicina alla soluzione del neoplatonismo. Tutto ciò che è, in quanto è, è bene e proviene dal Sommo Bene, che è anche il supremo essere. Certamente esiste una gerarchia dei beni, che va dal Sommo Bene, Dio, a ciò che è soltanto corporeo. Il livello spirituale si trova nel mondo sensibile solo in forma indebolita e imperfetta, ma anche le entità del mondo sensibile, in quanto sono dotate di essere, non sono male. Il male non è altro che mancanza, non essere, come la cecità è rispetto alla vista. Dunque quello che sarà chiamato male metafisico non esiste propriamente, secondo Agostino. Dal manicheismo, che riconosce nel male addirittura un principio costitutivo del mondo, Agostino è passato alla posizione opposta, negando vera e propria realtà al male. Inoltre, come già aveva insistito Plotino, un ordine è tanto più perfetto quanti più contrasti presenta al suo interno: la bontà di quest’ ordine risulta dall’ insieme dei suoi costituenti, non dalle cose singolarmente prese. Ciò che singolarmente preso può apparire male, infatti, visto nell’ insieme ordinato delle cose si configura come bene. Resta da chiarire in che cosa consistano allora le sofferenza e i dolori, ossia il male fisico e le azioni malvage, ossia il male morale. Quando l’ anima compie il male, non passa da un bene a un’ entità che sia di per sò un male, in quanto, come si è visto, il male non ha propriamente realtà . L’ azione malvagia consiste, invece, nel dirigersi dalla volontà del bene eterno a un bene temporale, nell’ amare un bene che è inferiore al Sommo Bene come se fosse il Sommo Bene. In ciò consiste il peccato: esso è male, e non l’ oggetto che, peccando, è amato. E’ la volontà umana che, peccando, rende male ciò che di per sò non ò male: in essa è dunque l’ origine del male, non in Dio. Orientandosi verso ciò che è inferiore a Dio, la volontà malvagia si oppone a Dio. E’ quanto fanno gli angeli ribelli a Dio, i demoni e gli uomini. Con il peccato non si produce del male a Dio o all’ ordine complessivo del mondo, ma a se stessi: è la propria natura che viene corrotta. Chi commette una colpa ha già in ciò la sua punizione, in quanto si priva del Sommo Bene, che è Dio, per rivolgersi a beni inferiori e mutevoli. I mali fisici, a loro volta, non sono altro che conseguenze del male morale, punizioni per i peccati commessi. In questa prima fase della riflessione di Agostino il riferimento alla caduta, dovuta al peccato originale commesso da Adamo, non ha ancora posizione centrale. Si pone invece il problema, affrontato soprattutto nello scritto Sul libero arbitrio, del perchò Dio abbia dato all’ uomo la libertà . La risposta di Agostino è che senza la libertà non sarebbe possibile azione retta da parte dell’ uomo. Se l’ uomo non fosse libero di agire, come si potrebbe definire buona o cattiva una sua azione? D’ altra parte, se l’ uomo usa male la sua libertà , ossia la usa per peccare, ciò non dipende da Dio. Questi non ha dato all’ uomo la libertà , che di per sò è un bene, per peccare. Ma come è possibile ciò con la prescienza propria di Dio? Si potrebbe, infatti, obiettare che, in quanto presciente, Dio sappia che l’ uomo peccherà e dunque è necessario che l’ uomo pecchi: ma se è necessario, allora il peccare non è un atto libero. Agostino risponde che Dio prevede la nostra azione, ma la prevede come dovuta alla nostra volontà . Questa non potrebbe essere propriamente volontà , se non fosse in nostro potere; ma essa è in nostro potere, se noi siamo liberi, dunque Dio prevede la volontà come in nostro potere e pertanto la sua prescienza non ci sottrae la libertà . Ricerca e interiorità Per arrivare alla conversione è vero che Agostino viene influenzato dal neoplatonismo, ma questo di per sò non basterebbe: egli effettua un ragionamento di forte influenza scettica: gli uomini di fatto vengono ingannati dai sensi, la loro conoscenza è limitatissima, e dubitano di tutto: pare quindi che non vi siano certezze, ma in realtà una c’ò, ed è la certezza di dubitare, la certezza di essere soggetti dubitanti; se si è certi di qualcosa, vuol dire che c’è una verità posseduta dall’ uomo che gli permette di entrare in contatto con la Verità , la verità in sò per dirla alla Platone: all’ uomo basta cogliere una sola verità per entrare in contatto con la Verità in sò, l’ idea di Verità : tutte le particolari verità con le quali l’ uomo può entrare in contatto sono pallide manifestazioni del principio supremo, ossia la Verità in sò; secondo Agostino dall’ unica verità che possediamo, quella di non avere certezze, possiamo risalire fino a raggiungere la Verità assoluta, che altro non è che Dio. Si parte quindi dai limiti dell’ uomo per arrivare a conoscere Dio. Questo processo particolare vuole che la ricerca