Vita e filosofia di Bonaventura - Studentville

Vita e filosofia di Bonaventura

Vita e pensiero del filosofo Bonaventura.

Giovanni Fidenza, detto Bonaventura (e appellato “doctor seraficus”), nasce verso il 1217 a Bagnoregio presso Viterbo. Nel 1235 si reca a Parigi a studiare forse nella facoltà  delle Arti e successivamente, nel 1243, nella facoltà  di teologia. Forse in quello stesso anno entra nell’ordine francescano. I suoi studi di teologia terminano nel 1253, quando diventa “magister” di teologia e ottiene la “licentia docendi”. Nel 1250, il papa aveva autorizzato il cancelliere dell’Università  a conferire tale licenza a religiosi degli ordini mendicanti, ma ciò contrastava con il diritto di cooptare i nuovi maestri rivendicato dalla corporazione universitaria. Proprio nel 1253 scoppia uno sciopero e i membri degli ordini mendicanti non si associano ad esso. La corporazione universitaria richiede loro un giuramento di obbedienza agli statuti, ma essi rifiutano e pertanto vengono esclusi dall’insegnamento. Questa esclusione colpisce anche Bonaventura, che fra il 1253 e il 1257 è maestro reggente. Nel 1254 i maestri secolari denunciano al papa Innocenzo IV il libro del francescano Gerardo di Borgo San Donnino, ” Introduzione al Vangelo eterno “, nel quale è annunciato l’ avvento imminente della nuova età  dello Spirito Santo e di una Chiesa puramente spirituale, fondata sulla povertà , come quella profetizzata da Gioacchino da Fiore: il 1260 era infatti la data indicata da Gioacchino come inizio della nuova età . La conseguenza è che il papa annulla i privilegi concessi agli ordini mendicanti; ma poco dopo egli muore. Il nuovo papa Alessandro IV condanna il libro di Gerardo con una bolla del 1255, tuttavia prende posizione a favore degli ordini mendicanti, senza più porre limiti al numero delle cattedre che essi possono ricoprire. I secolari rifiutano queste decisioni, vengono scomunicati e boicottano i corsi dei mendicanti. Essi hanno l’ appoggio del clero e dei vescovi, mentre il re di Francia, Luigi IX, sostiene i mendicanti. Nel 1257 Bonaventura è riconosciuto magister, ma nel frattempo egli è diventato ministro generale dell’ ordine francescano e così rinuncia alla cattedra. A partire da questa data, Bonaventura, preso dagli impegni della nuova carica, lascia gli studi e compie vari viaggi per l’ Europa. Il suo obiettivo è conservare l’ unità  dell’ ordine, prendendo posizione sia contro la corrente spirituale, influenzata dalle idee di Gioacchino e incline a un ritorno alla semplicità  e povertà  del francescanesimo primitivo, sia contro le tendenze mondane insorte in seno all’ ordine. Egli è favorevole a radicare l’ ordine francescano nella struttura organizzativa e nei compiti della Chiesa. Nel 1260, nel capitolo generale a Narbona, sono stabilite le regole che devono guidare la vita dei membri dell’ ordine. A Bonaventura è affidato l’ incarico di redigere una biografia di san Francesco: intitolata Legenda maior, essa diventerà  biografia ufficiale dell’ ordine, poichò nel 1263 si provvederà  alla distruzione di tutte le biografie precedenti. Negli ultimi anni della sua vita, Bonaventura interviene nelle lotte contro l’aristotelismo e nella rinata polemica fra maestri secolari e mendicanti. A Parigi, tra il 1267 e il 1269, egli tiene una serie di conferenze sulla necessità  di subordinare e finalizzare la filosofia alla teologia. Nel 1270 Bonaventura lascia Parigi, ma vi torna nel 1273, tenendo altre conferenze nelle quali attacca gli errori dell’aristotelismo. Nel maggio del 1273 è nominato cardinale e nel 1274 partecipa al Concilio di Lione, dove muore. L’ opera principale di Bonaventura è il ” Commentum in quattuor libros Sententiarum “, in 4 libri, composti a partire dal 1248 circa. Negli anni dell’ insegnamento, fra il 1253 e il 1257, egli compone anche commenti a libri della Scrittura, le questioni ” De scientia Christi et mysterio Trinitatis ” e ” De perfectione evangelica “, contro Guglielmo di Saint-Amour, nonchò una breve ” summa ” di teologia, dove riassume i contenuti principali del suo commento alle Sentenze di Pietro Lombardo, intitolata