Vita e opere Edmund Burke nasce a Dublino, in Irlanda, il 12 gennaio 1729 da padre anglicano e da madre cattolica: con il fratello Richard viene educato da anglicano perchè possa, in futuro, intraprendere la carriera pubblica; la sorella, invece – com’era costume nell’Irlanda del tempo -, riceve un’educazione cattolica. Ma l’ambiente cattolico in cui de facto vive, gli studi coltivati e la stessa appartenenza etnica contribuiscono a creare in lui quello che ò stato definito “stampo di pensiero cattolico”. Dal 1743 al 1748 studia arti liberali al Trinity College di Dublino formandosi su autori classici greci e latini: Cicerone (106-43 a. C. ) e Aristotele (384-322 a. C. ) esercitano sul futuro parlamentare un’influenza profonda come maestri, rispettivamente, di retorica e di pensiero – lo stesso Burke verrà poi considerato uno dei massimi prosatori di lingua inglese – e di filosofia politica. Nel 1750, a Londra, studia diritto al Middle Temple: presto però, stanco del pragmatismo materialista e della metodologia meccanicista di cui ò impregnato l’insegnamento, contrariando il padre, l’abbandona e si dà alla carriera letteraria. Ma, con il tempo, il futuro statista acquisisce comunque una seria conoscenza del diritto europeo continentale e di quello britannico, dalla romanistica al Common Law. Estimatore e conoscitore del diritto naturale antico e moderno, approfondisce il pensiero di Cicerone e degli stoici latini, e, fra i moderni, quello di Richard Hooker (1553-1600), che considera come la massima fonte del diritto canonico dell’epoca della Riforma protestante. Questi, pastore anglicano autore di The Laws of Ecclesiastical Polity, detto “il Tommaso d’Aquino della Chiesa anglicana”, continua, in parte e a certe condizioni, la tradizione filosofica scolastica nell’Inghilterra dopo lo scisma della prima metà del secolo XVI. Altra fonte importante della formazione e poi del pensiero burkiani ò la catena dei grandi giuristi britannici, da sir Edward Coke (1552- 1634) a sir William Blackstone (1732-1780) – autore dei Commentaries on the Law of England -, passando per i giurisperiti moderati, favorevoli all’incruenta “Gloriosa Rivoluzione” inglese del 1688. Peter J. Stanlis – uno dei massimi studiosi statunitensi viventi del pensiero burkiano – scrive: “à importante notare che la sua erudizione giuridica, comprendente le tradizioni del diritto naturale, del diritto delle genti, del Common Law inglese, del diritto penale e dei precedenti consuetudinari nel diritto positivo, ne imbevvero e ne informarono la filosofia politica, il senso dell’Europa come grande commonwealth di nazioni con un’eredità morale e giuridica comune e la fiducia nel cammino della tradizione lungo la storia”. Nel maggio del 1756 l’anglo-irlandese pubblica il primo scritto, anonimo: A Vindication of Natural Society, un pamphlet che deride la filosofia libertina e deista allora in voga. Il 12 marzo 1757 sposa Jane Nugent. Nell’aprile dello stesso anno dà alle stampe A Philosophical Inquiry into the Origin of Our Ideas of the Sublime and Beautiful. In quest’opera dedicata all’estetica, indaga le fondamenta psicologiche dell’arte e ricusa l’idea di esse come semplice prodotto di rigide regole teoretiche, anticipando aspetti importanti del pensiero filosofico della maturità . Nei mesi precedenti era apparso anche l’anonimo An Account of the European Settlements in America, testo forse redatto da Will Burke – un parente di Edmund -, nel quale sono stati individuati numerosi apporti del pensatore anglo-irlandese. L’opera ottiene un buon successo e contribuisce a incrementare l’attenzione britannica sull’America. In essa, l’anonimo autore simpatizza con l’idea di libertà politica espressa dalle Colonie britanniche, mettendo in guardia i propri compatrioti circa la pericolosità di certe misure commerciali troppo restrittive. Il 9 febbraio 1758 Jane Burke dà alla luce il figlio Richard, che morirà nel 1794. Nel medesimo anno, Burke comincia a dirigere l’Annual Register, una corposa rassegna che, dal 1759, si occupa di storia, di politica e di letteratura, prima solo britanniche, poi anche europee continentali, e che