La vita, le opere e la formazione culturale Antonio Rosmini Serbati (1797-1855) si configura come pensatore polemico nei confronti del sensismo settecentesco e fautore di un ritorno ai valori della tradizione cattolica; nato a Rovereto, sotto il dominio austriaco, compiuti studi teologici e giuridici presso l’università di Padova, è ordinato sacerdote nel 1821. Nel 1826 si sposta a Milano, dove diventa amico di Manzoni; nel 1830 fonda, presso Domodossola, l’ Istituto della carità , congregazione religiosa, detta anche dei rosminiani, riconosciuta nel 1839 dal papa Gregorio XVI. In questi anni Rosmini pubblica i suoi scritti filosofici più importanti: Nuovo saggio sull’ordine delle idee (1830), Princìpi della scienza morale (1831), Filosofia della morale (1837), Antropologia in servizio della scienza morale (1838), Filosofia della politica (1839), Filosofia del diritto (1841-1845), Teodicea (1845). Nel 1848 Rosmini pubblica a Lugano le Cinque piaghe della Santa Chiesa, un’opera in cui denuncia la separazione del clero dai fedeli, l’insufficiente preparazione culturale di esso, le interferenze del potere politico nelle questioni ecclesiastiche e l’uso improprio dei beni ecclesiastici, non finalizzato ad opere di carità . Nello stesso anno si schiera a favore della monarchia costituzionale nello scritto La costituzione secondo la giustizia sociale e appoggia il programma neoguelfo di matrice giobertiana che prevede, con un salto al Medioevo, una confederazione di Stati italiani capeggiati dal papa; durante la prima guerra di indipendenza, il governo piemontese affida a Rosmini una missione presso Pio IX per proporre un concordato e la formazione di tale confederazione giobertiana, ma essa fallisce anche perchò papa pio IX ben presto recede dalla sua adesione alle idee liberali per arroccarsi dietro un muro reazionario. Quando a Roma viene instaurata la repubblica e il papa ripara a Gaeta, Rosmini lo segue e compone un breve scritto polemico contro Il socialismo e il comunismo, ma ciononostante le sue posizioni liberali lo rendono sospetto e i suoi scritti sulle piaghe della Chiesa e sulla costituzione sono messi all’indice dei libri proibiti dalla Chiesa nel 1849; egli si ritira allora a Stresa, dove rimarrà fino alla morta, mantenendo stretti rapporti con Manzoni, il quale, assestato anch’egli sulle posizioni del cattolicesimo liberale, nel 1853 pubblica le Osservazioni sulla morale cattolica dove conduce un’aspra polemica contro l’utilitarismo di Bentham. Rosmini prosegue intanto nel completamento del suo sistema, pubblicando la Psicologia (1850) e la Logica (1853) e procedendo alla stesura di altri scritti che compariranno postumi, in particolare la Teosofia e l’ Antropologia soprannaturale. Nel 1854 il Sant’Uffizio permetterà la circolazione delle sue opere, ma nel 1887, con l’affermazione del tomismo come filosofia ufficiale della Chiesa, una serie di proposizioni espunte da essi saranno condannate. L’ordine di composizione delle opere rosminiane risponde al progetto di costruire un sistema di filosofia cristiana in tutte le sue articolazioni. Il punto di partenza delle idee, in una prospettiva polemica con ogni forma di sensismo e di soggettivismo, ritenuti fonte di ogni sovvertimento anche morale e politico. Il suo problema consiste nel trovare il fondamento oggettivo, non arbitrario e meramente soggettivo, della verità e della conoscenza. Sull’origine delle idee sono state elaborate varie teorie, che agli occhi di Rosmini peccano per difetto (Locke e Condillac) o per eccesso (Platone, Leibniz e Kant). Peccano per difetto quelle che ripongono l’origine delle idee solo nella sensazione, dato che la sensazione è sempre particolare e non si spiega dunque come possano nascere le idee, che invece sono universali. A questa concezione si contrappongono quelle innatistiche, che sostengono l’esistenza di idee innate, ossia non derivate dall’esperienza sensibile, ma possedute dall’uomo sin dalla nascita. Tali dottrine, però, hanno peccato per eccesso sostenendo che le idee innate sono molteplici: così per Platone sono innate addirittura tutte le idee, mentre per Kant sono forme a priori le dodici categorie. A parere di Rosmini, invece, vi è una sola idea