Nicola Cusano ( 1401 – 1464 ) è di origini tedesche, sebbene dal nome sembrerebbe essere italiano a tutti gli effetti: ricordiamoci che nel Rinascimento vi era la tendenza a latinizzare i nomi e il nome Cusano deriva dalla sua città natale ( Kues ). La precisazione geografica nel caso di Cusano è piuttosto importante perchò lui, pur essendo influenzato dall’ Umanesimo, pur viaggiando assiduamente per tutta l’ Europa per via delle importanti cariche che ricopriva, risente assai del pensiero scolastico: la Germania è infatti una realtà periferica nel ‘400, dove l’ Umanesimo si sviluppa più lentamente e con minore profondità . Ciò che senz’ altro va sottolineato della sua vita è il gran numero di cariche ricoperte, sia in campo politico sia in campo ecclesiastico; si occuperà non solo della teologia vera e propria, ma anche dell’ andamento della Chiesa e del suo potere. Due episodi della sua vita risultano particolarmente interessanti: fu infatti coinvolto dalle vicende del conciliarismo, ossia di quella teoria sviluppatasi nella prima metà del ‘400: dopo la parentesi trecentesca della cattività avignonese, dei papi e degli anti-papi il concilio dei vescovi aveva rivendicato a sò l’ autorità della Chiesa; la tesi conciliarista essenzialmente era questa: la Chiesa non è fatta dal papa, ma dall’ assemblea dei vescovi; l’ opinione che si opponeva a questa era quella curialista, che vedeva il potere concentrato nelle mani del papa e che alla fine prevalse sulla posizione conciliarista. A noi interessa il fatto che Cusano fu coinvolto da questa ” battaglia ” ideologica e a distanza di pochi anni assunse, probabilmente anche per interessi personali, ambedue le posizioni: prima sostenne l’ autorità del concilio, poi quella del papa. Più avanti vedremo le argomentazioni con cui argomenterà in favore prima dell’ una, poi dell’ altra posizione e questo ci interesserà più che altro perchò nel suo argomentare vi saranno le basi stesse della sua filosofia. Il secondo episodio fondamentale della vita di Cusano fu il viaggio in Oriente; in questo periodo Costantinopoli sta vivendo da vicino la minaccia dei Turchi, tant’ è che nel 1453 cadrà in loro potere. L’ Oriente, nel momento in cui si accorse del pericolo della minaccia turca, cercò un accordo con la Chiesa d’ Occidente per poter così godere di un aiuto politico e così per qualche anno si ebbe una unificazione della Chiesa orientale con quella occidentale. Cusano ebbe a che fare con queste vicende e della sua personalità emerse una grande tolleranza per tutte le fedi; in alcune sue note autobiografiche, poi, racconta che nel viaggio di ritorno ebbe l’ intuizione del concetto della ” dotta ignoranza “, che è la base della sua filosofia. Cusano, quindi, nei confronti delle altre fedi mostra grande tolleranza e per spiegare ciò che intende immagina che Dio abbia convocato al suo cospetto saggi appartenenti a diverse culture e fedi per trovare una PACE DELLA FEDE. Cusano è pienamente consapevole che la divisione delle varie religioni ha provocato molti lutti e molte guerre religiose, pensiamo alle crociate; tuttavia egli non ha di fronte a sò il problema della Riforma, che si proporrà anni dopo. Al cospetto di Dio ci sono ebrei, cristiani e musulmani, ma il discorso può essere esteso anche alle guerre interne allo stesso mondo cristiano, che avverranno successivamente. Dio li ” invita ” perchò possano trovare un accordo, ma come? Un percorso può suggerirlo il concetto di fede: a parlare nel dialogo immaginario c’è anche san Paolo che rivendica il nucleo della salvezza proprio nella fede ( ” Sola fide ” dirà Lutero ). In questo contesto interamente intellettuale Cusano inizia ad avanzare sue ipotesi: è effettivamente la fede a dare la salvezza, dice Cusano similmente a Lutero, ma egli della fede fa un utilizzo più erasmiano che non luterano: la fede non porta per Cusano alla spada, come sarà per Lutero, ma alla tolleranza, come dirà Erasmo. Cusano dice che in fondo in tutte le tre religioni c’ è l’ idea di fede, che può essere vista come nucleo comune; queste