egli dirige, anche collaborando, fino al 1765. Fra il 1758 e il 1759 scrive Essay towards an Abridgment of the English History – interrotto a re Giovanni Plantageneto, detto Senzaterra (1167 -1216) -, un’opera pubblicata postuma nel 1811. In questo stesso periodo Burke inizia a frequentare Samuel Johnson (1709- 1784), l’eminente letterato tory, cioò del “partito del re”: nonostante la diversità delle loro opinioni politiche, fra i due intercorreranno profonde stima e amicizia. Nel 1759 diviene segretario privato e assistente politico di William Gerard Hamilton (1729-1796), un suo coetaneo già attivo in Parlamento. La redazione dei Tracts Relative to the Laws against Popery in Ireland – scritti frammentari pubblicati postumi nel 1797 – risale all’autunno del 1761, durante un soggiorno irlandese. Dopo la separazione da Hamilton, il pensatore anglo-irlandese si lega a Charles Watson-Wentworth, secondo marchese di Rockingham (1730 -1782), divenendone presto segretario. Questi, il 10 luglio 1765, viene nominato primo ministro da re Giorgio III di Hannover (1738-1820) benchè il sovrano sia assai riluttante ad affidare l’incarico a un whig, cioò del “partito del Parlamento”. Eletto nel medesimo anno alla Camera dei Comuni, Burke vi diviene presto la guida intellettuale e il portavoce della “corrente Rockingham” del partito whig, la quale, peraltro, ha solo brevi successi politici fra il 1765 e il 1766 e di nuovo, per pochi mesi, nel 1782. Burke siede dunque nei banchi dell’opposizione per la maggior parte della propria carriera politica ed ò durante questa seconda fase della sua esistenza che lo statista-pensatore pubblica le opere più note, fra cui Thoughts on the Causes of the Present Discontents nel 1770, Speech on the Conciliation with the Colonies nel 1775, Reflections on the Revolution in France nel 1790, Thoughts on the French Affairs e Appeal from the New to the Old Whigs nel 1791, nonchè le Letters on a Regicide Peace, concluse nel 1796. Il 9 luglio 1797 Burke muore nella sua casa di campagna di Beaconsfield, in Inghilterra. Il pensiero Gran parte dell’attività pubblica burkiana ò impegnata a difendere da un lato la Chiesa anglicana dagli attacchi dei “liberi pensatori” e dei riformisti protestanti radicali, dall’altro i cattolici e i dissenzienti protestanti, lesi nei propri diritti dalla politica assolutistica del governo londinese. Ragione di quest’azione politica non ò un concetto “latitudinario” di libertà religiosa, ma una visione d’insieme della natura umana e dei rapporti fra lo Stato, i corpi sociali intermedi e i singoli individui minacciati dall’assolutismo moderno. Obiettivo di Burke ò garantire uguali diritti a tutti i sudditi britannici, ovunque si trovino e qualunque fede religiosa professino: diritti concreti, acquisiti storicamente in virtù della secolare tradizione costituzionale e consuetudinaria britannica – i “benefici” -, e – a partire dal 1789 francese non a caso in aspra polemica, fra l’altro, con le “libertà inglesi” – contrapposti alle astrazioni illuministico-razionalistiche della Loi e del “diritto nuovo”. Lo statista diviene e rimane celebre per quattro “battaglie parlamentari”. La prima, a tutela dei diritti costituzionali tradizionali dei coloni britannici in America, si oppone alla tassazione arbitraria, imposta dal governo londinese, e difende l’autentico significato della Costituzione “non scritta” britannica. Con lungimiranza, Burke si accorge della miccia che tale politica va innescando nella polveriera nordamericana e fa di tutto per allontanare lo spettro della perdita delle Colonie. Mai favorevole all’indipendenza che queste dichiarano nel 1776, una volta scoppiato il conflitto armato fra esse e la Corona britannica, egli giudica gli eventi come una “guerra civile” interna all’Impero – non una rivoluzione -, presto sanabile. La seconda battaglia parlamentare ò quella condotta contro l’amministrazione pubblica, che impedisce questa volta ai sudditi irlandesi di fruire dei diritti costituzionali britannici, anche se in tema di libertà religiosa Burke non riesce ad avere altrettanto parziale successo in difesa dei compatrioti cattolici. In