Il mondo ebraico â del quale Avicebron fu illustre esponente â fu il terreno più fertile per la filosofia di Averroò, bandita dallâIslam e dal mondo cristiano: Aristotele stesso venne studiato con grande entusiasmo attraverso il “gran comento” (Dante, Inferno IV, 144) di Averroò, anche se ben presto si affacciò il problema di come accordare lâaristotelismo con la Bibbia. In tal prospettiva, ò in Spagna che si assiste al fiorire dei più interessanti contributi filosofici del mondo ebraico: sicchò si ò spesso parlato di una filosofia ebraica sviluppatasi in terra islamica. Ed ò in tale contesto che si muove Avicebron, noto presso i latini con questo nome: in realtà , egli si chiamava Shelomoh ibn Gebirol, nacque a Malaga nel 1021, venne educato a Saragozza e forse terminò la propria esistenza a Valencia, in data indefinita. Fu scrittore, poeta e â soprattutto â filosofo: accanto ad inni – ancora oggi facenti parte della pratica sinagogale -, egli compose anche un lavoro filosofico-teologico, scritto in arabo, in seguito, a differenza dei primi, completamente dimenticato dalla tradizione ebraica. Questâopera di fondamentale importanza, destinata a godere di grande successo (nel presente e nel futuro), ò uno scritto articolato in cinque libri e intitolato “La sorgente della vita”, che sarà tradotto dallâarabo al latino per opera di Domenico Gundisalvi. In essa â cosa più unica che rara â non ci imbattiamo in elementi espliciti, quali possono essere citazioni desunte dalla Bibbia o riferimenti alla religione rivelata, che permettano di riconoscerne lâautore come ebreo: ed ò infatti solo a partire dal XIX secolo che si ò riusciti ad identificare in ibn Gebirol lâautore di tale imponente opera. Essa si sviluppa come un dialogo che si svolge tra un maestro ed un discepolo, e lâargomento portante del dibattito ò la distinzione aristotelica tra materia e forma. Leggendo lâopera, si evince come per Avicebron sussistano varie materie e varie forme, ma tutte sono riconducibili ad una materia unica e ad una forma unica. Infatti, se esaminiamo le cose sensibili (quali appaiono ai nostri sensi), ci accorgiamo agevolmente di come in ciascuna di esse la materia sia il sostrato capace di accogliere la forma: sicchò la materia di ogni cosa ò il corpo e la forma ò la corporeità . Ma la materia diventa corporea proprio quando riceve quella forma particolare che ò la corporeità : ne segue che la materia non ò solo corpo, così come la forma non ò solo corporeità . Questâultima, allora, non ò altro se non una determinazione particolare di una forma più universale: pertanto esisteranno una materia universale e una forma universale, le quali entrano a costituire le sostanze (sia quelle corporee sia quelle incorporee). Il che vuol dire che anche le sostanze spirituali risultano costituite di materia e forma: questa ò la dottrina nota come “ilomorfismo” (dal greco ulh “materia” e morfh “forma”). E la forma universale (comune a tutti gli esseri) ò lâinsieme delle nove categorie ammesse da Aristotele, le quali simboleggiano le determinazioni più generali dellâessere, mentre la prima categoria (giacchò Aristotele in tutto ne ammetteva dieci) altro non ò se non la materia universale, concepita come substrato di tutte le altre. La materia e la forma universali esistono non in sè, bensì create e distinte mente di Dio, il quale le unisce (con un gesto di libera volontà ) dando luogo alla creazione dei vari esseri: in questo senso, Dio ò la “sorgente della vita”, come recita il titolo dello scritto di Avicebron. Da tale sorgente prorompe una gerarchia di sostanze create, secondo un modello che riecheggia lâemanazione di cui parlava Plotino (e la successiva tradizione neoplatonica); quanto più ci si allontana dalla sorgente (cioò da Dio), tanto più si affievolisce la volontà creatrice di Dio e, quindi, tanto minore ò la perfezione di una sostanza creata. Il mondo si configura così, agli occhi di Avicebron, come un insieme di sostanze aristotelicamente intese, delle quali le più vicine a Dio sono le più perfette. Le cose sensibili sono caratterizzate dallâavere una materia sensibile e quelle intelligibili dallâavere una materia intelligibile, ma entrambe le materie non sono altro che specificazioni dellâunica materia universale. La materia universale viene a poco a poco definita e chiarita attraverso determinazioni o forme successive: le qualità primarie, la forma minerale, la forma vegetativa, la forma sensitiva, poi quella razionale e, infine, quella intelligibile. La scala che va dal vegetale allâuomo ò di chiara impronta aristotelica (dal “De anima”). I vari esseri risultano pertanto determinati da una pluralità di forme, ma queste forme variegate altro non sono se non specificazioni di unâunica forma universale. Eâ allora soltanto Dio a non essere composto di materia e forma, ma creatore di esse: Egli ò uno e inconoscibile, poichè di Dio non possiamo conoscere propriamente lâessenza, la quale ci sfugge perennemente. In tale prospettiva, lo scopo dellâuomo sarà il ritorno dellâanima alla sorgente che raggiunge il suo culmine nellâestasi, ossia nellâuscir fuori di sè (dal greco ek “fuori da” e isthmi “porre”). Anche qui, risulta fin troppo evidente la stretta parentela fra il pensiero di Avicebron e quello di Plotino, il quale aveva esplicitamente posto come obiettivo dellâuomo il ritorno allâUno originario attraverso un simile processo estatico.
- Letteratura Araba ed Ebraica