Vita e filosofia di Lucrezio - Studentville

Vita e filosofia di Lucrezio

Vita e pensiero del filosofo Lucrezio.

La vita Della vita di Tito Lucrezio Caro rimane poco o nulla: due righe di san Gerolamo ed un accenno (o forse due) di Cicerone, entrambi ideologicamente avversi alla dottrina epicurea e, perciò, quantomeno da considerare con ponderatezza. Si ò solitamente propensi a collocare la sua nascita tra il 98 e il 96 a. C. e la sua morte nel 55. Il silenzio su questo grande poeta e filosofo, che dovette provocare comunque un certo scalpore nella Roma di allora, ò tuttavia emblematico della stigmatizzazione che dovette subire il “De rerum natura”, lontano com’era sia dagli allora in voga poetae novi di ispirazione alessandrina, sia dallo stoicismo eclettico di Cicerone, sia dall’esaltazione della politica attiva o della guerra fatta da Catilina e Cesare. Nato nei burrascosi tempi della guerra civile fra Silla e Mario, probabilmente proveniva da Napoli o da Roma (dalla sua opera e dal modo in cui si rivolge all’aristocratico Memmio non si riesce però ancora a capire se fosse anch’egli un aristocratico oppure un liberto) e altrettanto probabilmente trascorse una vita tormentata da forti passioni, come si rileva in molti passi del “De rerum natura”. Va, tuttavia, respinta la teoria di San Girolamo riguardo la presunta follia di L. causata da un filtro d’amore: si pensa infatti che l’accusa sia nata nel IV secolo al fine di screditare la polemica antireligiosa del nostro poeta. L’epicureismo a Roma A parte il rigore intollerante di Catone il Censore, la cultura e il pensiero greco erano penetrati, attentamente filtrati, nel mondo romano. Naturalmente venivano eliminati tutti i risvolti del pensiero greco pericolosi per la conservazione dello stato: non a caso Cicerone trovava un elemento di forte contrasto nella dottrina di Epicuro: l’epicureismo era visto come una dottrina che portava alla dissoluzione della morale tradizionale soprattutto perchè, predicando il piacere come sommo bene, distoglieva i cittadini dall’impegno politico per la difesa delle istituzioni. Inoltre l’epicureismo, negando l’intervento divino negli affari umani, portava molti svantaggi anche alla classe dirigente la quale non poteva più usare la religione come strumento di potere. Poco si conosce riguardo la penetrazione dell’epicureismo nelle classi inferiori della società  romana; probabilmente divulgazioni dell’epicureismo circolavano presso la plebe attratta dalla facilità  di comprensione di quei testi e dagli inviti al piacere in essi contenuti. Per divulgare a Roma la dottrina epicurea, Lucrezio scelse la forma del poema epico didascalico. Vi ò, tuttavia, una contraddizione nell’agire di Lucrezio: se da un lato condanna la poesia per la sua stretta connessione col mito e per il fatto che può arrecare infelicità  agli uomini, dall’altro ne fa uso per divulgare i principi della dottrina epicurea. Con la forma scelta da Lucrezio, così alta e grandiosa, per divulgare il suo messaggio si ò pensato di dover spiegare anche l’atteggiamento di Cicerone nei suoi confronti: evidentemente Cicerone non poteva accettare gli ideali filosofici epicurei, ma forse ò proprio l’eccezionalità  della forma poetica che ha spinto Cicerone a non tenere conto di Lucrezio nella sua polemica all’epicureismo. La filosofia di Lucrezio *Religio: Il “De rerum natura” si apre con l’invocazione a Venere, dea dell’amore, unica a poter placare la sete di sangue di Marte, dio della guerra: Lucrezio vive i turbolenti anni della rivolta si Spartaco, della guerra di Gallia e forse anche delle ostilità  fra Cesare e Pompeo, e vorrebbe un ritorno alla pace, ostacolata dalle ambizioni e dalla brama di potere della classe politica romana. La via che Lucrezio trova per affrontare i mali della vita ò la dottrina di Epicuro, cantato come simbolo della ratio umana, che fuga i miasmi della religione e della superstizione e prende coscienza dello stato umano. All’inizio del poema Lucrezio invita il lettore a non considerare subito empia la dottrina che egli si accinge ad esporre, e a riflettere su quanto, al contrario, sia davvero crudele ed empia la religione tradizionale (emblema ne ò il sacrificio di Ifigenia, la figlia di Agamennone sacrificata dal padre per ingraziarsi gli dòi, o anche l’immolazione del vitellino e la descrizione della madre che lo cerca, disperata): la