Ibn Arabi diede enorme peso alla sfera mistica, in contrasto con le posizioni razionalistiche maturate da Averroò (e destinate a non avere seguito nel mondo musulmano): nelle sue numerose opere – soprattutto in Le gemme della sapienza – egli insiste sull’unità dell’essere. Dio si moltiplica, attraverso i suoi attributi, nella creazione, ma il mondo sensibile ò solamente un’ombra di esso. La natura ò da ibn Arabi definita come il “respiro del Misericordioso”. L’uomo occupa una posizione centrale nel creato e i profeti sono espressioni della stessa realtà divina. Il fine dell’uomo consiste nell’unirsi misticamente a Dio nell’amore. Ibn `Arabi (Abu Bakr Muhammad ibn al-`Arabi al-Hatimi al-Ta’i) (1165-1240), insignito dei titoli onorifici di al-Shaikh al-akbar (“Il più grande maestro “) e di Muhyi al-Din (“Colui che fa rivivere la religione “), nacque in Murcia nella regione andalusiana del sud della Spagna in una famiglia di puro sangue arabo (da qui il suo nome), e fu istruito a Siviglia. Alla sola età di vent’anni già possedeva profonde vedute interiori spirituali: incontrò il grande filosofo aristotelico Averroò, il quale rimase molto colpito dall’incontro con un “così divino maestro”. Fino al 1198 Ibn `Arabi trascorse la sua vita in Andalusia e nel Nord Africa, incontrando altri sufi e scolastici e, talvolta, misurandosi in dibattiti. Per tutto questo tempo ebbe varie visioni mistiche. Durante quell’anno ebbe una visione che gli ordinava di partire verso est, ove avrebbe passato il resto dei suoi giorni. Dopo alcuni anni di viaggio attraverso Arabia, Egitto, Asia Minore e altri posti, ormai maestro di grande fama, alla fine nel 621 si stabilì a Damasco dove trascorse il resto della propria vita. Durante questo periodo completò la sua opera principale, I dodici volumi al-Futuhat al-Makkiyah (“Le Rivelazioni della Mecca”), la quale non solo era un’enciclopedia esaustiva del credo e delle dottrine del sufismo, ma anche un diario trentennale delle sue esperienze spirituali; un compendio delle scienze esoteriche nell’Islam che sorpassò qualsiasi altra opera precedente ma anche successive che trattasse degli stessi argomenti. La produzione di Ibn `Arabi fu copiosissima. E’ testimoniato che abbia scritto 289opere, di cui circa 150 esistono tuttora. Con Ibn `Arabi abbiamo per la prima volta un’esposizione completa della dottrina del sufismo, una monumentale sintesi che racchiude teologia, metafisica, cosmologia, psicologia pratica spirituale e molto altro. Anche se i precedenti scrittori sufi discussero le questioni metafisiche o le dottrine cosmologiche, non furono mai al suo livello: la maggior parte dei primi scritti del sufismo sono o guide pratiche o espressioni estatiche del trascendentale o stati mistici di consapevolezza. Toccò a Ibn `Arabi allora formulare in modo esplicito ciò che era solo implicitamente contenuto negli insegnamenti dei primi maestri del sufismo e, attraverso lui, la dimensione esoterica dell’Islam fu, per la prima volta, espressa apertamente. La dottrina del logos Una delle più importanti – forse la più importante e centrale – delle idee di Ibn Arabi fu quella del Logos, un termine greco da lui preso nel doppio significato di “eterna saggezza” e di “parola”. Fluttuando tra riferirsi al Logos come prima manifestazione della divinità o come anima semplicemente umana o universale, Filone alessandrino si riferiva al Logos come Il Grande Sacerdote, l’Intercessore o Paracleto, il Vicereggente, la Gloria di Dio, l’Ombra di Dio, l’Idea Archetipica, Il Principio della Rivelazione, il Figlio Primogenito di Dio, il Primo degli Angeli e così via. Qui abbiamo una confusione di termini mitologico – religiosi, teologici e cosmologici, molti dei quali furono presi dal Cristianesimo. Ibn Arabi mostra la netta