della Verità assoluta sia tutta interna all’ uomo ( Agostino diceva ” redi in te ipsum ” ), ma che il culmine, ossia Dio, sia qualcosa di trascendente: Agostino diceva sempre di aver cercato due cose, l’ anima e Dio, senza mai indagare la realtà , ma limitandosi alla trascendenza. La ricerca dell’ anima e quella di Dio sono poi la stessa cosa: è lo scavare nell’ anima che mi porta a Dio; il punto estremo dell’ interiorità è un qualcosa che va oltre all’ anima, similmente a ciò che diceva Plotino. L’ essenza della nostra anima è divina: è come se si avesse un principio divino dentro di noi. Esaminiamo ora il tutto in termini di Logos, ossia di razione divina: scavando dentro di noi, il Logos interno che possediamo, ossia la nostra facoltà razionale, altro non è che una manifestazione del Logos divino, che altro non è che Dio, o meglio la ragione divina, o ancora meglio la seconda persona della Trinità , concezione che presenta parecchie analogie con le ipostasi plotiniane, con la differenza che i livelli della Trinità sono sullo stesso piano; l’ Arianesimo, però, voleva il Figlio subordinato al Padre. Con Agostino, il cristianesimo sorpassa la concezione di Trinità ( Padre, Figlio e Spirito Santo ) puramente metaforica e arriva a dare una dimostrazione filosofica: il Padre è potenza, il Figlio è sapienza e lo Spirito Santo è amore; ma perchò? Esaminiamo il Credo cristiano, dove il rapporto tra Padre e Figlio è così definito: ” il Figlio è generato dal Padre, lo Spirito procede dal Figlio e dal Padre ” ( la differenza tra Chiesa occidentale e Chiesa orientale è che quella orientale dice che lo Spirito procede solo dal Padre, mentre quella occidentale dice ” filioque “, anche dal Figlio ). La prima persona è onnipotente, e la figura del padre dà l’ idea di potenza, poi essa genera un’ altra persona guardando dentro di sò, come se il Padre si specchiasse dentro: il ” rispecchiamento ” è metafora dell’ attività conoscitiva, e quindi il Figlio è la sapienza. Lo Spirito, invece, è l’ amore che unisce Padre e Figlio: la potenza del Padre crea un altro dio, il figlio, che ò la sapienza del Padre e tra loro c’ò un rapporto di amore come tra due persone, e così abbiamo una terza persona: è quindi più sensata l’ interpretazione della Chiesa occidentale che vuole che l’ amore proceda da entrambe. Proprio come in Plotino vi è una ipostatizzazione delle facoltà umane: potenza, amore e sapienza, che nell’ uomo sono presenti in forma limitata, in Dio illimitata; la differenza rispetto a Plotino e ai Neoplatonici è che per Agostino l’ uomo è più completo, in quanto in lui non vi è solo la sfera conoscitiva. Va però detto che il cristianesimo dei tempi di Agostino era profondamente diverso rispetto a quello dei giorni nostri: in un primo tempo infatti il cristianesimo non prometteva al credente l’ immortalità dell’ anima, ma solo la resurrezione del corpo, che sarebbe dovuta avvenire nell’ arco di un breve periodo di tempo; visto che però il mondo non finiva mai e che quindi la resurrezione dei corpi continuava ad essere rimandata, i cristiani attinsero da Platone e dalla sua teoria dell’ immortalità dell’ anima; ma ricordiamoci che il Dio cristiano è un Dio incarnato, che viene definito nella lettera ai Romani ” scandalo per gli ebrei e follia per i pagani “: è una concezione molto rozza, dalla quale Agostino non poteva che aborrire. Quando egli parla della resurrezione parla di corpi trasfigurati dove non vi è l’ irrecuperabilità della materia, ossia essa non ha connotazioni negative come era per Platone: il cristianesimo antico, e quindi anche quello di Agostino, non era, come quello del giorno d’ oggi, avverso alla materia e il vero spiritualismo era costituito soprattutto dal neoplatonismo. Agostino riprende, come detto, l’ ipostizzazione e la colloca nell’ ambito delle facoltà umane: le nostre facoltà , per esempio la ragione, sono imitazioni, per dirla alla Platone, delle tre persone divine, ossia della Trinità ; la potenza, l’ amore e la sapienza di Dio sono personificate, a differenza da ciò che aveva fatto Plotino: per questo, dice Agostino, l’ uomo è fatto a immagine e somiglianza di Dio: la nostra ragione non è altro che una pallida imitazione del Logos divino. La conversione al cristianesimo non significa in Agostino abbandono della filosofia, ma fiducia di poter proseguire l’ indagine intellettuale con l’ aiuto di Dio. Filosofia ed esperienza religiosa si fondono in un insieme inscindibile, un ” sinolo “, per dirla alla Aristotele. Per arrivare al processo di ricerca interiore già esplicato, Agostino ricorre alla citazione biblica ” Cerca e troverai “. Nel periodo in cui egli scrive i suoi primi scritti, Cristo, in una certa misura, incarna ancora in forma