innata, presupposto e fondamento di ogni conoscenza: si tratta dell’ idea dell’essere. Ogni conoscenza infatti comporta l’attribuzione di esistenza, se non altro mentale, a ciò che viene conosciuto; ma se è così, significa che l’idea di essere deve già essere posseduta in anticipo e non acquisita con l’esperienza. Per idea, poi, si deve intendere, stando a Rosmini, la nozione di una cosa che esista indipendentemente da qualsiasi modificazione prodotta da un’altra cosa. L’idea dell’essere non può provenire all’uomo dalle sensazioni, le quali ci fanno conoscere solamente la relazione che le cose hanno con noi, mentre l’esistere in sò è qualcosa di assoluto, non di relativo. Nò l’idea dell’essere proviene dal sentimento della propria esistenza: essa non è data da una sensazione interna, perchò questa fornisce solo la sensazione della mia esistenza, non l’idea dell’esistenza in senso universale. Questo vuol dire che l’idea dell’essere precede la stessa idea dell’io. E così, se l’idea dell’essere non proviene dalla sensazione nò interna nò esterna, significa che essa è innata, ossia presente in noi sin dalla nascita. Inoltre, essa è la condizione di ogni giudizio, ossia di ogni connessione di un soggetto con un predicato, ma in quanto è semplicissima, non è composta a sua volta di un soggetto e di un predicato e quindi non richiede un giudizio per essere concepita: questo significa che essa non è un prodotto delle nostre operazioni intellettuali, ma è oggetto di un’ intuizione immediata originaria. Quel che viene intuito non è un essere particolare, ma l’essere in generale, l’essenza dell’essere, e non la sua esistenza reale. Quel che è reale, è diverso da ciò che è ideale; rispetto a ciò che è reale, l’ideale si configura solo come possibilità : dunque l’idea dell’essere è idea dell’essere possibile. Questo non vuol dire che l’essere ideale, poichò distinto dall’essere reale, sia un puro nulla: l’idea dell’essere è la forma della ragione umana, che rende possibile la conoscenza e ne garantisce la veridicità . Essa è infatti identificata da Rosmini, sulle orme di Platone, Agostino e Bonaventura, con il lume della ragione. Questa forma è oggettiva non solo perchò dotata di universalità , ma anche perchò, a dispetto di quel che pensava Kant, non proviene dalla ragione umana, ma da Dio in persona, che la immette nella mente degli uomini. La conoscenza di un essere finito quale è l’uomo non può però costituirsi sulla base della sola idea dell’essere e necessita della sensazione: stabilendo una connessione tra l’idea dell’essere e le sensazioni, si possono formulare giudizi copn cui si attribuisce l’idea di esistenza ai contenuti delle sensazioni: questa operazione è propria di quella che Rosmini chiama percezione intellettiva. In questo modo l’essere possibile, ancora indeterminato, si precisa nelle idee determinate, che sono dunque acquisite a partire dall’idea dell’essere e dalla sensazione. Il senso fornisce il particolare, che a sua volta viene pensato dall’intelletto tramite l’idea dell’essere. Da questa impostazione derivano una serie di conseguenze che si oppongono ad ogni forma di sensismo e di soggettivismo. In primis risulta, contro il privilegiamento dell’io affermatosi a partire da Cartesio, che la conoscenza di sò non è dotata di maggiore attendibilità della conoscenza di qualsiasi altra realtà . Inoltre, dall’idea dell’essere derivano i princìpi di identità e non contraddizione, ma anche quello di causalità : infatti, se vi è un cambiamento, bisogna ammettere che vi sia un ente che ne è artefice; e dato che la sensazione è una modificazione, occorre dunque ammettere che essa sia prodotta da una causa, la quale non può essere che un corpo esterno. In questo modo, l’esistenza dei corpi esterni non ha più quel carattere problematico che assume in tutte le filosofie soggettivistiche. Dall’idea dell’essere nascono dunque con un processo costitutivo le altre idee, ovvero le nozioni universali delle cose, connettendo alla sensazione l’idea di un ente che ne sia la causa: così dalla percezione intellettiva derivano le idee di corpo, spazio, tempo, movimento. Ma anche la percezione sensitiva è sintesi di un contenuto proveniente dalla sensazione e di una forma