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Vita e filosofia di Francis Hutcheson

Pensiero e vita del filosofo Francis Hutcheson.

Vita e opere Il filosofo Francis Hutcheson fu una figura preminente nel periodo generalmente conosciuto come “Illuminismo Scozzese”. “L’Illuminismo Scozzese” si riferisce all’esplosione dell’attività  scolastica avvenuta nel XVIII secolo in Scozia – soprattutto a partire dal 1740. In questo periodo, un numero di scolastici scozzesi produsse molte opere influenti nei campi della filosofia, della storia, del diritto e della scienza. Alcuni dei più famosi contemporanei di Hutcheson comprendono David Hume, il quale fu profondamente influenzato dagli scritti di Hutcheson, e Adam Smith del quale Hutcheson fu un insegnante. Sebbene la sua famiglia fosse di origini scozzesi, Hutcheson nacque nel 1694 a Armagh, in Irlanda. Suo padre fu un ministro presbiteriano che stabilì una congregazione nel paese. Da giovane studiò presso l’università  di Glasgow. Studiò poesia classica, filosofia, e teologia per divenire un ministro presbiteriano. Hutcheson si laureò presso l’Università  di Glasgow nel 1712. Ma rimase all’Università  fino al 1716 studiando teologia sotto la supervisione del professore John Simon, un famoso teologo del tempo. Hutcheson ricevette il permesso di predicare all’interno della Chiesa Presbiteriana nel 1716. Poco tempo dopo fu assegnato ad una congregazione nella città  di Magherally, in Scozia. Comunque, la sua vocazione come ministro ebbe vita breve e problematica. Prima dal suo arrivo a Magherally, alcuni membri eminenti della comunità  espressero dubbi su Hutcheson. Alcuni sentivano che i suoi sermoni “irlandesi” non si accordavano molto con lo spirito “scozzese” delle loro Scritture. Queste perplessità  sembra abbiano più a che fare con la politica presbiteriana del tempo, piuttosto che con Hutcheson stesso. Comunque, la polemica fu abbastanza forte da dissuadere Hutcheson dal prendere posto a Magherally. Hutcheson, sebbene fosse un uomo molto religioso, abbandonò presto il ministero e iniziò a seguire una vita all’interno dell’accademia. Spese la prima parte della sua carriera accademica insegnando presso l’Accademia di Dublino, in Irlanda. Insegnò all’Accademia per alcuni anni mentre continuava privatamente gli studi. Nel 1725 il nome di Hutcheson divenne conosciuto all’interno dei più famosi circoli con la pubblicazione della sua “Indagine nell’ originale delle nostre idee di Bello e Virtù”. Nel 1729 fu consigliato per la cattedra di Filosofia morale all’Università  di Glasgow. L’Università  di Glasgow, insieme con l’Università  di Edimburgo, erano i centri intellettuali dell’Illuminismo Scozzese. Hutcheson accettò immediatamente la cattedra all’Università  di Glasgow, ove rimase fino alla sua morte, avvenuta nel 1746. Le due prime opere di Hutcheson sono “L’Indagine nell’originale delle nostre idee di Bello e Virtù” (1725) e un “Saggio sulla Natura e la Condotta delle Passioni e delgi Affetti, con Illustrazioni del Senso Morale” (1728). Il resto del corpus di Hutcheson include: “Synopsis Metaphysicae, Ontologiam et Phneumatologiam Complectens” (1744), “Philosophiae Moralis Institutio Compendiaria” (1743), “Reflections upon Laughter and Remarks Upon the Fable of the Bees” (1750) e “A System of Moral Philosophy” (1755). L’estetica La filosofia di Francis Hutcheson ò il punto di partenza dell’ estetica moderna come distinta disciplina filosofica. Sebbene molti filosofi prima di lui abbian fatto diversi commenti sulla bellezza e l’estetica, Hutcheson fu il primo scolastico a sviluppare una comprensiva teoria della bellezza; scrisse anche ampiamente sulla sensibilità  morale e la teoria politica. Le teoria