Breviloquium. A tali anni risale probabilmente l’ opuscolo De reductione artium ad theologiam. Nel 1259 Bonaventura fa un pellegrinaggio al monte della Verna nei pressi di Bibbiena, dove San Francesco aveva ricevuto le stimmate nel 1244. Qui Bonaventura compone il suo scritto più noto, ” itinerarium mentis in Deum “. Il Commentum alle Sentenze è lo scritto più sistematico di Bonaventura, quello più legato alle esigenze dell’ insegnamento, ma l’ intento di Bonaventura non è quello di costruire un nuovo sistema, bensì di operare una sorta di ritorno ad Agostino da contrapporre a quegli aspetti dell’ aristotelismo che contrastano, o non si integrano, in una prospettiva che ha come obiettivo principale la conoscenza e l’ amore di Dio. Nei suoi scritti, infatti, Bonaventura intreccia strettamente, sulla scia di Agostino, argomentazioni razionali e atteggiamenti di preghiera e di ispirazione mistica, in un colloquio diretto con Dio, con frequenti riferimenti ai testi sacri, allusioni e metafore. Con i suoi scritti, Bonaventura intende non solo analizzare, ma anche aiutare i suoi lettori a partecipare ad un itinerario di ascesa verso Dio, come dice il titolo del suo scritto più famoso. Presupposto fondamentale della riflessione di Bonaventura è la concezione agostiniana dell’ uomo come homo viator. Dopo la caduta di Adamo nel peccato, l’ uomo non gode più direttamente della visione beatificata di Dio, è pellegrino in terra e può raggiungere la salvezza solo ripercorrendo il cammino che riconduce a Dio. L’ unico vero maestro è Cristo, che è via, verità  e vita. Il problema non è dunque di costruire un sapere autonomo e nuovo, bensì di far perno sulla rivelazione e utilizzare la tradizione per risalire dalla terra al cielo. Tale risalita non è un processo totalmente indipendente dalla conoscenza, bensì comporta tappe legate al processo conoscitivo. A tal proposito, nel descrivere il processo conoscitivo, Bonaventura assume dottrine aristoteliche, ma completandole in una prospettiva teologica. La conoscenza umana inizia dai sensi: a partire dai contenuti offerti dalle sensazioni si formano le rappresentazioni delle proprietà  delle cose, conservate nella memoria e nell’ immaginazione. Da esse l’ intelletto astrae le specie intelligibili; analizzando tali specie nei loro principi costitutivi, esso giunge a conoscere l’ essenza delle cose. Ciò significa per Bonaventura che l’ intelletto arriva a conoscere ciascuna cosa secondo la sua causa prima e le sue ragioni eterne esistenti in Dio: quindi, in tutte le cose è possibile conoscere Dio. Infatti, Dio contiene le ragioni di tutte le cose sicchò conoscendo le cose, si conoscono le ragioni di esse che sono in Dio. Ma questo itinerario conoscitivo è reso possibile da Dio stesso, perchò senza Dio nessuna cosa creata ha il potere di operare alcunchò. Riprendendo poi un modulo tipico della tradizione platonica e agostiniana, Bonaventura concepisce la verità  come luce nell’ anima. Tale luce proviene da Dio e costituisce l’ intendere stesso dell’ uomo, consentendogli di costruire inferenze a partire da principi: è Dio infatti che infonde direttamente nell’ anima i principi che sono alla base di ogni conoscenza. L’ illuminazione divina operante sull’ intelletto umano dà  luogo anche alla costituzione della filosofia nelle sue varie parti, ma queste varie parti trovano la loro unificazione e il loro raccordo nella ” sapientia “, che riconduce tutte le scienze alla verità  di Dio, inteso come unico principio e unica causa di tutte le cose create. Il fine ultimo di tutta la conoscenza è pertanto Dio stesso, cosicchò è un grave errore sostenere, come fa la filosofia, in particolare quella aristotelica, che il sapere si articola in settori autonomi; in realtà  ogni sapere particolare è subordinato e finalizzato alla conoscenza di Dio. Anche le forme di sapere che riguardano cose inferiori a Dio conducono a Dio e, dunque, si ” riducono ” alla teologia, che ha per oggetto Dio; così anche sotto le vesti del sapere profano si celano contenuti teologici. I filosofi, illuminati da Dio come lo è ogni uomo, possono giungere a conoscere la verità , secondo cui Dio