Il problema riguardante la fede ò centrale nella filosofia di Friedrich Heinrich Jacobi (1743-1819), influenzato in gioventù dallo “Sturm und Drang”, come testimoniano i due romanzi epistolari Allwill (1777) e Woldemar (1779). Jacobi mantenne contatti sia con gli esponenti più maturi dell’illuminismo tedesco (specialmente Lessing) sia, in un secondo tempo, con gli idealisti tedeschi (Fichte, Schelling ed Hegel), rispetto ai quali assunse una posizione di critica. Ebbe anche rapporti con Hamann e con Herder. E’ autore di celeberrime lettere a Mendelssohn Sulla dottrina di Spinoza, pubblicate in forma ampliata nel 1789 e, oltre ad altri scritti occasionali, di un saggio Sulle cose divine e sulla loro rivelazione (1811). L’aspetto fondamentale del pensiero filosofico di Jacobi ò l’affermazione della priorità della fede sulla ragione. “Noi tutti siamo nati nella fede, e nella fede dobbiamo restare, così come tutti siamo nati nella società e nella società dobbiamo restare”. Ed ecco che la fede viene intesa come un sapere immediato che ò “elemento di ogni conoscere umano”. Infatti essa può essere certezza del mondo sensibile ( e qui Jacobi riprende evidentemente le tesi di Hume) oppure certezza delle cose divine. Tanto nella forma sensibile quanto in quella religiosa la fede ò sempre e comunque rivelazione: essa implica cioò un atteggiamento di passività e di accettazione rispetto a qualche cosa che si rivela. Nell’ultimo periodo del suo pensiero Jacobi introduce però la distinzione tra la fede sensibile e quella religiosa, attribuendo a quest’ultima il nome di ragione. Ma la ragione di cui parla Jacobi non ò quella argomentativa e discorsiva che procede costruendo gradualmente il proprio oggetto, bensì si tratta di una ragione intuitiva che si apre con assoluta immediatezza alla verità . Per questo motivo Jacobi, insieme a Schelling, sarà uno degli obiettivi principali della polemica anti-intuizionistica intrapresa da Hegel. La battaglia che Jacobi conduce contro il razionalismo astratto si configurava per lui anche come una battaglia contro il panteismo e l’ateismo. Il tentativo compiuto dal razionalismo, da Renato Cartesio in avanti, di dimostrare e di comprendere con la sola ragione l’esistenza di Dio ha infatti avuto come risultato l’affermazione dell’identità tra finito e infinito, mancando di riconoscere l’incommensurabile superiorità del secondo sul primo. Esemplare ò a proposito il panteismo di Spinoza che, facendo coincidere la divinità con la natura, nega la specificità del divino e si traduce, secondo Jacobi, in un sostanziale ateismo. L’idealismo di Fichte (passando tramite la filosofia trascendentale di Kant) non ò che la naturale conseguenza del razionalismo spinoziano, dal momento che risolve l’intera realtà nell’assoluta razionalità dell’io. Analogamente, identificando spirito e natura, Schelling riconduce l’infinito al finito, arrivando così all’ateismo spinoziano. Anzi, con la sua dottrina dell’identità indifferenziata, egli risolve l’intera realtà in un concetto vuoto, in un nulla, facendo dell’idealismo una forma di nichilismo, termine che avrà una grande fortuna con Nietzsche nella seconda metà dell’ 800. Nelle lettere a Mendelssohn Sulla dottrina di Spinoza, per dimostrare gli esiti dannosi del panteismo spinoziano, Jacobi riferisce una conversazione da lui tenuta con Lessing nel 1780 (un anno prima della morte di Lessing stesso) nella quale il filosofo illuminista gli avrebbe confidato di avere ormai aderito alle tesi spinoziane dell’Uno-tutto. Questa rivelazione suscitò gran scalpore e originò una celebre polemica sul panteismo (Pantheismusstreit), alla quale parteciparono i maggiori esponenti della cultura del tempo, da Mendelssohn stesso a Kant, da Herder a Goethe. Il risultato fu opposto a quello auspicato da Jacobi: anzichè agitare lo spettro dell’ateismo, egli provocò, infatti, la rinascita dell’interesse per Spinoza e finì con l’irrobustire quella tendenza al panteismo che già animava la nuova cultura post-illuministica. I giudizi che i partecipanti alla polemica espressero sulla filosofia di Spinoza e sulla sua concezione della divinità furono generalmente molto favorevoli: essi possono essere compendiati da quello di Goethe, cui non mancò il coraggio di definire Spinoza un filosofo “theissimus et christianissimus”.
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