tre religioni, per di più, sono pure imparentate tra loro visto che il cristianesimo e l’ islamismo sono figlie dell’ ebraismo. Tutte e tre sono monoteistiche e quindi prevedono la credenza in un unico Dio: è assurdo dividersi, secondo Cusano, nei vari modi in cui si adora Dio perchò nessuno può sapere quale sia il modo giusto di adorarlo: come si può criticare un’ altra religione per come adora Dio non sapendo come effettivamente vada adorato? E poi secondo Cusano la pluralità delle religioni è positiva perchò può creare uno spirito emulativo reciproco dove ciascuna religione cerca di superare le altre nell’ adorare Dio: è come se l’ esistenza di più religioni desse adito ad una gara a chi più adora Dio. Sullo sfondo di questa concezione c’è un’ idea tipicamente di Cusano: per lui l’ infinito, l’ assoluto, in ultima istanza Dio, non è mai pienamente attingibile. Il concetto di dotta ignoranza, che esamineremo meglio in seguito, vuol proprio sottolineare l’ inattingibilità da parte dell’ uomo dell’ assoluto: il rapporto tra la nostra conoscenza e Dio ( l’ assoluto ) è lo stesso che si instaura tra un poligono inscritto e la circonferenza alla quale è inscritto: il poligono e la circonferenza, per definizione, non saranno mai uguali tuttavia man mano che si moltiplicano i lati del poligono ci si avvicina sempre di più alla circonferenza; così l’ uomo può avvicinarsi sempre di più a Dio senza mai raggiungerlo definitivamente. Questo modo di pensare è già sotteso alla tolleranza di Cusano: pur convinto che il cristianesimo di tutte e tre sia la religione migliore, Cusano sostiene che nessun punto di vista potrà mai esaurire l’ essenza di Dio e darne un’ immagine giusta: la pluralità delle fedi aumenta la conoscibilità di Dio, quasi come se moltiplicasse i lati del poligono. Certo, se ci fosse una religione che da sola cogliesse l’ intera essenza di Dio allora le altre sarebbero erronee e da scartare, ma visto che non è così allora la pluralità delle fedi, ossia i più punti di vista che si hanno di Dio, diventano una ricchezza: è come se si moltiplicassero i lati del poligono, ci si avvicina sempre di più a Dio. Di fatto, secondo Cusano, l’ essenza di Dio, nella sua inesauribilità e ineffabilità ( riprendendo Plotino ) potrebbe essere colta solo se Dio fosse visto da un’ infinità di punti di vista, cosa che però è inattuabile. Cusano non usa questa metafora, ma tuttavia è come se vedesse Dio sotto forma di sfera: da qualsiasi punto di vista la osserviamo abbiamo una corretta visuale, ma non completa; se siamo già in due e sommiamo le nostre visuali, che sono entrambe corrette, la visuale complessiva risulterà maggiore; se ipoteticamente potessimo moltiplicare all’ infinito i punti di vista, come detto, avremmo una visuale completa di Dio: quindi, quante più religioni ci sono, tanti più punti di vista su Dio ( tutti corretti ) si hanno. Dio stesso, dice Cusano, appare all’ uomo a seconda di come l’ uomo lo guarda: appare adirato all’ uomo che lo guarda adirato, appare benevolo all’ uomo che lo guarda benevolo. L’ idea di tolleranza non è solo un’ idea di tolleranza religiosa, ossia un puro e semplice ” buonismo “, ma dipende dallo stesso impianto generale della filosofia di Cusano. Un discorso analogo vale per le tesi con cui difende, prima, il conciliarismo e con cui lo attacca, dopo. La distinzione che Cusano effettua in primo luogo è tra presiedere il concilio e presiedere nel concilio; il papa non presiede il concilio, ma nel concilio, il che è ben diverso; per arrivare a questa conclusione Cusano si serve delle parole di Cristo in persona, rivolte ai discepoli: ” ogni volta che vi ritrovate in nome mio, io sono lì presente “. Quindi il concilio, ossia l’ assemblea di tutti i fedeli, quando si riunisce in nome di Dio, è come se fosse presieduto da Dio stesso; e il papa quindi che funzione ha? Secondo Cusano egli presiede nel consiglio, ha cioò un ruolo di coordinamento, di dare attuazione alle delibere, di ” primus inter pares “, ma non ha assolutamente funzione di comando. Filosoficamente