Nato in Inghilterra, Giovanni di Salisbury si recò nel 1136 in Francia: a Parigi seguì le lezioni di Abelardo e altri maestri, ma frequentò anche la scuola di Chartres. Dal 1148 soggiornò presso la corte pontificia e successivamente fu segretario dell’ arcivescovo di Canterbury, Thomas Becket. Divenuto nel 1176 vescovo di Chartres, morì poco dopo nel 1180. Fu autore di una Vita di Anselmo e di una Vita di Thomas Becket, nonchò di una sorta di storia della filosofia antica in versi. Egli scorge in Platone la sintesi di vita attiva, rappresentata da Socrate, e di vita contemplativa, rappresentata da Pitagora. Giovanni modella la sua stessa vita lungo queste due direttive, impegnandosi sia nella riflessione intellettuale, sia nelle vicende politiche e religiose del suo tempo. Il suo interesse per la cultura antica emerge già nei titoli delle sue opere principali, ricalcati sul greco, il Metalogico e il Policratico. Il primo, iniziato nella seconda metà del secolo, è una difesa della logica, che a Giovanni pare utile in ogni ambito del sapere. Sulla scorta di Cicerone, Giovanni si dichiara accademico, ritenendo che la conoscenza umana possa accedere solo al probabile, attenendosi a ciò che accade frequentemente, e poichò non si può essere assolutamente certi del futuro, su questa base egli critica le pretese divinatorie dell’ astrologia. Giovanni, tuttavia, non intende cadere in una forma di scetticismo radicale: i sensi, la ragione e la fede possono dare alcune certezze. I sensi rendono indubitabile, per esempio, che il sole riscaldi e il fuoco bruci, la ragione che la metà sia contenuta nel tutto e la fede che Dio esista, sia potente, sapiente e buono. Quest’ ultimo è il principio di ogni religione, mentre la Trinità divina resta incomprensibile, nel suo mistero, per l’ uomo. Il Policratico, composto da Giovanni prima del conflitto tra il re d’ Inghilterra e l’ arcivescovo di Canterbury, Thomas Becket, che sarà poi assassinato nella cattedrale della stessa città , è una delle opere più importanti del pensiero politico medioevale. Sulla questione dei due poteri, quello spirituale della Chiesa e quello temporale del re, Giovanni non abbraccia la teoria della netta distinzione tra essi, elaborata dai sostenitori dell’ impero. Egli tende piuttosto a riconoscere una certa superiorità del potere spirituale, ma lasciando al principe il compito del governo del popolo. Problema centrale, nella riflessione di Giovanni, diventa appunto quello del rapporto tra principe e popolo, alla base del quale vi è la legge di natura, che vale universalmente ed è vincolante per tutti. La nozione di legge di natura è di origine soprattutto stoica e Giovanni la trova esposta, in particolare, negli scritti di Cicerone. Tale legge proviene direttamente da Dio, è l’ immagine della sua volontà e la salvaguardia della sicurezza e dell’ unità del popolo; il principe invece impersona la totalità dei suoi sudditi e deve pertanto preoccuparsi del loro benessere. Giovanni traccia quindi un ritratto del principe perfetto, che dovrebbe avere un consigliere saggio e sapiente come Aristotele. Per questo aspetto, l’ opera di Giovanni s’ inscrive nella tradizione trattatistica dello speculum principis, mirante a tracciare il quadro delle virtù che devono essere proprie del buon governante. Su questa base, è possibile distinguere nettamente il vero principe dal tiranno, e il criterio decisivo è dato dall’ obbedienza alla legge, che invece il tiranno non rispetta. Dall’ impostazione di Giovanni potrebbe scaturire un atteggiamento ambivalente: da una parte, sembra possibile giustificare l’ accettazione passiva anche di un dominio tirannico, dal momento che la legge proviene direttamento da Dio e sarà dunque Dio a punire il tiranno, ma, dall’ altra, è anche possibile legittimare la resistenza al tiranno e persino il tirannicidio, come fa appunto Giovanni.
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