presente nel soggetto senziente: questa forma, condizione di tutte le sensazioni, è detta da Rosmini sentimento fondamentale corporeo, una specie di senso innato che rende consapevoli di se stessi come di esseri forniti di corpo. Il modo di essere di questo sentimento è doppio: in quanto sentimento è temporaneo, e presenta i caratteri della finitezza, ma in quanto determinazione dell’essere ideale è qualcosa di eterno. Gioberti non tardò ad accusare Rosmini di psicologismo, cioò di aver privilegiato l’idea dell’essere possibile come punto di partenza della filosofia e quindi di non essere riuscito a spiegare come si passa dall’essere ideale, meramente intellegibile, all’essere reale, in sò, indipendente dal pensiero. Rosmini rispose che per affrontare i problemi dell’ontologia, ovvero dell’essere reale, bisogna prima aver chiarito le questioni dell’ideologia, rintracciando il criterio della verità , il lume della ragione fornito dall’idea dell’essere. In seguito, soprattutto nella Teosofia, Rosmini precisò che l’essere ideale è indeterminato, esprime una possibilità in qualche modo infinita, e pertanto può essere riferito, tramite la formulazione di un giudizio di esistenza, a ogni cosa di cui si abbia esperienza. L’ essere reale è l’attuazione, la realizzazione dell’essere ideale e, dal momento che quest’ultimo esprime una possibilità infinita, tra le sue attuazioni ce ne sarà una infinita, esisterà cioò un ente realmente infinito, che è identificato da Rosmini con Dio. Con questa argomentazioni Rosmini è convinto di aver dimostrato l’esistenza di Dio proprio partendo dalla nozione di essere ideale. Dio, a sua volta, viene ad essere il punto di raccordo, tramite la creazione, fra l’essere ideale e l’essere reale. L’ Essere assoluto, infatti, nella sua forma soggettiva, ama infinitamente se stesso e quindi ama l’essere in tutti i modi in cui può essere amato, anche come essere finito e relativo. Questo amore è l’atto creativo, che consiste appunto in una sorta di espansione dell’amore. Per creare l’essere finito, Dio deve pensarlo, volerlo e realizzarlo: l’atto creativo di Dio fa dunque esistere sia l’essenza ideale, contenuta nel Verbo sotto forma di idee-modelli delle cose, sia l’esistenza reale delle cose finite che esemplificano questi modelli. Però questi momenti dell’atto creativo possono essere distinti solo concettualmente dato che nella realtà di tale atto essi sono unificati. Diritto, morale e società L’idea dell’essere o lume della ragione sta anche alla base della filosofia morale rosminiana; infatti il suo imperativo fondamentale è ‘ Segui nel tuo operare il lume della ragione ‘. Ma il lume della ragione non è la ragione umana, come aveva preteso Kant, tanto meno la ragione dei singoli individui, come sostengono le filosofie empiristiche e utilitaristiche: se così fosse, le norme morali fondate sulla ragione sarebbero variabili e contingenti; in realtà , come Dio pone direttamente nell’uomo il lume della ragione, così l’ uomo non costruisce la legge morale che dal lume della ragione scaturisce, non è il frutto della sua ragione autonoma, come asseriva Kant: l’uomo si limita a ricevere la legge morale, è suddito nei suoi confronti, e non legislatore. La conformità alla legge morale scaturisce dal dovere, che è un nesso tra l’essere ideale e l’essere reale, ossia tra la norma dettata dalla legge e la sua attuazione: si origina in tal modo una nuova forma di essere, l’ essere morale. Il lume della ragione rivela che il bene non è qualcosa di soggettivo, arbitrario o variabile, ma è l’essere stesso, in quanto oggetto di amore da parte della volontà . Ma gli esseri sono molti e diversi cosicchò per poter volere e amare correttamente bisogna conoscere l’ ordine oggettivo, ossia la gerarchia di perfezione e valore tra gli esseri. La massima dell’azione morale può pertanto essere così formulata: ‘ Volere o amare l’essere ovunque lo si conosca, secondo l’ordine che esso presenta all’intelligenza ‘. Questa massima, a parere di Rosmini, fornisce contenuti all’azione morale, contrariamente all’etica meramente formale di Kant. Infatti l’ordine degli esseri, decretato da Dio, manifesta una distinzione di valore tra persone e cose: persona è l’essere