più interessante è l’ argomentazione di cui Cusano si serve per dimostrare contro il conciliarismo: il papa compendia la Chiesa; con il papa è come se fosse lì presente tutta la Chiesa riunita in un punto solo. Cusano parla di Chiesa ” complicata ” nel papa, ossia ” piegata insieme ” quasi come un foglio accartocciato. La Chiesa, invece, è la sua esplicazione, ossia, riprendendo l’ immagine del foglio accartocciato, essa è il foglio che si apre dopo essere stato accartocciato. Quest’ idea deriva a Cusano da Platone e dai neoplatonici: vi è rapporto tra il Bene in sò e le cose che da lui derivano: la Chiesa altro non è che lo ” sviluppo ” del foglio di carta accartocciato, ossia del papa. Questo rapporto di complicazione ( papa ) – esplicazione ( Chiesa ) non va tanto letto in chiave aristotelica, quanto piuttosto in chiave platonica: infatti Cusano in un certo senso prende da Aristotele i concetti di potenza ( il papa, la complicazione ) e atto ( la Chiesa, l’ esplicazione ), però per lui l’ atto non è superiore alla potenza, ma, viceversa, la potenza ( il papa ) è superiore all’ atto ( la Chiesa ), riprendendo evidentemente il rapporto platonico tra Bene e realtà : il Bene in Platone era una complicazione della realtà , per dirla alla Cusano, però si trovava ad un livello decisamente superiore ad essa. Il papa risulta quindi essere superiore alla Chiesa e, di conseguenza, anche al concilio. Esaminiamo ora gli aspetti più metafisico-teologici di Cusano: il testo più importante e dove meglio emerge l’ intera sua filosofia è la Dotta ignoranza, concetto che dice aver avuto nel viaggio di ritorno dall’ Oriente; dice esplicitamente che questo concetto non è propriamente suo, ma che l’ ha elaborato e ripreso da altri filosofi più antichi. Il concetto di dotta ignoranza si richiama palesemente a Socrate, il quale affermava ” so di non sapere “, e ad Agostino. Cusano con ” dotta ignoranza ” non intende evidenziare qualcosa di negativo, ossia il non sapere di per sò, quanto piuttosto sottolineare l’ aspetto positivo di questo non sapere, riprendendo in questo senso lo scetticismo: il fatto di non sapere diventa stimolo a sforzarsi di sapere. Alla base di questo ragionamento stanno due presupposti: 1 ) uno aristotelico: l’ uomo per sua natura tende alla conoscenza e questa ” tensione ” non può che essere soddisfatta: Aristotele sottolineava che l’ uomo prova piacere nel provare sensazioni conoscitive e che per nulla al mondo si priverebbe degli organi che gli consentono di provarle ( per esempio gli occhi ); il sapere è naturale e proprio in quanto naturale tende ad essere soddisfatto; 2 ) il secondo platonico ( e più generalmente neoplatonico ): Cusano ragiona su cosa è la conoscenza: la conoscenza consiste nell’ instaurare rapporti di proporzione tra quello che già conosciamo e quello che non conosciamo ancora; è come se nella nostra mente avessimo degli ” attaccapanni ” dirà in seguito qualcuno: ogni nuova conoscenza va collegata, confrontata e proporzionata alle precedenti: in fin dei conti il paragone usato da Cusano per descrivere il processo conoscitivo è quello dell’ equazione dove bisogna trovare la x; si deve stabilire un rapporto e cavare fuori la x: tutti i rapporti conoscitivi vanno così. Però da notare che Cusano estende a rapporti qualitativi ciò che noi useremmo solo per quelli quantitativi: la x infatti è quantitativamente determinata, ma ciononostante Cusano fa valere il rapporto per ogni realtà ; a rigore, più che di proporzione, si dovrebbe quindi parlare di confronto. Questo ridurre tutto a rapporti quantitativi porta Cusano a conclusioni ulteriori: se è vero che ogni conoscere è proporzionare, si arriva a concludere che l’ assoluto, il ” massimo “, come lo chiama Cusano, che poi in ultima istanza è Dio, non sarà mai pienamente conoscibile perchò matematicamente non c’è rapporto tra il finito e l’ infinito. Il nostro intelletto e le nostre conoscenze sono indubbiamente finite, ma Dio, l’ infinito, è assolutamente incommensurabile rispetto alle cose finite: se non posso