influenza subita dalla dottrina di Filone nella propria dottrina del Logos; molti dei suoi termini descrittivi sono identici, ma propone anche idee tratte dal Corano, teologiche, tratte dal sufismo, neoplatoniche ed altre ancora. Parla del Logos (kalimah) come “Realtà delle Realtà ” (Haqiqatu’l Haqa’iq) in contrasto col sufista Hallaj che utilizzava l’espressione molto simile “Realtà della Realtà ” (Haqiqatu’l Haqiqah) che si riferisce a Dio stesso, la Realtà di Maometto, lo Spirito di Maometto, il Primo Intelletto, Il Più Potente Spirito, la Più Infervorata Penna (cioò la Penna che usa Dio per scrivere il destino di tutte le cose), il Trono di Dio, l’Uomo Perfetto, il Vero Adamo, L’Origine dell’Universo, Il reale che ò strumento per la Creazione, Il Pilastro (Qutb, su cui ruota tutto il creato), l’Intermediario ( tra Dio ed il Creato), LA Sfera Della Vita, il Servo dell’Uno che abbraccia tutto, e così via. Qui, come con Filone, c’ò una marcata confusione o esitazione tra l’idea emanazionista della prima manifestazione della divinità e la dualista-monoteistica idea della prima creatura che, pur ancora estremamente sublime, ò nondimeno separata da Dio da un abisso inaccessibile. In alter parole, c’ò confusione tra le ipostasi; in alcuni appellativi il “Logos” si rifà alla divinità celeste, in altri ad una mera emanazione e neanche la più alta (il Vicereggente, il Servo, ecc. ) di quella divinità . Questa ò la reale debolezza di ogni metafisica teistica; l’assolutezza e la trascendenza della persona divina agisce come una camicia di forza che ò restia o impossibile a rompersi. Il Logos di Ibn Arabi ha tre aspetti ( o può essere considerato da tre punti di vista): l’aspetto metafisico, come Realtà delle Realtà ; l’aspetto mistico, come Realtà di Maometto; l’aspetto di perfezione umana, come L’Uomo Perfetto. Considerando il primo di questi aspetti, la Realtà delle Realtà (Haqiqatu’l Haqa’iq), Ibn Arabi afferma che questo ò Il Primo Intelletto, il Principio Immanente Razionale nell’Universo ( idea Stoica), l’ “Idea Delle Idee” (o Archetipo degli Archetipi, il grande teologo cristiano alessandrino Origine si riferisce al Logos allo stesso modo cioò come Idea Ideon). Comprende tutti gli archetipi e tutte le cose esistenti in modo assoluto, non ò nò un intero nò una parte, non si allarga nò si restringe. Contiene gli archetipi delle realtà (haqa’iq) delle cose, ma ò se stesso omogeneo. E’ il sapere divino, il contenuto e la sostanza della divinità . E’ la prima manifestazione o epifania di Dio; Dio come Principio auto- rivelantesi dell’Universo; Dio manifesta se stesso come universale sapienza. Mentre per il secondo o mistico aspetto, la Realtà di Maometto (al Haqiqatu’l Mohammadiyyah), il Logos non ò l’attuale fisico o umano Maometto, ma la Realtà (haqiqa) dietro Maometto, il Principio Attivo di ogni rivelazione divina ed esoterica. Il Logos come Realtà Di Maometto ha le caratteristiche di essere il rivelatore permanente di Dio, il “trasmettitore” di ogni sapienza divina e la causa cosmologica di ogni creazione. E’ il principio attivo della sapienza divina. Questa distinzione tra il Maometto umano e quello trascendente fu popolare nel sufismo e nel pensiero esoterico Ismaili, attraverso cui i sufisti furono capaci di riconciliare il veicolo storico esoterico dell’Islam con l’esperienza esoterica interiore del divino. La stessa tendenza si verificò nella dottrina buddista Mahayana del Trikaya o dei tre corpi del Buddha, secondo la quale il Buddha storico era solo il membro meno, il Nirmanakaya o “corpo dell’emanazione”quello del Buddha principale, sopra tutti il Nirmanakaya era il Sambhogakaya o ” Corpo Divino Celestiale”; e ancora più su il Dharmakaya o “Vero Corpo”, che era della natura della “Realtà Assoluta”. Anche nel