Il sapiente per eccellenza, il ” hakim “, della tradizione musulmana fu ibn Sina, noto ai latini come Avicenna. Persiano, nato a Bukhara nel 980, già esperto in molteplici scienze all’ età di 18 anni, divenne medico di corte; con una vita sregolata indebolì la sua salute e morì a Hamadan nel 1037, mentre accompagnava il sultano in una spedizione militare. Scrisse sia in arabo, sia in persiano, numerose opere, circa 250, tra le quali il celebre ” Canone di medicina “. Lo scritto in cui si mostra più vicino alla scienza e alla filosofia greche è il ” Libro della guarigione “. Si tratta di una grande enciclopedia in 18 volumi che tratta delle varie scienze e della filosofia, concepite come mezzi per guarire l’ anima dall’ ignoranza. Parte di quest’ opera fu tradotta poi in latino: particolarmente nota fu quella ” Sull’ anima “. Anche Avicenna attinge, come al-Farabi, al patrimonio concettuale e terminologico della filosofia aristotelica. Tutto ciò che è, in quanto esiste in atto, esiste necessariamente; ma l’ esistenza in atto può dipendere o da se stessa o da altro: nel primo caso si ha l’ essere necessario, nel secondo l’ essere possibile. Ciò che è possibile rimane possibile in rapporto a se stesso, ma diventa necessario in rapporto ad altro da cui necessariamente dipende; quindi ciò che è possibile, per esistere in atto, richiede come causa l’ essere necessario. Le cose che non hanno in sò stesse la causa della propria esistenza, ma ricevono l’ esistenza da altro e, precisamente, dall’ essere necessario, si dicono cose contingenti. L’ essere necessario, invece, esiste di per sò, in virtù della sua stessa essenza, poichò la sua essenza, per esistere, non richiede l’ intervento di una causa esterna, ma implica necessariamente l’ esistenza: esso è Dio, semplicità e unità assoluta, priva di ogni composizione. Le cose contingenti, invece, che per esistere dipendono da lui, sono composte e, precisamente, di materia e di forma. Ciò significa che la nozione di essere assume un significato diverso a seconda che sia riferita a Dio o alle cose contingenti. Per spiegare il processo di derivazione delle cose contingenti da Dio, anche Avicenna, come al-Farabi, ricorre al concetto neoplatonico di emanazione, presente anche nella ” Teologia “, allora erroneamente attribuita ad Aristotele. Questo concetto permette di interpretare la derivazione delle cose da Dio come un processo necessario ed eterno, che non comporta alcun mutamento nell’ essenza divina. La derivazione delle cose da Dio non è, infatti, il prodotto di una creazione volontaria, perchò questa introdurrebbe nell’ unità e semplicità divina un mutamento di stati; Avicenna intende invece salvaguardare l’ unità e l’ immutabilità di Dio. Poichò Dio è l’ essere necessario, le cose che ne derivano sono anch’ esse necessarie: il mondo non può essere diverso da come è. Tutto ciò che avviene quindi in base a cause che dipendono da una causa ultima, che è Dio stesso. In questo senso è garantita la possibilità di formulare predizioni astrologiche degli eventi futuri, anche se esse, a causa degli ostacoli e delle incapacità propriamente umane, non sempre trovano conferma. Inoltre, poichò la causa del mondo è eterna, è eterno anche il suo effetto, ossia il mondo stesso. Nella prospettiva di Avicenna trova dunque piena formulazione la tesi dell’ eternità del mondo, che produrrà difficoltà già in ambiente islamica, come poi in ambiente cristiano, perchò da alcuni ritenuta incompatibile con la nozione di creazione. Ciò che, in questo processo eterno di derivazione, per primo emana da Dio è l’ intelletto primo, che muore la sfera estrema del cosmo. Pensando se stesso come necessario rispetto alla sua causa, esso genera l’ anima che muove il primo cielo, mentre pensando se stesso come contingente genera il corpo di questo cielo. Da questo intelletto emana, come già aveva mostrato al- Farabi, una serie di altri intelletti, ciascuno connesso alla sfera propria di un pianeta, sino al decimo, connesso alla sfera della Luna, il quale esercita il suo dominio sull’ intero mondo sublunare. Esso è l’ intelletto agente, datore di forme. La conoscenza umana ha appunto per oggetto le forme intellegibili, ossia gli universali. Nello scritto ” Le fonti della sapienza “, Avicenna riprende da Aristotele la descrizione del processo conoscitivo nei passaggi che vanno dalla sensazione all’ immaginazione e alle facoltà di giudicare, che opera sugli oggetti dell’ immaginazione sino a pervenire, con l’ intelletto, alla conoscenza degli intellegibili. L’ uomo possiede un intelletto materiale o potenziale: esso diventa intelletto in atto grazie all’ azione dell’ intelletto agente, che è divino, unico per tutti gli uomini e separato, conosce in atto le forme intellegibili e illumina l’ intelletto potenziale umano. Tre, infatti, sono le vie per le quali l’ intelletto potenziale passa all’ atto: mediante i sensi, per astrazione dell’ universale dei particolari sensibili, mediante il ragionamento discorsivo, oppure per illuminazione diretta da parte dell’ intelletto agente. Le prime due vie costituiscono l’ intelletto acquisito. L’ intelletto agente è paragonato da Avicenna al fuoco, che accende la lampada, a cui egli assimila simmetricamente l’ intelletto in atto. Nell’ unione con l’ intelletto agente l’ uomo raggiunge la sua perfezione, anzi, in alcuni individui privilegiati per grazia divina, ciò da luogo all’ intelletto santo, che coglie intuitivamente gli universali. Esso è prerogativa del profeta, capace di prevedere il futuro anche attraverso i sogni e di intervenire sui fenomeni naturali operando miracoli; inoltre, come già aveva sostenuto al-Farabi, al profeta spetta il compito di governare. Ma al culmine dell’ itinerario umano sta l’ esperienza mistica, di cui Avicenna tratta in vari scritti intitolati ” L’ uccello “, ” L’ amore “, ” La preghiera ” facendo sovente ricorso a miti sulla scia di Platone. In tale esperienza, l’ essere supremo diventa oggetto non solo di conoscenza, ma soprattutto di amore. Dopo la morte, l’ anima si ricongiungerà con l’ intelletto agente unico e separato, ma conservando la propria individualità ; l’ anima umana è dunque immortale, anche se le anime meno perfette dovranno reincarnarsi più volte. In conformità con il Corano, Avicenna riconosce la resurrezione finale dei corpi e il conferimento da parte di Dio di premi e castighi.
- Letteratura Araba ed Ebraica