terzo luogo, lo statista chiede la messa in stato d’accusa di Warren Hastings (1732- 1818), governatore generale dell’India britannica, per il suo malgoverno, ma non ò ascoltato. La sua azione decisa comporta comunque qualche moderato successo e, soprattutto, ò di monito – poco ascoltato – per il futuro. L’impero dove mai tramontava il sole crollerà infatti più per l’ottusità di certi suoi governanti che non per altre ragioni. L’ultima tenzone parlamentare burkiana ha a tema la Rivoluzione francese. Nelle âReflections on the Revolution in Franceâ (âRiflessioni sulla Rivoluzione franceseâ) – una delle opere più commentate e influenti della storia inglese moderna, pubblicata poco dopo la “presa della Bastiglia”, il 14 luglio 1789 -, l’uomo politico anglo-irlandese intuisce, analizzando le premesse filosofiche che aveva visto dipanarsi lungo i decenni precedenti, l’intero corso degli eventi rivoluzionari, dal regicidio alla dittatura militare napoleonica, stigmatizzandone la natura. Per lui, la Rivoluzione costituisce l’avvento della barbarie e della sovversione di ogni legge morale e di ogni consuetudine civile e politica. Sull’interpretazione di tale evento, del resto, lo stesso partito whig si spacca, insanabilmente diviso fra i new whig liberali di Charles James Fox (1749-1806) e gli old whig guidati appunto da Burke, i quali finiscono per stringersi in lega politica con i tory di William Pitt il Giovane (1759-1806). Proprio alla difesa burkiana del “commonwealth cristiano d’Europa”, a cui la Francia giacobina e atea si ò sottratta e contro il quale essa combatte accanitamente – Burke afferma che, negli anni della Rivoluzione, la Francia autentica risiede all’estero -, si deve quell’appoggio parziale che, in alcuni momenti, il governo britannico fornisce alla causa contro-rivoluzionaria francese. Il lume della filosofia politica burkiana ò, infatti, la difesa dell’ethos classico-cristiano, fondamento della normatività che il pensatore ravvisa nelle consuetudini giuridiche e culturali del suo paese, parte della “società delle nazioni” cristiane europee. Il rapporto burkiano fra diritto naturale morale e istituzioni civili vede queste ultime come tentativo storico di incarnare il primo, secondo una logica che unisce morale personale e morale sociale. La “filosofia del pregiudizio” – ossia della tradizione e della consuetudine storica – ò la grande arma del âcommon senseâ britannico burkiano. Nella sua rilettura revisionista della Rivoluzione francese, la requisitoria di Burke contro i pericoli di dispotismo insiti nei progetti che vogliono ricostruire lâuomo comincia ad apparire quanto mai profetica. La descrisse come “la crisi più stupefacente mai avvenuta al mondo”. Coerentemente con i suoi antichi princìpi le si oppose, mentre i suoi alleati di un tempo, coerenti o no con i loro, la sostennero. La sua posizione “antirivoluzionaria” lo “trasformò” in conservatore contro i suoi antichi princìpi al punto da immaginare che nel XIX secolo si sarebbe trovato più a suo agio nel partito dei Tories, che in quello dei Whigs ormai trasformato in partito liberale. Nella sua polemica contro la Rivoluzione, Burke elogia il sistema politico inglese perchè “in giusta corrispondenza e simmetria con lâordine del mondo”, mentre la preoccupazione per il fanatismo della ragione, che potrebbe distruggere tutti i vincoli sociali, lo portò a voler difendere la religione statuita, per poter così difendere la società statuita. “Non escluderei del tutto le alterazioni, ma anche se dovessi mutare, muterei per preservare, grave dovrebbe esser l’oppressione per spingermi al mutamento. E nell’innovare, seguirei l’esempio dei nostri avi, farei la riparazione attenendomi il più possibile allo stile dell’edificio. La prudenza politica, un’attenta circospezione, una timidezza di fondo morale più che dovuta a necessità , furono tra i primi principi normativi dei nostri antenati nella loro condotta più risoluta”. (Riflessioni sulla Rivoluzione francese). Le critiche di Burke, dunque, non sono indirizzate solo alla rivoluzione francese, ma alla rivoluzione in sè, che pretende di interrompere lâevoluzione