A Baghdad e poi ad Aleppo operò Al-Farabi, forse di origene turca, nato verso l’ 870 e morto nel 950. Si dedicò dapprima all’ attività di giudice e allo studio delle scienze e solo successivamente alla filosofia. Secondo al-Farabi la filosofia esisteva anticamente presso i caldei, popolo dell’ Iraq, e successivamente giunse in Egitto, poi in Grecia e, infine, presso gli arabi. Egli colloca dunque se stesso in linea di continuità con la tradizione filosofica greca, il cui vertice è rappresentato ai suoi occhi da Aristotele. Sull’ insegnamento di Aristotele modella le linee fondamentali della sua classificazione delle scienze nello scritto ” L’ enumerazione delle scienze ” ( noto ai latini come ” Sulle scienze ” ), e, non a caso, metà delle sue opere sono dedicate alla logica. Ma se Aristotele è colui che gli offre i più importanti strumenti concettuali, l’ obiettivo perseguito da al-Farabi è emblematicamente espresso dal titolo di un’ altra sua opera, ” Sulle concordanze di Platone e Aristotele “. Al-Farabi distingue negli esseri finiti tra esistenza ed essenza. In un uomo, per esempio, si possono distinguere l’ insieme delle proprietà costitutive ( non accidentali ) che fanno di lui un uomo e il fatto di esistere. Non necessariamente l’ insieme di tali proprietà , che possono essere pensate, comporta l’ esistenza di quell’ individuo singolo. Questa distinzione si collega ad un’ altra, formulata da al-Farabi, tra essere possibile ed essere necessario. Tutti gli esseri finiti, che popolano il mondo, sono suscettibili di nascere e perire: ciò significa che essi sono contingenti, possono essere e cessare di essere, ossia la loro essenza non implica necessariamente la loro esistenza. In quanto contingenti o soltanto possibili, possono passare all’ esistenza soltanto in virtù di una causa, che, invece, non ha bisogno di altro per esistere. Quest’ ultima è l’ essere necessario per sè. E’ assurdo supporre che l’ essere necessario non esista: l’ essenza di ciò che è necessario è il non poter non essere. In questo essere necessario, cioò Dio, essenza ed esistenza fanno tutt’ uno; egli, dunque, esiste necessariamente ed è unico. Sarà pertanto Dio a conferire esistenza alle essenze: tutto dipende da Dio, anche se ciò non significa che Dio crei direttamente tutte le cose. Su questo punto al-Farabi riprende la dottrina plotiniana dell’ emanazione: per sovrabbondanza da Dio emana necessariamente un primo intelletto, questo è capace di pensare Dio e da ciò deriva un nuovo intelletto, ma è anche capace di pensare a se stesso e da ciò deriva il primo cielo. Così, per emanazioni successive, si originano gli altri intelletti sino a quest’ ultimo, il decimo: essi sono associati, via via, al cielo delle stelle fisse, poi a Saturno, a Giove, Marte, Sole, Venere, Mercurio e Luna. L’ ultimo intelletto, proprio della sfera della Luna, è l’ intelletto agente, che produce le forme delle cose ed è unico e separato dalla molteplicità delle anime umane. Per spiegare come si forma la conoscenza umana al-Farabi riprende, nell’ ” Epistola sull’ intelletto “, la distinzione già presente in al -Kindi fra 4 intelletti. L’ intelletto materiale o in potenza è l’ unico di cui l’ uomo dispone: esso ha possibilità di astrarre le forme, ossia gli universali, dalle cose. L’ intelletto in atto è quello che conosce di fatto queste forme intellegibili. Ma l’ intelletto potenziale umano può passare all’ atto non in virtù di se stesso, bensì solamente ad opera dell’ intelletto agente, che è sempre in atto e illumina l’ intelletto umano. Esercitandosi sulle forme intellegibili, quest’ ultimo può allora pervenire a nozioni sempre più alte, sempre più separate da riferimenti alla materia: si ha allora l’ intelletto acquisito. Tutto il processo della conoscenza ha dunque il suo motore nell’ azione esercitata dall’ intelletto agente, che è divino. E’ questo intelletto che, in congiunzione con l’ immaginazione, guida il profeta, l’ imà m, colui che ha purezza di cuore. Si ha allora il vertice supremo dell’ intelletto santo, capace di interpretare allegoricamente il Corano. Ricollegandosi alle tendenze sciite, al-Farabi attribuisce all’ imà m la funzione di capo della vera comunità ; infatti, essendogli concesso di accedere alla visione di Dio, egli è in grado di ricevere le leggi, che devono stare a fondamento della società . Questi temi sono affrontati da al-Farabi nell’ opera intitolata ” La città perfetta “, contrapposta alla città errante, nella quale è diffusa una falsa nozione di Dio ed è guidata da falsi profeti. Per delineare la figura del profeta, al -Farabi non esita a ricorrere al filosofo-re della ” Repubblica ” di Platone; d’ altra parte tra le sue opere si annoverano anche uno scritto ” Sulla filosofia di Platone ” e un ” Commento alle Leggi di Platone “. Al-Farabi ritiene che Platone mescoli nei suoi scritti espressioni chiare ed esplicite con allegorie ed enigmi per non divulgare e svilire le scienze consegnandole nelle mani di uomini ignoranti. Dalla lettura di Platone egli fa dunque emergere un altro problema importante per la futura filosofia araba e la filosofia ebraica in terra musulmana: se la scienza possa e debba essere destinata a tutti o solo ai pochi in grado di intenderla senza corromperla.
- Letteratura Araba ed Ebraica