primo cristianesimo, specie nel cristianesimo gnostico, si verificò questa separazione dell’umano dal divino principio della Rivelazione. L’ortodossismo e il fondamentalismo cristiano chiamarono questa idea “docetismo” e la considerarono eresia grave. Raggiunse il suo Massimo sviluppo tra I cristiani gnostici del secondo e terzo secolo, con la loro distinzione tra Cristo uomo e Cristo veramente trascendente, che poneva su Gesù solo un “vestito ” o “travestimento”. Più recentemente, un’idea simile ò apparsa tra i cristiani teosofisti come Rudolph Steiner e Alice Bailey. Nell’insegnamento di Ibn Arabi, ogni profeta ò chiamato logos ma non il Logos, che, termine più ampio, si riferisce al principio spirituale o Realtà di Maometto. Ibn Arabi definisce ogni cosa “logos” – “Parola” di Dio – poichò ogni cosa partecipa del principio universale della ragione e della Vita, ma profeti e santi sono distinti dal resto perchò manifestano le attività e perfezioni del Logos universale Maometto al massimo grado. La differenza tra spirito o realtà di Maometto e il resto dei profeti ò come tra il tutto e le sue parti; lui unisce ciò che esiste in modo separato. Infine, per quanto riguarda il terzo o individuale aspetto, la possibilità di diventare logos che potenzialmente esiste per ogni musulmano. La differenza tra uno che dorme e uno che ò spiritualmente sveglio e i diversi livelli raggiunti dal secondo dipendono dal grado di preparazione. Ogni sufi cerca di diventare il logos. Nella gerarchia mistica, il Qutb o Pilastro ò la Testa Spirituale della gerarchia dei profeti e dei santi, il livello intermedio tra divinità e mondo fenomenico, tra eterno e temporale. Secondo il sufismo, il Pilastro si realizza nell’uomo perfetto, l’espressione umana individuale del Logos. Nell’insegnamento di Ibn Arabi, ogni profeta ò chiamato logos ma non il Logos, che, termine più ampio, si riferisce al principio spirituale o Realtà di Maometto. Ibn Arabi definisce ogni cosa “logos” – “Parola” di Dio- poichò ogni cosa partecipa del principio universale della ragione e della Vita, ma profeti e santi sono distinti dal resto perchò manifestano le attività e perfezioni del Logos universale Maometto al massimo grado. La differenza tra spirito o realtà di Maometto e il resto dei profeti ò come tra il tutto e le sue parti; lui unisce ciò che esiste in modo separato. Infine, per quanto riguarda il terzo o individuale aspetto, la possibilità di diventare logos che potenzialmente esiste per ogni musulmano. La differenza tra uno che dorme e uno che ò spiritualmente sveglio e i diversi livelli raggiunti dal secondo dipendono dal grado di preparazione. Ogni sufista cerca di diventare il logos. Nella gerarchia mistica, il Qutb o Pilastro ò la Testa Spirituale della gerarchia dei profeti e dei santi, il livello intermedio tra divinità e mondo fenomenico, tra eterno e temporale. Secondo il sufismo, il Pilastro si realizza nell’uomo perfetto, l’espressione umana individuale del Logos. Come il Pilastro della Creazione, il Qutb ò comparabile all’asse del mondo dello Sciamanismo ( che sopravvive nella mitologia scandinava come albero-del-mondo o e nella cosmografia Hindu e buddista come Monte Meru), il Tai Ch’i o “Grande Cardine” o “Grande Trave” della cosmologia cinese ( Neo-taoista e neo-confuciana), “Il Sole Centrale”di Blavatsky, che regge il Cosmo. Come il sole ò cardine centrale e fonte di vita ed energia per il sistema solare, così il Qutb ò come un sole nel centro della piana dell’Essere. Ma nel dire questo, bisogna essere attenti a non sostenere, come alcuni teosofisti e neo-teosofisti davvero fanno, che ci sia un sole fisico posto al centro. Questa ò solo una metafora, come “Pilastro” o “Montagna del Mondo”. Il Logos Divino perciò si manifesta come innumerevoli