della storia di una nazione; non solo al giacobinismo che dominava in Francia nellâanno II della repubblica, ma al giacobinismo come categoria politica. Scrive ancora Burke, nelle sue â Riflessioni sulla Rivoluzione franceseâ: “Fare una rivoluzione ò una misura che prima fronte richiede una giustificazione. Fare una rivoluzione significa sovvertire l’antico ordinamento del proprio paese; e non si può ricorrere a ragioni comuni per giustificare un così violento procedimento. [â¦] Passando dai princìpi che hanno creato e cementato questa costituzione all’Assemblea nazionale, che deve apparire e agire come potere sovrano, vediamo qui un organismo costituito con ogni possibile potere e senza alcuna possibilità di controllo esterno. Vediamo un organismo senza leggi fondamentali, senza massime stabilite, senza norme di procedure rispettate, che niente può vincolare a un sistema qualsiasi. [… ] Se questa mostruosa costituzione continuerà a vivere, la Francia sarà interamente governata da bande di agitatori, da società cittadine composte da manipolatori di assegnati, da fiduciari per la vendita dei beni della Chiesa, procuratori, agenti, speculatori, avventurieri tutti che comporranno una ignobile oligarchia, fondata sulla distruzione della corona, della Chiesa, della nobiltà e del popolo. Qui finiscono tutti gli ingannevoli sogni e visioni di eguaglianza e di diritti dell’ uomo. Nella “palude Serbonia” di questa vile oligarchia tutti saranno asorbiti, soffocati e perduti per sempre. ” Secondo Russell Kirk (1918-1994) – uno dei “padri” della rinascita burkiana statunitense contemporanea -, il pensatore anglo-irlandese appartiene al “partito dell’ordine”: egli, infatti, ò figura rappresentativa di quel legittimismo patriottico britannico accorto, che unisce fedeltà e critica costruttiva, e che si riassume nell’espressione conservatrice “opposizione di Sua Maestà “, antitetica a quella rivoluzionaria di “opposizione a Sua Maestà “. L’influenza di Burke si esercita su pensatori importanti come Joseph de Maistre (1753-1821) e su numerosi autori di area culturale anglosassone, francese e tedesca; ma, soprattutto, dà origine a quello che, nel mondo di lingua inglese, prende il nome tecnico di “pensiero conservatore”, inteso come opposizione consapevole al mondo nato con il 1789 francese e con la filosofia rivoluzionaria che lo ha ispirato e mosso. Burke, certo del prossimo successo dei giacobini anche in terra inglese, vuole che la località della propria inumazione sia tenuta segreta, per paura che i nemici possano un giorno giungere a dissacrare il luogo del riposo delle spoglie mortali del loro primo e radicale avversario. Lâinchiesta sul bello e sul sublime Lâindagine âSul sublimeâ si era per la prima volta affacciata sullo scenario letterario quando un autore anonimo – presumibilmente nel I secolo d. C. – aveva composto in greco unâopera âSul sublimeâ (Peri uyou), in cui si era sforzato di ravvisare quelle che -a suo avviso – erano le 5 âfontiâ (phgai) da cui il sublime promanava. LâAnonimo sul sublime, tuttavia, si limitava a parlare di âsublime letterarioâ, un sublime che non investiva lâambito della natura ma si arrestava alle pagine dei libri (così come brano sublime, ad esempio, egli ci riporta il componimento di Saffo) e non ò un caso châegli scorga le cinque fonti nel a) concepire pensieri elevati, b) nel paqoV, c) nelle figure retoriche, d) nellâingegno espressivo, e) nellâelevatezza stilistica. Ora, a parecchi secoli di distanza dallâanonimo, Burke ritorna su questo problema – a sua volta ripreso da Kant – che tende a fare di lui un autore pre-romantico, che tende a sfuggire dal secolo dei âLumiâ: a tale tematica, egli dedica il suo celebre scritto âInchiesta sul bello e sul sublimeâ, in cui come cause del sublime individua il terrore, lâoscurità , la potenza, la privazione, la vastità , lâinfinità , la difficoltà , la magnificenza. Cominciando dal âterroreâ, nessuna passione, come la paura, priva con tanta efficacia la mente di tutto il suo potere di agire e di ragionare. Poichè, essendo il timore lâapprensione di un dolore o della morte, agisce in modo da sembrare un