esiste ed è uno, mentre le verità  concernenti la Trinità  sono nate solo per fede. La fede rappresenta dunque un perfezionamento della ragione naturale umana. Proprio guardano alle verità  di fede, si nota che la fede possiede una certezza superiore a quella della scienza, perchò comporta un’ adesione che coinvolge anche la sfera degli affetti, e non solo l’ intelletto. Ciò non significa che la fede escluda la conoscenza o debba farne a meno; la teologia è, infatti, il sapere che ha per obiettivo la comprensione delle verità  della rivelazione. Ma tale comprensione riguarda l’ intelletto nella sua globalità , anche quello pratico: è il volere che muove l’ intelletto a dare il suo assenso alla verità . La conoscenza di Dio non è quindi possibile se non ha alla sua base fede e amore. L’ itinerario dell’ uomo verso Dio è al tempo stesso un itinerario intellettuale e di amore. Gli uomini possono crescere nell’ amore di Dio, nella speranza di contemplare la Trinità  eternamente in beatitudine. In tal modo, gli studi teologici acquistano un valore religioso e ascetico, diventano componente rilevante della vita spirituale e si integrano nell’ orizzonte della ricerca personale della salvezza. Dapprima Dio è scorto per mezzo delle creature, che sono vestigium, orma di Dio, poi nell’ interno dell’ anima umana, che è imago, immagine di Dio, e infine nella conoscenza di Dio, che in questa vita avviene solamente attraverso similitudini. A ciascuno di questi gradi corrisponde un tipo di teologia: simbolica, letterale e mistica, che coinvolgono 6 facoltà  o potenze dell’ anima: il senso e l’ immaginazione, la ragione e l’ intelletto, l’ intelligenza e quella che Bonaventura chiama sinderesi; essa è una specie di scintilla o lume della volontà , una disposizione che spinge l’ uomo al bene e gli genera il rimorso del male, e che ha anch’ essa la sua radice nell’ illuminazione divina. La sinderesi è detta da Bonaventura ” l’ apice della mente “, in quanto è l’ ultimo grado nell’ elevazione a Dio, al di sopra del quale c’è solo l’ ” excessus mentis “, l’ uscire dell’ anima da se stessa per unirsi al Creatore, partecipare alla sua vita e conoscerne l’ essenza. E’ il vertice della contemplazione mistica, sperimentata da Francesco nel santuario della Verna, ma non descrivibile e possibile nella sua compiutezza solamente nell’ aldilà . Secondo Bonaventura, dunque, Dio può essere conosciuto in tutto: dapprima in ciò che è fuori di noi, poi in ciò che è dentro di noi e, infine, in ciò che è sopra di noi. Intrecciando la parola del Salmo, secondo cui ” i cieli narrano la gloria di Dio “, alla valorizzazione francescana della natura e delle creature, Bonaventura interpreta la realtà  come un libro scritto da Dio. Il problema è saper leggere questo libro e quindi intende tutte le creature come ” segni “, nei quali Dio lascia una sua traccia. L’ errore peggiore che l’ uomo possa compiere è di arrestarsi al livello delle cose create e della natura: è l’ errore compiuto dai filosofi naturali e principalmente da Aristotele. Tutte le cose create sono composte da materia e forma; su questo punto Bonaventura riprende la dottrina enunciata da Avicebron sulla scia di Aristotele, dell’ ilomorfismo universale. La materia è assenza di determinazione, pura potenzialità : in quanto tale, essa non è nò corporea nò spirituale; la forma invece è ciò che conferisce determinazione e porta le cose all’ atto. Nella realtà  non esiste una materia che sia totalmente priva di forma, nò una forma che non sia connessa a una materia, e solo con un atto di astrazione noi separiamo materialmente materia e forma. L’ essenza della materia è identica in tutte le sostanze create, è la possibilità  essenziale di esistere per ogni forma. Contrariamente a quanto aveva pensato Aristotele, la materia non è dunque principio di individuazione delle singole cose; piuttosto è essa a differenziarsi nelle varie sostanze secondo questa o quella forma. Ma neppure la forma, in quanto universale, è principio di individuazione, che invece si realizza grazie alla comunicazione, all’ interrelazione fra materia e forma. Le forme non sono create direttamente