visibile quella saggezza che il filosofo cerca nella sua forma invisibile. In questo periodo egli è convinto che gli antichi filosofi, se rinascessero, diventerebbero cristiani. La felicità risiede in primo luogo nella sapienza, nel vivere in conformità a quanto ha di meglio la natura umana, ossia in conformità alla ragione. E la sapienza è conseguibile, come mostrano le verità matematiche, che sono indubitabili: che tre per tre faccia nove è necessariamente vero, anche se il genere umano per ipotesi non esistesse. Ritenere, come fanno gli scettici, che l’ unico criterio è dato dal verosimile e non dal vero è per Agostino assurdo, perchò non è possibile dire che qualcosa è simile al vero, se non si conosce il vero. Nello scritto Sul libero arbitrio, Agostino elabora la seguente argomentazione: tu sai di esistere e di ciò non puoi dubitare, perchò se tu non esistessi non potresti neppure essere ingannato. Questo fatto non potrebbe esserti evidente se tu non esistessi: è dunque evidente che tu esisti e vivi. Ma allora è anche evidente che qualcosa ti è evidente e che tu lo comprendi, dunque chi esercita il pensiero deve esistere e vivere. Questa argomentazione è ripresa da Agostino nel de Trinitate e nella Città di Dio e si può compendiare nella formula: si fallor, sum. Se m’ inganno, esisto ed ho la certezza di esistere. Questa argomentazione ha la peculiarità di cercare la garanzia della verità e della certezza non nel mondo esteriore, bensì in quello interiore, come già abbiamo detto. Ma non abbiamo ancora spiegato che cosa Agostino intenda per Verità . Agostino lo spiega nello scritto Sulla ragione dove afferma che essa è una e immutabile e mostra ciò che è. La Verità non è altro che il pensiero, la parola di Dio; essa è eterna e quindi continua a sussistere anche nell’ ipotesi che il mondo vada distrutto. Infatti, argomenta Agostino, se il mondo perirà , è vero che perirà e, se rimarrà , è vero che rimarrà . Si può addirittura concludere che, se anche la Verità scomparirà , sarà vero, dopo la scomparsa della Verità , che essa è scomparsa. Ma questo argomento non può essere vero, se la verità non c’è più: occorre, dunque, ammettere che la Verità è eterna. Anche questa argomentazione agostiniana a favore dell’ eternità della Verità ha la prerogativa di svincolare la nozione di Verità dall’ esistenza delle cose esterne. Chiaramente Agostino fa dell’ anima il luogo della conoscenza sulla scia dei platonici, dicendo che il mondo sensibile non ha autonomia, ma che nella migliore delle ipotesi è soltanto immagine del mondo intellegibile, al quale solo l’ anima può accedere. Così ogni processo educativo ha soltanto una funzione esterna di preparazione all’ avvento della ragione: il vero apprendimento avviene all’ interno, dove l’ anima entra in contatto con quel maestro interiore che è Cristo. Il linguaggio stesso è solo uno strumento per insegnare, imparare e ricordare ciò che si è appreso. Le parole sono segni, ma il contenuto a cui si riferiscono i segni non può essere colto con certezza attraverso i segni stessi. L’ impossibilità di una conoscenza diretta delle cose e la necessità di una conoscenza e comunicazione indiretta attraverso segni sono interpretate da Agostino come risultati della caduta nel peccato, quando Adamo e Eva si accorsero di non poter comunicare se non attraverso l’ artificio del linguaggio e dei gesti. Il ponte tra Dio e l’ uomo è colmato dalla Bibbia con le sue immagini e il suo linguaggio di segni dai molteplici significati. La Bibbia è la base della dottrina cristiana, che per intendere la parola di Dio depositata in essa utilizza tutti gli strumenti utili, dalla grammatica alla dialettica, elaborati dalla cultura pagana. Il mondo delle scienze profane può così essere riassorbito e posto al servizio dello studio della Bibbia. La Verità è eterna, mentre l’ anima umana è una sostanza immortale, indipendente dal corpo, ma non eterna. La Verità non proviene dai sensi, nò è prodotta dall’ uomo; altrimenti essa sarebbe effimera come i corpi e sottoposta a tutte le oscillazioni alle quali è sottoposto l’ uomo. La Verità è qualcosa, come detto, che l’ anima trova dentro di sò, non fuori, nel mondo. E’ solo l’ illuminazione, l’ irradiarsi della parola divina, che può condurre alla conoscenza oggettiva; essa consente all’ uomo di accedere alla verità , come già aveva detto Platone nella ” Repubblica “, è l’ analogo della luce. Grazie a questa luce interiore l’ anima può recuperare, in un processo di reminescenza, le verità immutabili, le idee e le ragioni delle cose, quelle che Agostino chiama ” regole eterne “, i principi universali, i criteri di verità . Platone aveva identificato la fonte di quella luce che è la Verità con l’ idea di