dolore reale, tutto ciò, quindi, che ò terribile alla vista ò pure sublime, sia che la causa della paura alla grandezza delle dimensioni oppure no (vi sono molti animali che, sebbene non siano affatto grossi, sono tuttavia capaci di suscitare lâidea del sublime, come i serpenti velenosi). Per rendere poi un oggetto molto terribile, sembra in generale necessaria lâoscurità . Quando conosciamo lâintera estensione di un pericolo, quando possiamo abituare a essa il nostro sguardo, gran parte del timore svanisce: la notte, ò comune a tutti, aumenta il nostro terrore; le nozioni di fantasmi e folletti, sui quali nessuno può formulare delle idee chiare impressionano gli animi di chi crede nelle favole popolari. Al terzo posto sta poi la potenza: il dolore ò sempre inflitto da un potere superiore, poichè non ci sottomettiamo mai al dolore spontaneamente. La potenza trae la sua sublimità dal terrore a cui va unita, ogni volta che la forza ò soltanto utile e viene usata a nostro beneficio o per il nostro piacere, non ò mai sublime: un bue ò un essere di grande forza, ma ò una creatura innocente e per nulla pericolosa; per questo lâidea di un bue non ò per niente sublime. Lâidea di un toro, invece ò grandiosa, ed esso trova sovente posto in descrizioni sublimi e in nobili paragoni. Successivamente, ò la volta della privazione: tutte le privazioni sono grandi perchè tutte terribili: il vuoto, lâoscurità , la solitudine e il silenzio. Per quel che riguarda la vastità , lâestensione ò o in lunghezza o in altezza o in profondità . Di queste la lunghezza colpisce meno. Allo stesso modo lâaltezza ò meno grandiosa della profondità ; infatti siamo maggiormente impressionati nel guardare giù da un precipizio che nel guardare verso lâalto un oggetto di uguale altezza. Come il grado estremo della dimensione ò sublime, così il grado estremo della piccolezza ò pure sublime. Quando noi osserviamo lâinfinita divisibilità della materia, quando seguiamo la vita animale in esseri piccolissimi e pure organizzati e la scala dellâesistenza che ancora diminuisce, rimaniamo stupiti e confusi ai miracoli della piccolezza. Passando poi allâinfinità , vi sono pochissime cose che per loro natura sono infinite, ma non essendo lâocchio capace di percepire i limiti di molte cose, sembra che esse siano infinite e producono gli stessi effetti che se realmente lo fossero. Ogni volta che nel nostro pensiero ritorna con frequenza unâidea, essa viene ripetuta ancora molto tempo dopo che la prima causa ha cessato di agire: ad esempio dopo una lunga successione di rumori, come può essere una cascata, lâacqua ancora rumoreggia nella nostra immaginazione molto tempo dopo che i primi rumori hanno cessato di esistere. LâInfinito di Leopardi si muove – in qualche misura – in questa prospettiva. Passando alla difficoltà , quando unâopera sembra abbia richiesto unâimmensa forza e fatica per essere compiuta, lâidea che ne abbiamo ò grandiosa. Stonehenge non offre quanto a disposizione di masse o a decorazione alcunchè di ammirevole; ma quegli immensi rozzi macigni di pietra ritti e messi lâuno sullâaltro spingono il pensiero allâimmensa forza necessaria per tale lavoro. Anzi la rozzezza dellâopera accresce questo motivo di grandiosità , mentre esclude lâidea di arte. Infine, la magnificenza: una grande profusione di cose, splendide o pregevoli in se stesse, ò magnifica. Il cielo stellato, sebbene cada frequentemente sotto il nostro sguardo, suscita sempre unâidea di grandiosità , che non può essere dovuta a qualcosa che si trovi nelle stelle stesse considerate. separatamente. La causa sta certamente nel loro numero. Il disordine apparente aumenta la grandiosità , poichè lâaspetto dellâordine ò altamente contrario alla nostra idea di magnificenza. Ma, esaminate le âcauseâ del sublime, resta da chiarire in che cosa esso si distingua, propriamente, dal bello: Kant dirà (nella âCritica del Giudizioâ) che il bello ò dettato da un libero gioco delle facoltà intellettive, per cui al vedere un bel paesaggio proviamo piacere perchè ò come se esso si adeguasse spontaneamente alle nostre categorie intellettive; per il sublime, invece, Kant (che aveva in mente il cielo stellato, le catene montuose, il mare in tempesta) intende qualcosa di ambiguo, che desta al contempo piacere e senso di smarrimento: l’oggetto in questione (vuoi il mare in tempesta, vuoi il cielo stellato o le montagne) non si adegua spontaneamente a noi e alle nostre facoltà conoscitive, ma ci incute timore perchò manifesta la sterminata grandezza e la sterminata potenza della natura di fronte alla sterminata piccolezza e impotenza dell’uomo; mentre il bello ò univocamente positivo, il sublime ò positivo e negativo al tempo stesso. Ora Burke così si esprime: âNel chiudere questa visione d’insieme della bellezza sorge naturale l’idea di paragonarla col sublime, e in questo paragone appare notevole il contrasto. Gli oggetti sublimi sono infatti vasti nelle loro dimensioni, e quelli belli al confronto sono piccoli; se la bellezza deve essere liscia e levigata, la grandiosità ò ruvida e trascurata; la bellezza deve evitare la linea retta, ma deviare da essa insensibilmente; la grandiosità in molti casi ama la linea retta, e quando se ne allontana compie spesso una forte deviazione; la bellezza non deve essere oscura, la grandiosità deve essere tetra e tenebrosa; la bellezza deve essere leggera e delicata, la grandiosità solida e perfino massiccia. Il bello e il sublime sono davvero idee di natura diversa, essendo l’uno fondato sul dolore e l’altro sul piacere, e per quanto possano scostarsi in seguito dalla diretta natura delle loro cause, pure queste cause sono sempre distinte fra loro, distinzioni che non deve mai dimenticare chi si proponga di suscitare passioniâ. (E. Burke, Inchiesta sul Bello e il Sublime) Bibliografia The Writings and Speeches of Edmund Burke, a cura di P. Langford, Oxford, Clarendon Press 1981-, vols I, II, III, V, VI, VIII, IX (deve essere completata in 12 volumi). Works and correspondence of the Right Hon. Edmund Burke, London, Rivington 1852, vols I-VIII. The correspondance of Edmund Burke, a cura di Thomas W. Copeland, Cambridge University Press 1958-1976, vols I-X. The parliamentary history of England from the earliest period to the year 1803, a cura di William Cobbet, London, Hansard 1816, vols XVI-XXXI. A note-book of Edmund Burke, a cura di V. S. Somerset, Cambridge, Cambridge University Press, 1957. “The Reformer”, n. 1-13, January-april 1748, in, A. P. I. Samuels, The early Life Correspondence and Writings of The Rt. Hon. Edmund Burke, Cambridge University Press 1923. “Annual Register”, 1758-1790. Further reflections on the Revolution in France, Indianapolis, Liberty Press 1992. A Vindication of Natural Society or a view of the Miseries and Evils Arising to Mankind fron Every Species of Artificial Society (1756), Indianapolis, Liberty Press 1982. A Philosophical Enquiry into the Origin of our Ideas of the Sublime and Beautiful (1757), London, Routledge and Kegan 1958. Pre-Revolutionary Writings, Cambridge University Press 1993. Cronologia 1729 Edmund Burke nasce nella casa paterna di Arran Quay a Dublino, figlio secondogenito di Richard Burke, avvocato e procuratore, e di Mary Nagle, figlia di Patrick Nagle di Ballyduff nella contea di Cork. 1741 Trascorre gli anni della fanciullezza a Ballyduff, presso la famiglia della madre, perchè la salute cagionevole soffre del clima poco salubre di Dublino. 1742 Insieme ai fratelli Garret e Richard òâ inviato alla scuola tenuta dal quacchero Abraham Shackleton a Ballitore, nella contea di Kildare 1744 Eâ immatricolato al Trinity College di Dublino, dove si reca immediatamente a proseguire gli studi. Vive ancora con la famiglia paterna per circa due anni, fino a quando ottiene una borsa di studio (giugno 1746), che gli permette di andare a vivere nel college. 1747 Fonda, insieme a tre amici, il âClubâ, o âAcademy of Belles Lettresâ da cui deriverà , più tardi la famosa College Historical Society. 1748 Esce il primo numero di âThe Reformerâ, una rivista letteraria settimanale diretta, pubblicata e scritta quasi per intero da Edmund Burke. Dal 28 gennaio al 21 aprile 1748 ne usciranno tredici numeri, uno per ogni giovedì. 