da Dio, ma sono contenute potenzialmente nella materia e portare all’ atto all’ atto dalla natura, che non produce nulla dal nulla. La prima forma è la luce: essa è la forma di tutti i corpi; di essa partecipano direttamente i corpi celesti, mentre i corpi terrestri partecipano di una disposizione a diventare colorati sotto l’ influenza di un’ illuminazione esteriore. Grazie alla luce i corpi sono preparati a ricevere determinazioni come elementi e poi come corpi composti. In questa prospettiva si innesta la dottrina della pluralità  delle forme: ogni essere raggiunge la sua compiutezza e perfezione in virtù di una forma propria, ma questa non si unisce direttamente alla materia prima, bensì porta a compimento una materia già  dotata di forme inferiori. Ogni cosa appare così protesa a ricevere ulteriori perfezioni, sicchò, come è stato detto, ” nel cuore stesso della sostanza delle cose è collocata un’ attesa universale di Dio “. La realtà  è una gerarchia di perfezioni. Al di sopra dei corpi non viventi si collocano i viventi, ossia gli esseri che hanno una disposizione a ricevere una forma vivente, vegetativa ( come le piante ) o sensitiva ( come gli animali ). Ma la più perfetta di tutte le forme viventi è l’ anima razionale: qui il mondo corporeo raggiunge il culmine della sua perfezione. Ciò significa che l’ intero mondo corporeo è finalizzato alla perfezione dell’ uomo; l’ anima razionale, infatti, contenendo le potenze vegetativa, sensitiva e intellettiva, è la vera e propria forma essenziale dell’ uomo. Essa non è una potenzialità  contenuta contenuta in germe nel corpo, bensì è creata direttamente da Dio insieme con il corpo e pertanto gode di incorruttibilità  e di immortalità . Al di sopra dell’ uomo si collocano gli angeli, le sostanze spirituali, ma anch’ esse dotate di materia, in quanto anche esse sono create e quindi non sono assolutamente semplici, bensì composte di potenza e atto, ai quali corrispondono materia e forma. Assolutamente semplice è soltanto Dio. Egli è l’ essere, è puro atto, uno ed eterno. In quanto tale, egli non può non essere e non può neppure essere pensato non esistente, come aveva mostrato Anselmocon la prova ontologica dell’ esistenza di Dio. Ma anche partendo dall’ imperfezione delle cose la ragione umana può giungere a riconoscere la necessità  dell’ esistenza di Dio come somma perfezione. Ciò che essa invece non può comprendere pienamente è l’ essenza del principio divino, anche se, per analogia, a Dio possono essere attribuite proprietà  desunte dal mondo delle cose create, ma infinitamente accresciute. Così per il fatto che tutte le cose esistono in virtù di Dio, a Dio possono essere attribuite l’ onnipotenza, l’ onniscienza e la bontà  somma. Bonaventura riprende la concezione della creazione propria della tradizione platonico/agostiniana. Essa è detta anche esemplarismo, in quanto sostiene che in Dio, e precisamente nel Logos, esistono le idee, i modelli o gli esemplari delle cose. Idea è definita da Bonaventura ” la similitudine della cosa, mediante la quale la cosa è conosciuta e prodotta “. Ciò significa che la conoscenza dell’ essenza di una cosa in Dio attraverso l’ idea di essa è al tempo stesso creazione della cosa, ossia conferimento di esistenza a tale essenza. Le cose create sono dunque copie o immagini degli esemplari contenuti in Dio: esse sono create per manifestare la gloria di Dio. Bonaventura respinge pertanto tutte le concezioni, diffuse soprattutto nel mondo arabo, che spiegano la derivazione delle cose da Dio non come una derivazione dal nulla, bensì come una emanazione che procede per gradi, attraverso intermediari tra Dio e il mondo. Negli anni del suo ultimo soggiorno parigino Bonaventura, egli prenderà  anche posizione netta contro la tesi di matrice aristotelica e averroistica dell’ eternità  del mondo. Dio è l’ agente più perfetto e pertanto la sua azione creatrice determina tutto l’ essere delle cose create: essa è dunque creazione dal nulla, ma, se è così, ciò che riceve l’ essere dopo il non essere, ossia il mondo creato, non può essere eterno.

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