Bene. Agostino, sulla scorta del Vangelo di Giovanni, può ravvisarla nel Logos che ” illumina ogni uomo che viene in questo mondo “. Contrariamente a quanto aveva sostenuto Platone, le idee non hanno esistenza autonoma, ma esistono nel Logos come modelli della creazione delle cose. Grazie alla verità universale e immutabile diventa allora possibile il riconoscimento delle stesse verità da parte di individui diversi. La verità generata dall’ illuminazione divina garantisce la stessa possibilità di comunicazione e accordo tra gli uomini. Il programma di Agostino trova allora la sua piena enunciazione all’ inizio dei Soliloqui: voglio conoscere Dio e l’ anima, ma la ricerca dell’ uno è indisgiungibile da quella dell’ altra. Più precisamente, si tratta di quell’ itinerario già descritto che porta dall’ anima a Dio. Dio ò, secondo il dettato neoplatonico, pura unità , ma per Agostino, contrariamente a quanto pensava Plotino, Dio è anche vero essere, verità , pensiero, . L’ anima partecipa della luce dell’ intellegibile, che ha il suo fondamento in Dio. Di conseguenza l’ anima che conosce se stessa, riconosce in sò come sua origine Dio. Per conoscere è quindi necessario non uscire fuori di sò; emerge in questo modo la dimensione costitutiva dell’ attività filosofica di Agostino: uno spazio entro il quale Dio e l’ anima sono soli e l’ anima può rivolgersi direttamente a Dio. Agostino riprende la forma platonica del dialogo, ma essa si trasforma ora nel dialogo diretta a tu per tu fra l’ uomo singolo e Dio. Platone aveva sostenuto che il pensiero è dialogo dell’ anima con se stessa, non con Dio, nò Plotino aveva colloquiato con l’ Uno impersonale, privo di qualsiasi tratto che potesse avvicinarlo all’ uomo. Per Agostino, invece, il pensiero diventa dialogo interiore tra l’ uomo e Dio. Questa impostazione dà origine a un tipo nuovo di scritto, emblematicamente rappresentato dalle Confessioni, nelle quali domanda filosofica e preghiera a Dio fanno tutt’ uno. Agostino adotta il linguaggio dei Salmi, di un uomo che si rivolge a Dio, ma in generale le Sacre Scritture possono ora essere costantemente introdotte come la parola e la risposta di Dio alle domande dell’ anima. I testi sacri non sono tanto un oggetto esterno da interpretare, quanto uno dei poli del dialogo tra l’ anima e Dio. Nelle Confessioni i fatti biografici sono inquadrati entro una cornice teologica. L’ esperienza individuale di Agostino, nella totalità delle sue componenti carnali, emotive e conoscitive, ricapitola la storia della redenzione dal peccato per l’ intervento della grazia. In questo senso essa diventa anche storia collettiva dell’ itinerario dell’ anima verso la verità e la salvezza. E contemporaneamente ò anche la dimostrazione del fallimento dei tentativi, da parte dei filosofi antichi, di raggiungere la felicità con forze soltanto proprie. Non è più la filosofia ad essere la vera terapia dell’ anima, Agostino dice: ” il nostro cuore è inquieto finchò non riposi in te “, ossia nel Dio guaritore che parla nell’ interiorità e attraverso i testi sacri. Ciò non significa che l’ aver ritrovato Dio ponga fine alla ricerca, almeno finchò si è in questa vita. Il porto al quale approda il convertito può ancora sempre essere agitato da tempeste e nell’ interiorità continuano a rimanere zone oscure, insondabili. Fede e ragione Uno dei temi fondamentali trattati da Agostino è quello riguardante il rapporto tra fede e ragione; la concezione agostiniana a riguardo può essere sintetizzata nell’ espressione: ” Credo ut intelligam, intelligo ut credam “, ossia credo per capire e capisco per credere. In Agostino il rapporto fede e ragione non ò vissuto in termini di esclusione reciproca ed è convinto che si possano intrecciare vicendevolmente; dunque se la ragione può intrecciarsi con la fede, allora la ragione umana non è corrotta, come aveva sostenuto Tertulliano. Per Agostino solo chi ha la fede può capire fino in fondo, ma, paradossalmente, chi ha solo la fede, a sua volta, non può capire fino in fondo: fede e ragione si completano a vicenda. Per avere una piena conoscenza di una verità bisogna partire dall’ atto di fede, tipico di una filosofia cristiana quale quella agostiniana: ricordiamoci che Agostino in primo luogo era cristiano, poi anche filosofo. Una volta fatto l’ atto di fede, si può capire meglio e applicare la ragione. Solo chi ha la fede può applicare la ragione fino in fondo, nel migliore dei modi. Però è solo con la ragione che si può comprendere l’ atto di fede: è come se la ragione illuminasse la fede. E tuttavia la sola ragione non basta, e cercare di capire Dio con essa, rifiutando l’atto di fede, sarebbe per Agostino come voler racchiudere in una ciotola l’intero mare; tuttavia, compiuto l’atto