fare la proporzione, evidentemente, ne risulta che Dio ( l’ infinito ) non sarà mai pienamente conoscibile. Ma il discorso di Cusano si fa ancora più ” scettico ” nel momento in cui arriva a dire che non solo non possiamo conoscere la natura di Dio ( ossia dell’ infinito ), ma non possiamo neanche conoscere le cose finite perchò in fin dei conti anche il rapporto tra cose finite tenderà sempre ad essere infinito: il rapporto con le cose da conoscere, tramite le proporzioni, sarà sempre più preciso, ma non potrò mai arrivare a una conoscenza assoluta: istituirò rapporti con le cose da conoscere sempre più precisi all’ infinito, ma che non saranno mai conoscitivi fino alla fine: è come con il poligono inscritto alla circonferenza e la circonferenza stessa: il poligono ( ossia la nostra conoscenza ) e la circonferenza ( gli oggetti della conoscenza ) potranno essere sempre più ” vicini ” man mano che moltiplico i lati del poligono, ma non arriveranno mai a coincidere totalmente perchò, se prestiamo attenzione, il poligono i lati li ha finiti, ma la circonferenza li ha infiniti: mi posso avvicinare sempre di più nella conoscenza di una cosa senza però mai conoscerla effettivamente. Per capire meglio questo concetto occorre prendere in considerazione il ” De coniecturis ” di Cusano, ossia ” Le congetture “: la conoscenza secondo Cusano consisterebbe nell’ elaborare una serie di congetture, ossia nell’ avanzare ipotesi che si avvicino il più possibile alla realtà presa in esame; ma le congetture non saranno mai effettivamente adeguate alla realtà : la parola congettura, non a caso, deriva dal verbo latino ” icio “, lancio, e quindi significa ” lanciare ” ipotesi nel tentativo di raggiungere, di colpire l’ oggetto. Potrò fare sempre nuove congetture che si avvicineranno sempre di più all’ oggetto in questione, senza però mai raggiungerlo: quindi anche per una realtà finita il processo conoscitivo finisce per essere infinito. Farò sempre nuove congetture, sempre più vicine all’ oggetto, ma che tuttavia mai lo ” colpiranno “. I lati del poligono inscritto possono identificarsi con le congetture: infatti, proprio come i lati, io posso moltiplicarle all’ infinito senza mai raggiungere ciò che mi ero proposto di raggiungere. Quindi Cusano in un primo tempo nega la conoscenza dell’ infinito, ma ammete quella del finito, poi le nega ambedue: ne deriva la dotta ignoranza: è un’ ignoranza, perchò la conoscenza resta sempre un poligono che mai coinciderà con la circonferenza, ma è dotta perchò so di non sapere e in più quest’ ignoranza in quanto dotta non è il punto di arrivo, ma di partenza, come testimonia il ” De coniecturis “, che fa vedere più che ” La dotta ignoranza “, il lato positivo: potrò fare sempre nuove congetture e avvicinarmi alla conoscenza, senza mai raggiungerla: quindi i due presupposti, aristotelico e platonico sono compatibili. In ultima istanza potremmo paragonare la dotta ignoranza all’ eros di Platone: è un qualcosa che sta a metà strada tra il non sapere e il sapere, e che quindi diventa stimolo per una ricerca continua. ” La caccia della sapienza ” è uno degli ultimi scritti di Cusano e in esso l’ autore paragona l’ attività del filosofo a una caccia le cui prede sono rappresentate dalle varie forme del sapere. Una preda che però sfugge sempre è la conoscenza di Dio, al quale ci si può accostare solo per via negativa. Si tratta di un concetto analogo a quello della dotta ignoranza: in sostanza Cusano riprende la ” teologia negativa ” di Plotino: l’ uomo non sa come Dio sia e quindi l’ unico modo che ha per definirlo consiste nel dire non cosa è, ma cosa non è: è infatti impossibile conoscere un Dio talmente grande che non c’è alcun limite alla sua grandezza. Ma attraverso l’ esperienza della dotta ignoranza a quale obiettivo mira Cusano? E’ uomo di Chiesa e quindi la sua è senz’ altro una riflessione teologica e quindi l’ obiettivo sarà Dio, che in termini filosofici lui chiama ” l’ assoluto “, o meglio ancora ” il massimo “, inteso in termini anselmiani come ” ciò di cui nulla si