Breve introduzione Dionigi ò il primo a tematizzare in modo sistematico l’apofatismo, ovvero a elaborare una ” teologia negativa “. In sintesi ciò significa che ò molto di più ciò che di Dio, Mistero infinito, non possiamo conoscere, che non ciò che di Lui possiamo conoscere. La sua teologia si scandisce in tre momenti: 1) teologia katafatica (o positiva): il Mistero ò conoscibile mediante i suoi effetti, cioò la creatura, che Gli ò in qualche modo simile; in questo senso possiamo dire che Dio ò tutto ciò che nel creato ò perfezione: ad esempio vita, piuttosto che morte, potenza, piuttosto che impotenza, intelligenza, amore, libertà , giustizia. 2) teologia apofatica (o negativa): le perfezioni che attribuiamo a Dio non sono tali quali le conosciamo nella nostra esperienza di creature: tra Creatore e creatura vi una distanza infinita, dunque una dissimiglianza maggiore della somiglianza; in questo senso possiamo dire che Dio ò non-vita, non -potenza, non-intelligenza etc., nel senso che non ò tali perfezioni come le conosciamo noi. 3) teologia superlativa: il Mistero ha in sò tutte le perfezioni presenti nel creato (katafatismo), ma non quali le conosciamo noi (apofatismo), bensì in grado infinitamente perfetto; in questo senso possiamo dire che Dio ò super-vita, super-potere, super-intelligenza etc. In Dionigi manca quello che per la cultura occidentale, da S. Agostino in poi, ò diventata una componente essenziale, la storia: l’immagine del mondo che egli trasmette ò quella di una contemplante, pacificata adorazione liturgica. Ma, se tale concezione può integrare la frenesia attivistica tipicamente occidentale, non può eliminare il senso drammatico della storia come lotta. Il pensiero Vissuto verso la fine del V secolo, quando ormai il cristianesimo era la religione ufficiale dell’impero, Dionigi fu un convinto neoplatonico convertito al cristianesimo e desideroso di determinare un punto di convergenza fra la nuova fede e l’ultima grande filosofia pagana. Nella sua dottrina si possono rintracciare i temi centrali del neoplatonismo procliano: 1) Dio (l’Uno di Proclo) ò al di là dell’essere e del conoscere, assolutamente altro, ineffabile. à principio sovraessenziale che risiede nelle tenebre, la “tenebra divina” che ò “luce inaccessibile”. Conoscere Dio ò non conoscere, negare cioò ogni categoria logica e ontologica; 2) la struttura gerarchica della realtà che deriva per emanazione da Dio e che si articola in una serie di gradi ontologici che trovano la loro fondazione nel processo di comunicazione della bontà divina e la loro perfezione nel ritorno a Dio, che ò Bene e Uno; 3) l’unione (hònosis) dell’anima a Dio mediante l’estasi, vale a dire uscendo da sè stessi e appartenendo totalmente a Dio. Nel processo creativo, o emanazione, Dio si manifesta: ò quindi possibile attribuire a Dio tutti gli aspetti, gli attributi degli esseri creati. Secondo questo metodo si costituisce la teologia affermativa o catafatica che applica a Dio le affermazioni particolari relative agli esseri (Dio ò bontà , bellezza, essere, vita, etc. ). Ma nessun nome intelligibile può designare propriamente ciò che Dio ò, poichè ò al di sopra di tutti gli esseri creati designati da questi nomi. La teologia affermativa deve pertanto cedere il passo a quella negativa o apofatica, alla via, cioò, che procede per negazione, così da negare di Dio ogni cosa che possa dirsi delle creature (Dio non ò essere, non ò vita, non ò luce, etc. ): questo ò il metodo più proprio per parlare di Dio e risalire a lui nelle “tenebre” della sua “luce inaccessibile”. Secondo Dionigi, infatti, queste negazioni devono essere intese non già in senso privativo, bensì in senso trascendente, e per questo motivo la teologia negativa può essere concepita come super-affermativa: ad esempio, Dio ò super-bene, super-essere, super-vita. Poichè Dio ò assolutamente estraneo ad ogni forma di conoscenza perchè al di là di ogni affermazione e negazione, e quindi al di fuori di ogni discorso razionale, solo chi supera ogni forma di conoscenza può unirsi al principio del tutto, all’Uno inconoscibile: “Proprio perchè non conosce più nulla, conosce al di sopra dell’intelligenza”. Al vertice del processo apofatico resta una conoscenza che non ò conoscenza, una visione soprarazionale nelle tenebre: ” la tenebra divina ò luce inaccessibile in cui si dice che risieda Dio “. Quindi nella ” totale assenza di parole e di pensieri ” si realizza l’unione (hònosis) della mente umana con l’Uno. L’uomo per conoscere Dio si deve unire a Dio, e perchè ciò sia possibile deve uscire da sè stesso e diventare uno con Dio mediante l’estasi. La conoscenza di Dio presuppone, pertanto, la divinizzazione