di fede, la ragione può illuminarci e farci comprendere meglio tale gesto, sì perchè in fondo sia la fede sia la ragione per Agostino hanno origine divina. Questa concezione fortemente positiva della ragione in Agostino trova corrispondenza con la Trinità : in fondo nella Trinità la ragione umana, il logos, non è altro che un barlume del Logos divino, ossia della ragione divina: la ragione umana è una copia della seconda persona della Trinità , la sapienza; è come se la ragione di ciascuno non fosse altro che un briciolo di divinità presente in noi. Fede e ragione risultano quindi essere per Agostino all’ incirca la stessa cosa, in quanto sono entrambi legati a Dio. Certo talvolta nel corso della storia ci sono stati evidenti casi di contrasto tra ragione e fede, e Agostino ne era consapevole: pensiamo alla vicenda di Galileo, sebbene posteriore ad Agostino: Galileo servendosi della ragione andò contro la fede. Ma Agostino ha una risposta a questo possibile contrasto: di per sò tra fede e ragione non c’è contrasto, anzi si completano, in quanto derivano entrambi da Dio; che non siano in contrasto, però, non toglie che esse possano essere mal interpretate. Per Agostino il rapporto tra fede e ragione è un rapporto di intimità , di radicale non contraddizione. Il problema del tempo Nell’ undicesimo libro delle confessioni Agostino analizza il problema del tempo: Agostino diceva ” io so che cosa è il tempo, ma quando me lo chiedono non so spiegarlo “. Il punto di partenza è dato dal racconto biblico che presenta la creazione come una successione di operazioni e di eventi. Da questo racconto sembra risultare che la creazione avvenga nel tempo, sia frutto di una decisione da parte di Dio e comporti dunque un mutamento nella sua volontà . In particolare, ci si può anche chiedere che cosa facesse Dio prima della creazione. Questa domanda presuppone che anche Dio sia nel tempo. In realtà , secondo Agostino, Dio è fuori dal tempo, è nell’ eternità e non crea le cose nel tempo. Con la creazione delle cose, Dio crea anche il tempo, quindi non esiste tempo prima della creazione. Ma che cosa è il tempo? Parrebbe ovvio considerare il tempo come la somma di passato, presente e futuro: ma il passato non è più e il futuro non è ancora. Parrebbe dunque che soltanto del presente si possa dire che è. E allora che cosa significa che è? Se il presente fosse sempre attuale, sarebbe l’ eternità . In realtà esso esiste come presente solo a condizione di tramutarsi in passato e di non essere ancora futuro. Il tempo allora sembra esistere solo in quanto ” tende a non essere “. Di fatto però esso non può essere nulla, dal momento che percepiamo e misuriamo gli intervalli di tempo, distinguendo tra brevi e lunghi. Gli intervalli di tempo sono divisibili all’ infinito; se trovassimo il non ulteriormente divisibile, questo sarebbe il presente. Ma se il presente è un intervallo, si divide in qualcosa di passato e in qualcosa di futuro: il presente non ha estensione; si dà allora soltanto il continuo tradursi del futuro nel passato. Per cogliere la vera realtà del tempo occorre guardare nell’ interiorità . Se il passato è oggetto di ricordo, e questo ricordo è vero, chi lo ricorda deve vederlo e quindi in qualche modo il tempo deve essere. Parlando del passato noi non esponiamo le cose che sono passate, ma usiamo parole formate secondo le immagini impresse nel nostro animo delle cose nel loro accadere. La memoria ha la facoltà di trattenerle; essa, però, è qualcosa che si possiede al presente. La memoria, allora, non è altro che presente del passato. Un discorso analogo vale anche per le altre due dimensioni del tempo: il futuro non è altro che attesa presente di ciò che sarà e il presente attenzione presente a ciò che è. Le 3 dimensioni del tempo sono dunque tre ” presenti ” nella nostra anima: eventi passati, presenti e futuri sono in quanto sono presenti nella nostra anima. Solitamente per misurare il tempo che trascorre si assumono come termine di riferimento i moti degli astri, ma Agostino capovolge la prospettiva: non sono questi moti a determinare l’ unità di misura del tempo. E’ piuttosto il tempo ad essere il fondamento della determinazione della durata di questi stessi moti; un moto astronomico, infatti, potrebbe mutare. Il tempo invece è ” distensio animi “, un distendersi dell’ anima. E’ questo a darci la misura del tempo. Ciò che viene misurato dall’ anima non sono, quindi, le cose nel loro trascorrere, ma l’ affezione che esse lasciano e che permane nella nostra anima anche quando esse sono trascorse. Le tre dimensioni del tempo non sono altro che tre articolazioni del distendersi dell’ anima: il ricordo, il prestare attenzione a qualcosa, l’ attesa. L’ anima consente di