Avatars, Maestri Perfetti, Divine Presenze, e così via; sia in forma umana come un Avatar fisico e reale, sia in una forma non incarnata come cioò una Presenza che si muove in modo nascosto nel cuore spirituale (Qalb) di ogni essere individuale. Questo ò un processo continuo, poichè ò sempre una Divina Presenza nel mondo, anche se in alcuni periodi può essere più accessibile che in altri – perciò gli Ismaeliti parlano di Cicli dell’Epifania e Cicli del Nascondimento, e I Cabbalisti parlano di “Dio che svela il Suo Volto ma poi lo volge altrove” -ma anche in questi periodi di nascondimento della Luce, ci dovrebbero essere comunque avatars e maestri per coloro che sono sinceri. Le anime non inciampano mai nel mondo dell’Oscurità lasciate senza guida o senza grazia divina. Si potrebbe addirittura dire che chiunque aspiri alla spiritualità , attraverso il suo (di lei o di lui) sincero ardore e la mistica devozione ed arrendevolezza al divino, diventa un Qutb minore, aiutando così a mantenere i mondi attraverso totale affidamento a Dio e svuotamento di sè; il sacrificio del “sè minore” sull’altare del “sè più alto” e del divino che risiede ancora più in alto. Dualismo, Monismo, e dottrina del Logos La religione esoterica pone un vasto “golfo” ontologico tra Dio e la creazione. Dio ò Dio, perfetto, assoluto ed eterno; la creazione ò la creazione, imperfetta e finita. Questo ò il Dualismo. Da qui il bisogno di una rivelazione ( da parte della sacra scrittura, di un profeta, del Messia, o di un avatar) per coprire la distanza tra le due nature. in contrasto col dualismo, il Monismo afferma che esiste una sola realtà , che ò Dio o l’Assoluto che racchiude sia Dio che il mondo. Ma queste filosofie monastiche creano un chiasmo tra l’Assoluto ed il mondo fenomenico in modo negativo così come accade per quello creato dai dualisti religiosi. Il monista indiano Shankara per esempio distingue tra la sola ed assoluta realtà , che lui chiama Nirguna Brahman o “dio senza qualità “, ed l’apparenza irreale del mondo che ò Maya, o la realtà relativa. Anche se ontologicamente ( in termini di assolutezza dell’essere) il relativo ò infine lo stesso che l’assoluto (“questo mondo ò Brahman”), non ci sono connessioni reali o gradi tra i due. Maya, la realtà finita, ò semplicemente un’indeterminata “sovrapposizione” sopra Brahman, la realtà infinita.. La teoria della natura di Allah di Ibn al-Arabi ò conosciuta come wahdat ul-wujud, o Unità dell’Esistenza. Tuttavia nella posizione emanazionista, ogni livello sfuma nel livello superiore ed in quello inferiore. Così le dualità tra finito ed infinito, o realtà relativa e realtà assoluta, sono collegate da un principio intermedio, o da una serie di principi intermedi. Perciò i Shaiviti e I tantrici Shakta prendono la dualità di Shankara dell’assoluto ed infinito Nirguna Brahman e del finito e relativo mondo-dell’apparenza o Maya, ed inseriscono tra i due una serie di evoluzioni intermedie, le “pure tattwas”, tracciando i piani da dove l’assoluto gradualmente si limita e diviene il relativo. Allo stesso modo Ibn ‘Arabi distingue tra Haqq e Khalq; il reale e l’apparenza, il divino ed il mondo esterno, l’uno ed il molteplice, l’unità e la diversità , l’eesenza ed I fenomeni, il creatore e le creature; e come Shankara asserisce che solo l’assoluto(Haqq) ò reale, il molteplice (Khalq) ò, o meglio sono, semplici attributi di esso; nondimeno pone un livello intermedio che collega i due. Questo ò il Logos, la realtà delle realtà ; o in alternativa ò i al-ayan thabitah, gli eterni prototipi o essenze immutabili; che in ambedue I casi funge da mediatore tra l’Uno ed il mondo fenomenico. Questo principio ò passivo o ricettivo in relazione al divino, ma attivo in relazione al mondo.
- Letteratura Araba ed Ebraica