può pensare di maggiore “, il massimo. In che senso la dotta ignoranza può aiutare a cogliere il massimo? Può farci cogliere la cosiddetta coincidentia oppositorum, ossia la coincidenza degli opposti: in altre parole è convinto, in base a considerazioni neoplatoniche, che nella realtà assoluta cose che nella realtà finita sono opposte possano convivere insieme e coincidere; già Plotino stesso parlando dell’ Uno, dove coincide tutta la realtà , ammette la coincidenza degli opposti. La dotta ignoranza può arrivare a far cogliere questo aspetto e Cusano per spiegare ciò si serve di metafore matematiche – geometriche: prendiamo il poligono e il cerchio, con il quale Cusano ha già dimostrato la teoria della dotta ignoranza: li usa per dimostrare che dei concetti di per sò contradditori, portati alle estreme conseguenze non sono più contradditori, ossia che cose contradditorie nel finito non lo sono più nell’ infinito. Esempio tipico è quello del cerchio e del poligono, due realtà che si escludono a vicenda perchò uno ha a che fare con la linea retta, l’ altro con la curva: curva e retta sono concetti inconciliabili e contradditori; ma se portiamo all’ infinito i lati del poligono otteniamo esattamente una linea curva; fin quando rimaniamo nell’ ambito del finito sarà sempre un poligono, ma quando entriamo nell’ ambito dell’ infinito, ecco che allora diventa una circonferenza. Discorso analogo vale per il concetto di triangolo: ha sue caratteristiche; un triangolo isoscele ha due angoli alla base, per definizione, congruenti e la loro somma è necessariamente minore di 180 gradi, che è invece la somma di tutti gli angoli interni di un triangolo. Però se aumentiamo progressivamente l’ altezza del triangolo, l’ angolo del vertice si restringe gradualmente, mentre quelli alla base tendono ad allargarsi sempre più e ad avvicinarsi sempre più ad essere angoli retti e la loro somma si avvicina sempre più a 180 gradi; immaginiamo che il triangolo isoscele abbia altezza infinita: avrebbe i due angoli alla base uguali a 180 gradi e il terzo angolo uguale a 0; i due lati congruenti del triangolo isoscele finirebbero per essere paralleli, cioò non si dovrebbero mai incontrare ( il che equivale a dire che si incontrano all’ infinito ); allora nel campo dell’ infinito concetti opposti finiscono per identificarsi. Ecco quindi con il triangolo l’ esempio classico del modo di ragionare di Cusano: da un verso è un metodo meta-matematico, dove la matematica viene applicata per interpretare realtà metafisiche, ma dal caso del triangolo emerge qualcosa di più: in realtà il suo metodo non è fatto di due livelli, ma di tre: prima enuncio una verità geometrico-matematica riguardante il finito ( la somma dei tre angoli è 180 gradi ), poi la estendo all’ infinito ( immagino una dimensione infinita e vedo cosa succede ) e poi con le nuove verità paradossali riguardanti l’ infinito interpreto le verità metafisiche del massimo. Cusano non dice che Dio è un triangolo isoscele con l’ altezza infinita, evidentemente; mentre una realtà geometrica può essere infinita solo sotto un determinato aspetto, Dio, come infinito, lo è sotto tutti gli aspetti. L’ infinità matematica è puramente spaziale, quella divina no: Dio è ciò di cui nulla si può pensare di maggiore, ma non solo in termini spaziali, ma anche in termini qualitativi: ha infinita bontà , giustizia, amore… Dio non è un triangolo infinito, ma è come un triangolo infinito: ha una qualche analogia, e cioò l’ aspetto di infinitezza. E’ un modo di avvicinarsi a Dio tramite verità matamatiche, senza avere la pretesa di cogliere l’ essenza di Dio. Altre due metafore matematiche: paragona Dio ad una cerchio il cui centro è dappertutto e la circonferenza non è da nessuna parte; cosa vuol dire? Dio è come un cerchio infinito; sempre col metodo di Cusano partiamo da verità matematiche in ambito finito, poi si passa ad ambito infinito e infine a Dio. L’ altra metafora è di tipo aritmerico e riguarda il concetto di massimo; fa notare che anche solo riferendoci al concetto di massimo