connettere le tre dimensioni temporali in un’ unità . La conseguenza è che, se non ci fosse l’ anima, non ci sarebbe il tempo. L’ unità divina, invece, comprende nel presente stabile della sua eternità tutto ciò che è stato, è e sarà . In tal modo, l’ unità divina è la garanzia che il tempo, che è traccia della nostra lacerazione e lontananza da essa, non trascini tutto verso il non essere. La predestinazione e la grazia Nell’ assumere come sacerdote e vescovo posizione attiva nella vita della Chiesa, Agostino si trova a dover continuare la lotta contro i manichei e ad affrontare il problema delle relazioni tra le libertà e il peccato. In una prima fase, come si è visto, Agostino difende la libertà del volere: la volontà è in nostro potere ed è essa la causa del male. Il peccato, in quanto allontanamento dall’ ordine naturale voluto da Dio, è anche un atto di superbia, che presuppone la volontà di essere come Dio. Progressivamente Agostino viene accentuando l’ accusa di superbia contro i filosofi, soprattutto stoici, ma anche platonici, che hanno preteso di raggiungere la virtù e la felicità soltanto con le proprie forze. Contro l’ ottimismo dei filosofi, che credono nell’ onnipotenza della ragione e nelle sue capacità di autodeterminarsi con piena libertà , Agostino si viene via via persuadendo della fragilità umana. La volontà umana non gode di completa libertà . Sull’ agire umano esercita grande forza l’ abitudine, fondata sul ricordo del piacere, amplificato dalla memoria stessa. In questa vita si può solo sperare di essere felici. Alla superbia dei filosofi pagani Agostino oppone la virtù dell’ umiltà . Il peccato originale di Adamo ha contaminato la natura umana, l’ uomo pertanto non è in grado di redimersi da sò. Al centro dell’ esperienza cristiana si collocano dunque l’ incarnazione e la resurrezione di Cristo, da cui dipende la redenzione degli uomini. Il baricentro si sposta nel futuro, nella resurrezione finale: solo allora sarà possibile la piena felicità . Nell’ opera di redenzione, la Chiesa svolge una funzione essenziale di mediazione tra l’ uomo e Dio. Agostino è ora consapevole che essa è un’ organizzazione per le grandi masse, inclusi i peccatori, e si distingue radicalmente dalle comunità settarie dei donatisti o dei pelagiani. Per i donatisti nessun peccatore può fare parte della Chiesa, che è santa, una comunità di eletti che evita ogni mescolanza con un mondo esterno impuro. Per Agostino invece il problema è diventare santi: occorre dunque convivere con i peccatori, rimproverandoli e correggendoli. Grazie all’ acquisizione di questo concetto di Chiesa come comunità universale, Agostino può compiere un salto decisivo rispetto alle dottrine filosofiche tradizionali dell’ azione. Per queste ciò che era essenziale per valutare la qualità morale di un’ azione era la qualità morale dell’ agente: è questa che rende buono un atto. Per Agostino invece determinati atti ecclesiastici, come la somministrazione dei sacramenti ( per esempio il battesimo ) sono validi indipendentemente dalla condizione morale di chi li compie. E’ Cristo che dà efficacia al sacramento, anche se il sacerdote attraverso cui Egli opera, è peccatore. La lettura di San Paolo contribuisce ad accentuare agli occhi di Agostino la tensione e il dissidio tra la carne e lo spirito. Egli giunge a una concezione dell’ uomo come essere totalmente dipendente da Dio: la salvezza dell’ uomo dipende dalla grazia concessa da Dio. Questa convinzione diventa dominante soprattutto nell’ ultima fase della vita di Agostino, quando a partire dal 412 egli deve affrontare le dottrine pelagiane: secondo Pelagio l’ uomo può raggiungere la salvezza grazie alle sole sue opere, senza l’ intervento di Dio. Per Agostino invece appartengono alla Chiesa anche i peccatori: la fede stessa sorge nell’ uomo solo per grazia divina. Prima che la grazia sia concessa la volontà umana non è propriamente libera. In seguito al peccato di Adamo, con il quale e nel quale non un singolo uomo, ma l’intera natura umana ha peccato, l’ umanità è diventata una ” massa dannata “, meritevole di punizione. Per spiegare la trasmissione ereditaria del peccato originale Agostino riprende la dottrina del traducianesimo, secondo cui l’ anima è trasmessa di padre in figlio insieme con la generazione del corpo. La dottrina del peccato originale accentua in Agostino il disprezzo per la sessualità : a causa della concupiscenza tutto ciò che viene generato partecipa del peccato originale. Solo Cristo ne è rimasto immune; solo nascendo da una vergine Egli poteva nascere senza peccato. Così come solo Dio nella sua misericordia può salvare l’ umanità dannata: col peccato di Adamo, infatti, l’ umanità ha perso la libertà del volere, ha soltanto