estetica di Hutcheson ò profondamente influenzata da due pensatori: John Locke e Shaftesbury. Hutcheson accetta l’empirismo di Locke, dell’esperienza come fonte di tutte le idee e utilizza anche la divisione di Locke dei sensi in due categorie: esterne e interne. I frammentati commenti di Shaftesbury sull’estetica servirono a Hutcheson nell’esposizione del “senso” filosofico della bellezza. L’“Indagine nell’Originale delle nostre Idee di Bello e Virtù” fu pubblicata anonima: egli non volle porre il suo nome sul saggio per insicurezza sulla materia trattata. Comunque, il saggio fu accolto molto bene. Nell’Indagine Hutcheson sostiene che insieme ai sensi eterni come l’udito, la vista, il tatto, noi abbiamo anche un “senso interno”. Questo “senso interno” ò una facoltà  che ci permette di provare piacere quando siamo a contatto con qualcosa di bello. Hutcheson afferma che i nostri sensi esterni non ci possono far conoscere e sperimentare l’idea di Bello. Per saggiare il Bello, occorre un “senso interno” che riconosce e registra il fenomeno “Bello”. I sensi esterni lavorano assieme al senso interno per offrirci il piacere del bello. In questo modo, i nostri sensi esterni portano un oggetto alla nostra conoscenza e poi il nostro “senso interno” reagisce alla nostra esperienza dell’ oggetto. Se l’oggetto possiede bellezza, allora il nostro “senso interno” produce piacere. Al contrario, se l’oggetto ò deformato o brutto, allora il nostro “senso interno” provoca disgusto. Hutcheson descrive l’importanza del “senso interno”: “Questo potere superiore della percezione ò giustamente chiamato senso, a causa della sua affinità  con gli altri sensi in ciò, che il piacere non sorge da alcuna conoscenza di princìpi, proporzioni, cause o dall’utilità  dell’oggetto; ma ci colpisce subito con l’idea di Bellezza”. Hutcheson sottolinea l’importanza della relazione tra il nostro “senso interno” e il concetto di bello. La sua teoria estetica ò una teoria soggettivista del bello. Per Hutcheson, il concetto di bello esiste nella mente e non nell’oggetto (su ciò Hume concorderà  pienamente). Comunque, il soggettivismo può portare ad un relativismo estetico. Conseguentemente, Hutcheson definisce e descrive attentamente quali caratteristiche negli oggetti suscitano la sensazione di “bello” all’interno del nostro “senso interno”. Hutcheson divide il bello in due categorie: bello originale e bello comparato. Il bello originale ò percepito dagli oggetti che naturalmente accadono nella nostra esperienza. Proporzione e armonia sono le caratteristiche primarie in questi oggetti che eccitano il nostro “senso interno” del bello. Hutcheson usa la frase “uniformità  mista a varietà â€ per descrivere le giuste proporzioni del bello. Un oggetto ò bello se ò armonioso, la quantità  di bellezza ricevuta da un oggetto risulta dalla quantità  di armonia e proporzioni contenuta nell’oggetto. Per Hutcheson, le forme geometriche sono belle a causa della loro armonia e proporzione. Sicchò la buona architettura, la rivoluzione dei pianeti, un giardino ben tenuto, sono considerati belli a causa della loro uniformità  alle proporzioni. Si deve notare che un oggetto non deve essere tangibile affinchè sia bello. Hutcheson afferma anche che i teoremi matematici posseggono “bellezza” nella proporzione e nell’armonia delle loro variabili. Hutcheson definisce il bello comparato come il bello prodotto imitando un oggetto, una persona, un’idea originale. Questa categoria di bello risiede nelle Belle Arti. Hutcheson afferma che il bello comparato viene registrato dal nostro “senso interno” perchè contiene aspetti che imitano il bello originale. Un senso di bello può derivare anche dalle imitazioni confrontandole