vale quanto detto sulla coincidenza degli opposti: qui forse si vede anche meglio il passaggio da quantitativo a qualitativo: sia massimamente piccolo sia massimamente grande sono due manifestazioni del massimo opposte nell’ ambito del finito; ma se passiamo al piano infinito piccolo e grande coincidono nel concetto stesso di massimo, massimamente piccolo e massimamente grande: si unificano nel concetto di massimo. Problema fondamentale in Cusano è il rapporto tra Dio e il mondo: Cusano deve fare attenzione a non scivolare nel panteismo; il neoplatonismo con la metafora della sorgente e dell’ acqua faceva notare che il legame Dio-mondo creato è indisgiungibile; Cusano deve trovare un qualcosa che distingua Dio dal mondo creato, cioò giustificare nella concezione neoplatonica la distinzione tra creato e creatore: egli si serve allora dei concetti di complicazione, esplicazione e contrazione; i primi due li abbiamo già trovati a riguardo del papa e della Chiesa; in ultima istanza Cusano usa tale rapporto per descrivere il rapporto tra Dio e il mondo: Dio è la complicazione di ciò che sarà il mondo ( oppure il mondo è l’ esplicazione di ciò che è Dio ); ancora una volta si serve di una metafora per descrivere ciò che intende: il rapporto tra l’ uno e i numeri: l’ uno complica in sò tutto ciò che i numeri saranno in maniera esplicata: l’ uno può essere visto come l’ origine di tutti i numeri, sulla scia dell’ antico pitagorismo che chiamava l’ uno ” parimpari “. Dall’ uno derivano i numeri nel senso che partendo dall’ unità , se aggiungo l’ uno vado a due, poi aggiungo ancora l’ uno e vado a tre e così via; come per tutte le metafore matematiche di Cusano, anche qui si parte da una verità matematica per poi arrivare a una verità metafisica: l’ uno come unità rappresenta Dio. Va però fatta una precisazione: il rapporto di complicazione-esplicazione non va letto in termini aristotelici, o meglio, in realtà Cusano fa un paragone tra il rapporto complicazione-esplicazione e quello di potenza-atto, però lo reinterpreta secondo categorie neoplatoniche: nell’ aristotelismo la potenza era sempre subordinata all’ atto: una cosa in potenza ( l’ uovo ) per diventare in atto ( gallina ) ha bisogno di qualcosa già in atto ( il gallo ); l’ atto era comunque superiore anche assiologicamente: il seme di per sò non ha valore, se non come futura pianta. Sembrerebbe quindi che il seme è la pianta complicata e la pianta è il seme esplicato, per dirla alla Cusano; ma non è così perchò nel rapporto esplicazione-complicazione è superiore ciò che è complicato, come ben emergeva a riguardo del papa e della Chiesa: il papa è superiore perchò complica in sò tutte le cose. Comunque Cusano usa espressamente la parola di derivazione aristotelica ” potenza “, che però assume un valore diverso: la potenza del Padre, nel senso che Dio ha in sò la forza ontologica. Il rapporto complicazione-esplicazione viene reinterpretato in chiave neoplatonica nel senso che nell’ uno è tutto complicato ciò che si esplicherà poi nel mondo: pensiamo all’ Uno di Plotino. E’ implicito nel discorso la coincidenza degli opposti, caratteristica propria di Dio: in Dio non vale più il principio di contraddizione che vale per le realtà materiali, finite: una cosa o è A o è non A. Per Dio questo non vale più, nel senso che tutta la molteplicità ( e dire molteplicità vuol dire contraddizione: ci sono tante cose e ciascuna non è le altre ) è complicata in lui. Le cose diverse si riconducono nell’ unità . A questo punto dobbiamo seguire il ragionamento cusaniano che porta a dire che il mondo è un’ esplicazione di Dio; ciò che in Dio è tutto complicato, nel mondo si esplica. Non dobbiamo fare l’ errore di vedere il tutto in chiave aristotelica altrimenti il mondo come atto sarebbe superiore a Dio come potenza; dobbiamo vedere nell’ ottica neoplatonica, dove nell’ Uno tutto è complicato e perfetto: però dobbiamo superare un altro rischio, quello di incappare in una concezione panteistica: se dico che il mondo è esplicazione di Dio finisco per dire che