la libertà di fare il male, ma questa non è la vera e propria libertà . L’ umanità è uscita radicalmente menomata dal peccato originale, infatti anche dopo aver ricevuto il battesimo, il cristiano resta un invalido, bisognoso di guarigione. Il Dio di Agostino è dunque un Dio che ha inflitto una pena collettiva per il peccato del primo uomo; questa è la condizione dell’ umanità : molti sono i dannati, pochi gli eletti. Per Agostino Dio è onnipotente e quindi nulla accade se Egli non lo provoca o non lo permette. Come è possibile allora che un Dio sapiente, che ha creato l’ uomo, voglia che ci siano azioni cattive da parte degli uomini? Su questo interrogativo Agostino si travaglia incessantemente, arrestandosi infine di fronte all’ imperscrutabilità del giudizio di Dio. Libertà , secondo Agostino, non significa possibilità di scegliere indifferentemente il bene o il male. Col peccato infatti l’ uomo ha acquistato la libertà solo nel senso di ” non poter non peccare “. La libertà di Adamo prima del peccato consisteva nel poter non peccare: vera libertà è invece l’ essere liberi dal peccato, non poter peccare. Ma questa non è una prerogativa dell’ uomo in quanto uomo, bensì solo di coloro che sono eletti dalla grazia divina. La volontà deve essere salvata per diventare libera dal peccato: libero è appunto colui che è chiamato dalla grazia divina alla vera libertà , consistente nel sottomettersi al bene. La volontà che ha ricevuto la grazia, possiede l’ amore, la caritas, la quale fa sì che l’ anima preferisca ciò che è maggior bene rispetto a ciò che lo è meno. Ma il Sommo Bene è appunto Dio, la vita felice diventa, allora, un dono, che Dio accorda indipendentemente da qualsiasi merito o, comunque, non in base a meriti conosciuti dall’ uomo. Se essa dipendesse dalle opere e dai meriti dell’ uomo, allora la salvezza non dipenderebbe più da Dio. E’ stato detto che in Agostino ” Dio assume i tratti dell’ arbitro e diventa sempre più simile a un imperatore tardo antico “. La dottrina della grazia è strettamente connessa in Agostino alla dottrina della predestinazione: è Dio che stabilisce coloro che si salveranno e coloro che saranno dannati; certo Egli non induce a compiere il male, ma coloro che sono privati della sua misericordia non possono non peccare. Sapere che tutto dipende dalla predestinazione divina non rende tuttavia inutili gli sforzi umani: il singolo, infatti, non è certo della sua salvezza o della sua dannazione. Ciò contribuisce a far assumere un atteggiamento combattivo, interpretando ogni evento come un atto deliberato, da parte di Dio, di misericordia per l’ eletto e di condanna per il reprobo. Le due città Ai pagani il sacco di Roma del 410 appare una punizione degli dei per aver consentito l’ affermazione della religione cristiana nell’ impero. Per Agostino la colpa della razza umana nel suo insieme spiega e giustifica ogni tribolazione, ma scrivendo ” la Città di Dio ” egli vuole anche mostrare la superiorità del cristianesimo rispetto a tutte le istituzioni e le forme di cultura puramente umana. Al centro è il tema della provvidenza divina: è Dio che fa nascere e perire gli imperi. E’ convinto che la vicenda della vera Chiesa non sia e non possa essere condizionata dalle vicende umane e travolta con esse in un sol destino. Per dimostrarlo egli elabora una teologia della storia. Questa non deve essere confusa con una filosofia della storia, che tenti di individuare un significato immanente ai fatti storici. Il significato degli eventi storici è invece dato dalla struttura teologica sottesa al loro avvicendarsi. Tale struttura è ritmata dai momenti salienti della creazione del mondo, del peccato originale, dell’ incarnazione di Cristo e del giudizio finale: le vicende storiche dipendono, quindi, dall’ ordinamento voluto da Dio. All’ interno di tale ordinamento anche il negativo può trasformarsi in positivo. In tal modo, l’ intero corso della storia può essere concepito carico di significati, che il credente può cogliere soltanto parzialmente, perchò il significato globale è noto solo a Dio. Passato, presente e futuro sono in gran parte per l’ uomo opachi. Tuttavia è possibile, secondo Agostino, individuare il filo che percorre l’ intera storia universale nei suoi momenti decisivi. Contro il parere prevalente dei filosofi antichi, Agostino ritiene che la storia abbia una durata limitata e che la sua epoca, in cui il mondo è ormai vecchio ( senectus mundi ), sia vicina alla fine. Egli rifiuta la dottrina ciclica dell’ eterno ritorno, propria soprattutto degli stoici; se così fosse, egli obietta, non sarebbe possibile essere felici in modo stabile e duraturo. La vicenda storica ha invece un andamento lineare, il quale sfocia in un evento finale