1750 Lascia Dublino per Londra, dove inizia gli studi di legge al Middle Temple. Li interrompe ben presto e, rotti di conseguenza i rapporti con il padre, vive di giornalismo e lavora per editori londinesi. 1756 Pubblica A vindication of natural society: or a wiew of the miseries and evils arising to mankind from every species of artificial society ( Rivendicazione della società naturale, ovvero una rassegna delle miserie e dei mali provenienti allâumanità da ogni sorta di società artificiale). Lâopera ò unâimitazione satirica delle idee e dello stile di lord Bolingbroke. Burke applica alla società civile gli stessi argomenti usati da Bolingbroke contro la religione rivelata e, così facendo, mostra indirettamente la pericolosità e la follia di voler razionalizzare istituzioni sociali e morali. Pubblica A philosophical inquiry into the origin of our ideas of the sublime and the beautiful (Ricerca filosofica sullâorigine delle nostre idee del sublime e del bello), che incontra grande successo immediato e provoca vasta e duratura eco anche allâestero. 1757 Sposa Jane Nugent, figlia di un medico irlandese probabilmente conosciuto da Burke durante una cura a Bath. Jane Nugent ò cattolica, ma si converte alla religione del marito. Escono i primi fogli dellâ Abridgement of the history of England (Sommario della storia dâInghilterra). Scrive, o contribuisce a scrivere, An account of the European settlements in America (Rapporto sulle colonie europee in America). 1758 Nascita del figlio Richard. Firma un accordo con lâeditore Robert Dodsley, impegnandosi a pubblicare ogni anno lââAnnual Registerâ, una rassegna dei principali eventi politici e culturali dellâannata. Continua ad occuparsi della redazione della rivista fino al 1788, ed i primi numeri risultano scritti quasi per intero da lui. Nascita del figlio Christopher, che muore in età infantile. 1759 Esce il primo numero dellââAnnual Registerâ. Lord Charlemont lo presenta a Lord William Gerard Hamilton, di cui Burke accetta di divenire segretario. 1761 Burke si reca in Irlanda con Hamilton, che ò stato nominato segretario di lord Halifax, luogotenente in Irlanda. 1763 Burke torna dallâIrlanda con Hamilton, che gli fa assegnare una pensione annua in riconoscimento dei suoi servigi. Burke accetta, a condizione che il lavoro presso Hamilton gli lasci tempo libero per continuare a scrivere; probabilmente intende completare lâAbridgement of the history of England. 1764 Il Dott. Johnson, fonda il Literary Club, al quale aderisce anche Burke. 1765 Venuto a contrasto con Hamilton per le eccessive pretese da questi accampate sul suo tempo, Burke rompe ogni rapporto con il suo protettore e rinuncia alla pensione. Il Parlamento approva lo Stamp Act. Immediate reazioni in America. Ministero di lord Rockingham, di cui Burke diviene segretario. 1766 Apertura della sessione parlamentare. Burke fa il suo primo ingresso ai Comuni. Revoca dello Stamp Act. Le dimissioni da segretario di Stato del duca di Grafton, provocano la caduta del gabinetto Rockingham. Burke preferisce passare allâopposizione con Rockingham. Scrive A short account of a late short administration (Breve rapporto su una recente breve amministrazione) in difesa delle azioni compiute da Rockingham durante i pochi mesi del suo governo. Si reca in Irlanda per qualche tempo. 1769 Burke pubblica le Observationes on a late publication intituled âThe present state of the nationâ (Osservazioni su una recente pubblicazione intitolata âLo stato presente della nazioneâ), in risposta ad un pamphlet del partito di Grenville. Nel Public Advertiser compare la prima di una serie di violente lettere contro il governo, firmate Junius. La singolare felicità dello stile, che sembra somigliante a quello di Burke, fa sì che esse vengano attribuite a lui. Più tardi lâevidenza ne indica lâautore in sir Philip Francis, un membro del partito Whig. Eâ comunque accertato che Junius non era Burke. 1770 Burke pubblica Thoughts on the cause of the present discontents (Pensieri sulle cause dei presenti malcontenti). 1771 Lâassemblea provinciale di New York nomina Burke agente di quella colonia. 1773 Si reca in Francia e soggiorna brevemente a Parigi. 