che ha valore di fine, mentre cosa è l’essere che ha valore di mezzo. L’intelligenza non può riconoscere esseri superiori a quelli dotati di intelligenza: sono questi dunque (le persone) che devono essere amati e trattati come fini. Le persone, poichò dotate di intelligenza e di volontà , sono caratterizzate dalla libertà , come capacità di proporsi e scegliere fini, in base alla conoscenza dell’ordine gerarchico degli esseri. Di qui affiora la nuova formulazione dell’imperativo morale: ‘ L’uomo deve trattare la persona come fine, cioò come avente un fine proprio ‘. La prima parte della formula è di forte sapore kantiano, ma la seconda introduce una caratterizzazione della persona come dotata di fine proprio: questo pone, come costitutivo della persona, il suo rapporto con il bene sommo, ossia con Dio, fine ultimo del volere e dell’amore umano. In definitiva, ciò che rende la persona un fine è il suo essere a immagine e a somiglianza di Dio; da questo punto di vista, il male può essere concepito, sulle orme di Agostino, come mancato riconoscimento della gerarchia oggettiva degli esseri e orientamento della volontà verso esseri inferiori al sommo bene. La dottrina morale dà i princìpi costitutivi del diritto e della vita sociale e politica. Il diritto viene definito da Rosmini come ‘ facoltà di operare ciò che piace, protetta dalla legge morale che ne ingiunge ad altri il rispetto ‘. Esso è quindi prerogativa della persona, che è definita ‘ il diritto stesso sussistente ‘, ed ha la sua controparte fondamentale nel dovere, per chiunque, di considerare la persona per quello che è e, dunque, come dotata del diritto di perseguire liberamente il fine che le compete e le è proprio. Diritto fondamentale risulta così la libertà ; da esso emerge l’altro diritto fondamentale della proprietà , ovvero la facoltà di possedere e usare le cose come mezzi per raggiungere i propri fini. La società civile è l’insieme di più persone in quanto persone ed è formata allo scopo di proteggere e regolare l’esercizio armonico dei diritti personali e, dunque, di garantire la possibilità per le persone di raggiungere il bene assoluto. A questo scopo la società deve assumere la forma di Stato, ossia essere fornita della forza per far rispettare i diritti della persona. Sotto questo profilo la filosofia rosminiana dello Stato è vicina alle teorie liberali che ad esso attribuiscono un compito di protezione nei confronti degli individui che costituiscono la società . Fine dello Stato è per Rosmini il bene comune, concepito come salvaguardia della possibilità per le persone di perseguire il bene sommo: lo Stato non può dunque superare i limiti posti dai diritti della persona. Non rientra nella competenza statale il provvedere direttamente alla felicità delle persone; questa è la pretesa infondata del socialismo e del comunismo, che agli occhi di Rosmini considerano la perfezione raggiungibile in questo mondo e mirano a realizzare l’uguaglianza politica ed economica di tutti gli esseri umani. Rosmini, sebbene ammetta il principio di un governo fondato sulla rappresentanza, rifiuta, anche durante il 1848, il suffragio universale, poichò convinto che ciascuno abbia il diritto al voto solo nella misura in cui contribuisce con le sue proprietà al bene comune. E’, inoltre, contrario ai compiti dello Stato trasgredire il diritto di proprietà , su cui si fonda la disuguaglianza sociale; il suo compito è piuttosto quello di provvedere ai mali che la proprietà può produrre, cercando di alleviare e ridurre la miseria dei ceti popolari. Su questo punto egli si trova in piena sintonia con l’amico e collega Alessandro Manzoni, così attento anche nei Promessi sposi agli umili e alla loro miseria, a cui solo la provvidenza divina e la carità degli uomini, più che le istituzioni politiche, possono far fronte. La società per eccellenza è solamente quella ecclesiastica, fondata su un vincolo ed un fine puramente spirituali, che vanno oltre gli obiettivi esclusivamente strumentali dello Stato; la società ecclesiastica è paradigmatica per tutte le altre società e fornisce il fondamento religioso e morale che garantisce l’unità sociale.
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- Filosofia - 1800