ultraterreno, che dà senso a tutto quanto procede. E’ questa la prospettiva escatologica di Agostino, ma avendo abbandonato la credenza in possibilità umane autonome e riconosciuto il peso determinante della grazia divina nell’ economia della salvezza, egli non può ammettere la concezione di un progresso lineare ininterrotto verso la beatitudine finale. Il filo rosso della storia è dato invece dalla lotta tra il bene e il male, che si costituiscono in 2 regni, dei quali Agostino indaga l’ origine, la durata e la fine. In tal modo, egli riprende alcuni aspetti del suo manicheismo giovanile; ma distingue anche la storia sacra da quella profana, pur riconoscendo che prima dell’ evento finale, i due regni coesistono, intrecciati e confusi tra loro. Agostino distingue tra due città : la città di Dio, ovvero la città celeste, retta dall’ amore di Dio, e la città terrena, dominata dall’ amore in sò. La prima è costituita dagli uomini giusti, che vivono secondo lo spirito; la seconda invece dagli ingiusti, angeli ribelli, diavolo e uomini, che vivono secondo la carne. La lotta tra le 2 città ritma il corso della storia e prende il sopravvento sullo schema della successione delle età del mondo. Sin dalla caduta di Adamo la razza umana è stata divisa in due città : l’ appartenenza a ciascuna delle due dipende solo dalla grazia divina. Già prima di Cristo infatti alcuni uomini facevano parte della città di Dio. Il termine città , civitas, indica la comunità dei cittadini, il corpo al quale essi appartengono e nel quale trovano la propria identità . Coniando la nozione di città celeste, agostino dava ai suoi fedeli il senso e la certezza di essere popolo di Dio, rafforzandone i legami interni di solidarietà di fronte a un mondo ostile. Un popolo, infatti, si definisce in relazione a ciò che ama: sulla base di ciò che ama esso fonda la propria unità e costruisce rapporti di subordinazione e obbidienza. Pertanto la città terrena non deve essere identificata con lo Stato; essa è pittosto la società che venera gli ” dei falsi e bugiardi “, come li definisce Dante, dei demoni e perciò non vive secondo i veri valori. Nasce di qui la ” libido dominandi “, il desiderio del potere, su cui si fonda la città del diavolo, ossia gli imperi umani, che coltivano i culti pagani. I membri della città terrena rifiutano, infatti, di cinsiderare effimero ciò che essi hanno creato e in tal modo sconvolgono l’ ordine delle cose. Quest’ ordine è costituito dalle relazioni naturali di dipendenza tra le varie parti che lo compongono: il rispetto di queste relazioni si caratterizza come obbedienza delle parti inferiori verso quelle superiori nell’ ordine gerarchico. Agostino ammette la liceità del dominio di un uomo su un altro uomo; anch’ esso, infatti, diventa necessario come conseguenza della caduta di Adamo nel peccato. L’ autorità e l’ obbedienza sono quindi necessarie per impedire violenze reciproche, non a caso Agostino ravvisa in Caino il capostipite della città terrena. La politica si configura allora come mezzo per garantire la sicurezza e impedire la violenza. Negli ultimi decenni della sua vita, Agostino tende a scorgere nello Stato una sorta di braccio secolare della Chiesa, ma ciò non lo conduce alla tesi che la Chiesa come istituzione visibile debba esercitare il dominio sulla città terrena, come sarà poi sostenuto durante la lotta tra il papato e l’ impero nell’ età medioevale. La città di Dio è la Chiesa di quanti vivono secondo Dio. Essa non coincide numericamente con tutti quanti fanno parte della Chiesa visibile; non a tutti, infatti, Dio elargisce la sua grazie. Il criterio in base a cui Agostino distingue tra la Chiesa visibile e la Chiesa vera è dato dall’ evento che emergerà alla fine della storia. La Chiesa sarà di puri soltanto nel giorno del giudizio finale. Prima di allora il membro della città di Dio è solo peregrinus, cioò uno straniero in terra. Per lui si tratta di vivere nel mondo, dove si trova ” come un’ oliva pressata in un frantoio “, ma distaccato dal mondo, in attesa di ritornare alla sua terra. In questo mondo non potrà mai realizzare il desiderio umano fondamentale: il desiderio di pace. Nella città terrena e nella stessa vicenda storica, nella quale bene e male coesistono intrecciati e in perenne conflitto, non è possibile la realizzazione della vera pace, la pace raggiunta in terra è soltanto strumentale ed effimera. Solo la resurrezione finale apporterà la risoluzione di ogni tensione e di ogni conflitto, tra carne e spirito e tra uomo e uomo. Allora si realizzeranno pienamente la vera pace e la vera libertà di non poter peccare: il bene trionferà completamente soltanto alla scomparsa della storia.
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