Dio e il mondo siano la stessa cosa; già nel neoplatonismo in quanto tale era implicita questa sorta di panteismo: infatti si sottolinea sì la trascendenza di Dio, ma tuttavia c’ò anche una sorta di cordone ombelicale che lega tutto ciò che esce dall’ Uno all’ Uno stesso; la posizione neoplatonica ò una sorta di equilibrio instabile nel senso che c’è un elemento di ambiguità tra trascendenza e immanenza. Chi percorse la strada efettivamente immanente fu Giordano Bruno, che finì per dire che Dio si identifica col mondo. Cusano a differenza di Plotino e di Bruno è cristiano convinto e deve porsi il problema di non scivolare nel panteismo, di segnare la divisione tra Dio e il mondo. In fin dei conti però sarà condannato dalla Chiesa come panteista, nonostante abbia provato a depurare il concetto di Dio dal panteismo: Cusano ci provò servendosi del concetto stesso di teologia negativa, ossia quella teologia che non dice cosa Dio è, ma cosa non è: ” Dio è il totalmente altro ” si dirà in epoche successive. Dio è totalmente altro rispetto a tutto ciò che ci circonda: è pienamente coerente con la dotta ignoranza e con le congetture; infatti ammettere che di Dio si può dire solo ciò che non è non significa chiudersi in una sorta di ” scetticismo teologico “: Cusano dice che non tutte le affermazioni sono identiche, così come non tutte le nagazioni lo sono: da un lato è vero che nessuna definizione di Dio lo coglierà pienamente: quindi sia dire ” Dio è amore ” sia dire ” Dio è una pietra ” è sbagliato, tuttavia non sono affermazioni identiche: dire Dio è una pietra è più distante dalla verità che non dire ” Dio è amore “; è il discorso della circonferenza e del poligono: dire ” Dio è una pietra ” è come dire che il poligono è un triangolo ( quindi distantissimo dalla circonferenza ), dire ” Dio è amore ” è come dire che il poligono inscritto ha un numero elevato di lati, si avvicina a Dio. Ci sono affermazioni che si avvicinano a Dio e altre che manco si avvicinano; più corretta, però, secondo Cusano, è la teologia negativa: Dio non è pietra e Dio non è amore; ma in fondo si invertono le posizioni: è più giusta, nell’ ambito della teologia negativa, l’ affermazione ” Dio non è pietra ” ( mentre dire ” Dio è pietra ” era più sbagliata ): la pietra è infinitamente distante da Dio; c’ entra il discorso delle congetture perchò in fondo dire ” Dio non è pietra ” e ” Dio non è amore ” sono congetture che ci consentono di avvicinarci a Dio sempre più. Passiamo ora al concetto di contrazione: cosa significa? Quando Cusano parla del massimo, dice che lo si può pensare in tre termini: 1 ) il massimo assoluto 2 ) il massimo contratto 3 ) il massimo contemporaneamente assoluto e contratto. Il massimo assoluto è Dio, quello contratto è il mondo: ciò che è esplicato coincide con ciò che è contratto, ciò che è complicato coincide con ciò che è assoluto; che cosa significhi che Dio è complicato l’ abbiam già detto, ma cosa vuol dire che il mondo è contratto? Per Cusano il mondo è tendenzialmente infinito come Dio e qui comincia ad aprire, se pur timidamente, le porte ad una concezione dell’ universo come infinito: come era arrivato a definire l’ universo infinito? Esaminiamo il suo ragionamento, che verrà esplicitato da Bruno e che era già stato anticipato da Guglielmo da Ockham: Ockham diceva che il mondo è finito ( da Aristotele in poi tutti la pensarono così ), ma visto che l’ onnipotenza di Dio non ha limiti, Dio avrebbe tranquillamente potuto farlo infinito. Quest’ affermazione è di fondamentale importanza: da Aristotele in poi c’era sempre stata una difficoltà concettuale insormontabile per dimostrare l’ infinitezza del mondo: era una sorta di contraddizione interna che impediva all’ universo di essere infinito: i corpi muovono ai loro ” luoghi naturali ” e quindi c’è un alto e un basso assoluto, dice Aristotele, quindi c’è un centro, e se c’è un centro significa che il mondo è finito. Però Ockham sostiene l’ onnipotenza totale di Dio: Dio può sovvertire tutte le leggi fisiche e ne sono esempio i miracoli: non è una realtà logica la finitezza del mondo per Ockham: abbatte così ogni remora logica ! Cusano, in modo un pò ambiguo e sfumato, dice: ” se Dio è una causa infinita non può che avere un effetto infinito ” o detto in altri termini ” ciò che Dio è in forma complicata, il mondo è lo stesso ma in forma esplicata “. Tuttavia questo rapporto è caratterizzato da una contrazione: anche ammesso che il mondo sia infinito, resta il fatto che l’ infinità di Dio è diversa da quella dell’ universo; ammettiamo che l’ universo sia infinito: le cose di cui questo infinito è fatto, però, non sono a loro volta infinite; un libro è parte dell’ universo ma non è infinito, lo stesso per una casa, per un cavallo e per ogni altra realtà sensibile: l’ universo è infinito, nel senso che è somma infinita di enti finiti; chiaramente l’ infinità dell’ universo è spaziale, quella di Dio è di un altro genere: pensiamo alle metafore matematiche: non si arrivava a dire che Dio fosse un triangolo, ma che fosse come un triangolo, per dire. Dio è infinito tutto insieme senza differenziazioni interne, quali invece ha l’ universo ( gli enti finiti ): vale la coincidenza degli opposti: ciò che in Dio è tutt’ insieme, si dispiega nell’ universo e dà vita a caratteri contrastanti: tutte le cose in Dio sono tutt’ uno e quindi infinite, nell’ universo invece diventano finite. Il massimo assoluto è Dio, il massimo contratto è l’ universo, quasi come se tutto l’ infinito non riuscisse a stare tutt’ insieme in esso e si contraesse di volta in volta in ogni singolo essere. L’ universo è un infinito, potremmo dire, di volta in volta limitato da ogni singolo essere. Il massimo assoluto e contratto insieme è la figura di Cristo perchò unione di natura umana e divina; la natura umana è un aspetto del mondo contratto caratterizzata dal finito la natura divina è aspetto del massimo assoluto, che ha come caratteristica quella di essere infinito. Questo discorso della contrazione nel discorso di Cusano ha la funzione di consentirgli di non assumere una piega panteistica e di mantenere una separazione: la contrazione depotenzia l’ assoluto e crea un vero stacco. Questo rapporto, poi, Cusano l’ ha formulato più volte e in vari modi e si è spesso servito del ” meccanismo ” platonico: nel massimo contratto si trovano imitazioni imperfette di modelli presenti nel massimo assoluto: ad esempio, nel movimento, che si articola in 3 momenti ( punto di partenza, la forma che deve essere realizzata e il passaggio che lega le due cose, ossia il movimento vero e proprio ) e che, come già dicevano Aristotele e Platone, è ciò che caratterizza il mondo fisico, vede che ci sono tre concetti fondamentali: materia, forma che deve assumere la materia, e il movimento stesso ( passaggio da potenza ad atto ); però questo tipo di spiegazione aristotelica Cusano la rivede in chiave platonica: questo processo di moto non è altro che l’ esplicazione, ossia la contrazione, nel mondo fisico di una sorta di modello ideale presente in Dio: la Trinità ; Dio padre è la potenza, Dio figlio è la forma che deve assumere e lo Spirito Santo è il ” movimento “, l’ amore che lega le prime due persone. Da notare, come già accennato, che Cusano confonde il concetto di potenza come pre-atto, come potenzialità con quello di potenza come forza, potere. Dio è da interpretarsi per Cusano come idea platonica che ha presenti complicate in sò tre persone, la Trinità , ma nell’ universo queste tre ” cose ” si esplicano nel movimento, in tre aspetti ben distinti. Questo gli serve per dimostrare che ciò che nel massimo contratto è ” unificato “, non presenta aspetti contrastanti, nel massimo esplicato, invece, è esplicato, non contratto. Tuttavia la Chiesa finì per cogliere in Cusano istanze panteistiche e non potò accettare le sue dottrine, nonostante egli, per non scivolare nel panteismo, ossia per non sostenere l’ identificazione tra Dio e mondo, avesse ” spinto ” il neoplatonismo verso la trascendenza, a differenza di come farà Bruno.
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