dell’uomo. La tradizione mistica medievale attingerà sempre a Dionigi i grandi temi della ineffabilità divina, della tenebra luminosissima, dell’unione con Dio nell’assenza di ogni conoscenza, nell’unità semplicissima della mente umana. La teologia negativa dell’Areopagita ò così interessante che viene da chiedersi come mai dopo di essa non si sia sviluppato l’ateismo. Dionigi infatti pone un Dio talmente al di là dell’umana comprensione che se la sua teologia non restasse ferma alla contemplazione mistica, ma procedesse oltre, anche di poco, col ragionamento logico (beninteso), alla fine la conclusione non potrebbe essere che una: Dio non esiste per l’uomo e, se esiste, gli ò del tutto indifferente. Una teologia di questo tipo non poteva che nascere in un’epoca di decadenza, cioò in un’epoca in cui la comunità cristiana era consapevole di non aver realizzato i propri ideali. L’apofatismo di Dionigi, che ò diverso da quello della Patristica orientale, in quanto di tipo filosofico-religioso più che teologico, ò servito, o meglio, ò stato usato per giustificare il fallimento della rivoluzione cristiana, rimandandone l’esito a un futuro escatologico, e contribuendo ad approfondire la separazione tra uomo e Dio. E’ probabile però che le intenzioni di Dionigi fossero semplicemente quelle di testimoniare un fallimento in atto. La strumentalizzazione ò avvenuta in un secondo momento. La sua teologia, tuttavia, ò molto più tollerante di quella cattolico-romana, che ha sempre avuto la pretesa di realizzare adeguatamente la volontà di Dio. Da notare che quando il cattolicesimo ha smesso d’avere questa pretesa, s’ò trasformato, nel nord Europa, in protestantesimo, il quale, non a caso, ha ribadito subito l’assoluta differenza o alterità tra uomo e Dio. La differenza tra ortodossia e protestantesimo, in questo senso, sta nel fatto che la prima affermò l’apofatismo in un contesto sociale ancora dominato, nonostante tutto, dai valori pre-borghesi; il secondo invece ha allontanato Dio dall’uomo per poter legittimare (quanto consapevolmente non importa) il modo di produzione capitalistico. Tornando a Dionigi, si può affermare che la mistica può diventare intollerante solo nel caso in cui -come in Heidegger- si pretende di dire l’ultima parola sull’essere, cioò nel caso in cui la contemplazione ò “forzata” e l’attesa di un “avvento illuminante-proteggente” ò in realtà l’attesa da parte di un “metafisico” (un filosofo di professione) che vuole essere confermato e non smentito nelle proprie convinzioni. Viceversa, la teologia negativa di Dionigi era “aperta”, poichè consapevole del “declino” ideale (non storico) del cristianesimo (il declino storico, in Oriente, avverrà dopo il Mille, in concomitanza con le crociate occidentali). Non era una teologia conservatrice, anche se evitava di affrontare temi di carattere sociale. Era piuttosto una teologia aristocratica, senza essere decadente. Denunciava un limite senza offrire una soluzione per superarlo. Passi dalle opere Identità e Differenza di Dio Il Medesimo ò soprasostanzialmente eterno, invariabile, rimane sempre in se stesso, ò sempre nella stessa maniera e si mantiene ugualmente presente a tutte le cose, collocato egli stesso per se stesso e da se stesso stabilmente e intemeratamente nei bellissimi confini di un’Identità soprasostanziale, senza cambiamento, senza perdita, inflessibile, invariabile, non mescolato, immateriale, semplicissimo, senza bisogno, senza crescita, senza diminuzione, senza nascita: non nel senso che non sia ancora creato o che sia incompiuto (… ) ma congiunge gli esseri gli uni con gli altri, in quanto abbondante e causa di identità che contiene in antecedenza in sè, alla stessa maniera, anche le cose contrarie secondo una sola ed unica Causa sovraeminente di tutte l’identità . (Dionigi Areopagita, De divinis nominibus, IX, 4, 912 B-C) Dio ò Alterità per il fatto che mediante la sua provvidenza ò presente a tutti e si fa tutto in tutti per la salvezza di tutti, rimanendo in se stesso e fermo nella sua propria identità , mantenendosi secondo un’azione unica e ininterrotta e dandosi con una forza che non viene mai meno per la deificazione di quelli che si rivolgono a lui. Bisogna credere che la diversità delle figure varie di Dio secondo le multiformi apparizioni indicano qualche cosa di diverso da ciò che appaiono per coloro ai quali appaiono (… ). Ora guardiamo la stessa Diversità divina, non come un mutamento entro l’Identità inconvertibile, ma come Unità di lui capace di moltiplicarsi e procedimenti della fecondità che produce tutti gli esseri. (Dionigi Areopagita, De divinis nominibus, IX, 5, 912 D – 913 B)
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