direttamente con l’oggetto originale che ò stato imitato. In questo modo un’opera d’arte ò bella se cattura l’armonia e le proporzioni dell’oggetto, della persona o dell’idea originale. L’etica Il pensiero inglese di inizio Settecento che trova in Shaftesbury e in Hutcheson i suoi campioni si accanisce contro Mandeville e contro Hobbes e la sua negazione della naturale bontà  del genere umano (“homo homini lupus”, dice Hobbes). Questi due pensatori, aristocratici e dalle condizioni agiate, asseriscono che, lungi dal ridursi a mero sforzo di autoconservazione, l’uomo ò naturalmente simpatia per gli altri suoi simili: viene in questo modo fondato il Settecento “sentimentale” che protesta e rompe con il razionalismo e l’intellettualismo all’epoca dilaganti; l’uomo non ò solo ragione, ma ò anzi anche e soprattutto sentimento, tale per cui prova per natura simpatia verso i suoi simili e, seguendo gli slanci di siffatto sentimento, dà  vita alla famiglia e allo Stato. Si tratta di un sentimento naturale nel senso che ò immediato e spontaneo, ò cioò un qualcosa che la natura ci detta al di qua di ogni riflessione e di ogni arte, ò un “istinto divino” in tutti presente e a cui tutti tendiam l’orecchio: suoi oggetti sono, innanzitutto, le evidenze preriflessionali quali la benevolenza e la simpatia per i nostri simili, nonchè un senso di giustizia volto a realizzare nella società  un’armonica convivenza (rispecchiante quella della natura) fra gli individui. Ciò che nello specifico Shaftesbury predica ò un umanesimo della simpatia, il cui fine naturale consiste primariamente nel raggiungere la virtù e la felicità  che ne scaturisce. Hutcheson, esprimendosi in termini affini, va dicendo che l’uomo ò animato da un immediato sentimento morale, che ò sentimento del bene comune e che noi proviamo inintenzionalmente, a prescindere da ogni riflessione: tale sentimento si sostanzia del desiderio che ciascuno sia felice, sicchò l’uomo non si muove esclusivamente per promuovere e tutelare i suoi individuali interessi, ma, viceversa, per garantire quelli di tutti e non agisce così in vista del proprio bene: se per Machiavelli e Hobbes il perseguimento dell’interesse comune era la cornice per meglio perseguire quello individuale, per Hutcheson e Shaftesbury quello comune vien prima di quello individuale, e anzi quest’ultimo ò a al primo subordinato. E questo sentire, configurato come disinteressato, non si colloca nè sul piano della razionalità  nè su quello delle passioni, bensì su un altro e più elevato livello: di esso la metafisica classica non era ignara, e anzi in buona parte tanto l’eros platonico quanto la meraviglia aristotelica – che della filosofia ò il motore – ne erano una prima precisa formulazione, quasi come se in essi si presentisse per via arazionale la verità  a cui la ragione perviene solo secondariamente. Hutcheson riprende il tema shaftesburiano della benevolenza universale come componente cardinale della natura umana: pur nutrendo maggior fiducia nell’umana ragione rispetto a quella nutrita dallo stesso Shaftesbury, egli non fa che rivalutare il sentimento, ed ò da qui che Rousseau prenderà  le mosse. Gli uomini, così come posseggono un senso estetico o un gusto stante alla base delle loro valutazioni estetiche, dispongono anche di un senso morale che li spinge spontaneamente a provar piacere di fronte alle azioni virtuose, senza tener conto dell’utilità  che da esse può derivare. Le azioni che il senso morale induce ad approvare di più sono quelle procuranti “la maggior felicità  per il maggior numero”: da tale constatazione prenderà  le mosse l’utilitarismo di fine Settecento e inizio Ottocento.

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