1774 Pronuncia in Parlamento un discorso per la soppressione del dazio sul tò imposto allâAmerica. Questo discorso ò da lui pubblicato nello stesso anno, col titolo: Speech on American taxation (Discorso sulle tasse in America). Burke ò nominato candidato a Bristol dove, accettata la nomina, ò eletto il 3 novembre. Nel ringraziare dellâelezione pronuncia un discorso (Speech at the conclusion of the poll). 1775 Presenta al Parlamento la propria mozione per addivenire sollecitamente ad una conciliazione con le colonie, in un discorso che pubblica il 22 maggio dello stesso anno: Speech on conciliation with America. 1778 Burke si esprime apertamente a favore di una proposta di legge per mitigare le restrizioni commerciali imposte allâIrlanda dalla politica fiscale inglese. Sostiene una proposta per la revoca di alcune discriminazioni imposte ai cattolici. Il suo comportamento gli aliena simpatie dei propri elettori di Bristol, città commerciale, ferocemente gelosa dei propri privilegi ed ostile ad ogni misura che li infirmasse. In una lettera dellâaprile indirizzata al presidente della corporazione dei mercanti di Bristol, Burke si difende dallâaccusa di non tenere a cuore gli interessi dei propri elettori: âPreferisco recarvi dispiacere che dannoâ. 1780 Presenta ai Comuni un disegno di legge, volto ad assicurare una maggiore indipendenza del Parlamento dallâinfluenza regia mediante una riduzione delle cariche e degli uffici civili a disposizione del re. Si tratta in sostanza di un tentativo di stroncare le clientele dalle radici, privando il re e il governo dei mezzi necessari a procurarsi con la corruzione dei sostenitori. (Speech on presenting to the house of Commons a plan for the better security of the indipendence of Parliament and the economical reformation of the civil and other estabilishments). Il progetto di riforma di Burke, nella sua moderazione, ò forse un tentativo di opporre una soluzione moderata alle richieste affiorate nel corso delle agitazioni del 1779-80 in cui era stato chiesto di indagare âsulle vere cause della decadenza dellâimpero britannico, sullo sciupìo di denaro e risorseâ. Nelle elezioni dellâautunno perde il seggio di Bristol ma ò rieletto per Malton. 1781 Il suo disegno per la riforma economica ò bocciato in Parlamento. 1782 Morte di Rockingham, cui succede lord Shelburne. Burke, Fox e Sheridan rifiutano di collaborare con lui e passano di nuovo allâopposizione. 1785 Burke pronuncia quello che ò il più grande dei suoi discorsi contro Hastings (governatore della Compagnia delle Indie in Bengala dal 1772), quello sui debiti del Nababbo di Arcot (Speech on the Nabob of Arcot debts). 1790 In un discorso sul bilancio preventivo militare (Speech on the army estimates) Burke manifesta pubblicamente la propria riprovazione per la Rivoluzione francese. Escono le Riflections on the Revolution in France (Riflessioni sulla Rivoluzione francese). 1791 Pubblica le Letter to a member of the national Assembly (Lettera ad un membro dellâAssemblea nazionale) in risposta ad alcuni appunti mossigli a proposito delle Riflessioni sulla Rivoluzione francese. Pubblica il Appeal from the new to the old Whigs (Ricorso dai nuovi agli antichi Whigs). Nellâautunno scrive i Thoughts on French affairs (Pensieri sulle cose di Francia), in cui auspica la formazione di una coalizione antifrancese. 1795 Il duca di Bedford, lamenta che la pensione a Burke sia stata concessa senza autorizzazione parlamentare e in piena violazione del piano di riforma economica. Burke ritorce lâaccusa nella Letter to a noble Lord (Lettera ad un nobile Signore). 1796 Pubblicazione delle prime due lettere contro la conclusione di una pace con la Francia (Letters on a regicide peace). Fonda a Tylerâs Green House, nei pressi di Penn, Buckinghamshire, una scuola per i figli degli emigrati francesi. 1797 Burke muore a Beaconsfield. Fox propone che venga sepolto a Westminster a spese dello Stato, ma si preferisce ottemperare alle sue disposizioni e seppellirlo senza pompa nella chiesa di Beaconsfield. Pubblicazione postuma della Terza lettera sulla pace regicida.
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