religione ò in grado di sopprimere e condizionare la vita di tutti gli uomini immettendo nel loro cuore un seme di paura: ma se gli uomini sapessero che dopo la morte non c’ò più nulla, smetterebbero di essere succubi della superstizione religiosa e dei timori che essa comporta. Si vede, quindi, già  dai primi versi come Lucrezio offra un nesso tra superstizione religiosa, timore della morte e necessità  di una speculazione scientifica per ovviare a questo timore: per lui, dunque, questi timori nascono dall’ignoranza delle leggi meccaniche che governano il mondo. Con parecchi secoli di anticipo su Marx, Lucrezio si accorge che la religione ò l’ ‘oppio del popolo’, e ha portato l’uomo a compiere azioni imperdonabili. L’accesa lotta alla religio ò certamente la parte piຠeterodossa della filosofia di Lucrezio: Epicuro non aveva cosà­ marcate tendenze atee, auspicava piuttosto un ritorno ad un culto piຠsemplice. Lucrezio si scaglia con ardore contro la religione, contro quella meschina invenzione umana che ‘potò suggerire tanto male’ ( tantum potuit suadere malorum ) e che con Epicuro si ò trovata ‘ calpestata’ ( religio pedibus subiecta ). I timori degli uomini di fronte alla morte e alla religione sono del tutto vani e analoghi alla paura dei bambini di fronte al buio. *Natura: Per insegnare agli uomini come la dottrina epicurea possa servire da tetrafarmaco, e combattere cioò la paura per morte, malattia, dolore e dei, Lucrezio inizia la sua descrizione della natura. Tutto ciò che ci circonda ò formato da piccolissimi granelli indivisibili, gli atomi, i semina rerum o genitalia corpora come li chiama il poeta per enfatizzare il loro originario ruolo di creazione. Ogni pianta, pietra, uomo ò formato da atomi, e cosà­ persino l’animo umano; ed ogni cosa ò destinata a nascere e disfarsi in eterno; solo gli atomi sono immortali e non i loro aggregati. In questo mondo, regolato dalle leggi meccaniche che governano le particelle elementari, c’ò comunque spazio per la libertà : all’origine dell’universo c’ò una deviazione del moto atomico, un clinamen, che ha dato il via alla formazione delle cose ed al gioco infinito della natura. *Morte: Dopo aver descritto la natura della materia l’autore invita i suoi lettori (rappresentati da Memmio) ad accettare la morte come qualcosa di ineluttabile e comunque esterna all’uomo: quando noi siamo non c’ò morte, quando c’ò la morte noi non siamo: invece di preoccuparsi della propria fine l’uomo dovrebbe occuparsi della vita e non sprecarla poltrendo od inseguendo stupide ambizioni (E tu esiterai, e per di piຠt’indignerai di dover morire? Tu cui ò morta la vita mentre ancora sei vivo e vedi e consumi nel sonno la parte maggiore del tempo, e pure da sveglio dormi e non smetti di vedere sogni, e hai l’animo tormentato da vane angosce, nè riesci a scoprire qual sia cosà­ spesso il tuo male, mentre ebbro e infelice ti incalzano da ogni parte gli affanni e vaghi oscillando nell’incerto errare della mente – III, vv. 1045-1052). *Sensi e amore: Il IV quarto tratta dei sensi, della loro veridicità , di come possano essere turbati. I sensi, per Lucrezio, non fanno altro che captare dei flussi atomici particolari: sentiamo perchè arrivano degli atomi alle nostre orecchie e vediamo perchè ne arrivano altri ai nostri occhi. àˆ dai sensi che hanno origine ogni forma di conoscenza e la ragione umana, non crollerebbe soltanto tutta la ragione, ma anche la vita stessa rovinerebbe di schianto, se tu non osassi fidare nei sensi (IV, vv. 507-8). Anche stavolta, dopo aver cercato di trasmette l’atarassia epicurea, Lucrezio si allontana dalla calma del suo maestro e descrive con profonda partecipazione quanto piຠpuò turbare i sensi, le passioni amorose e carnali, a cui dedica i vv. 1026-1287, di cui diamo qualche saggio: Brucia l’intima piaga (l’amore) a nutrirla e col tempo incarnisce, divampa nei giorni l’ardore, l’angoscia ti serra, se non confondi l’antico dolore con nuove ferite, e le recenti piaghe errabondo lenisca d’instabili amori, e ad altro tu possa rivolgere i moti dell’animo (vv. 1068-1073); Infatti proprio nel momento del pieno possesso, fluttua in incerti ondeggiamenti l’ardore degli amanti che non sanno di cosa prima godere con gli occhi o con le mani. Premono stretta la creatura che desiderano, infliggono dolore al suo corpo, e spesso le mordono a sangue le tenere labbra, la inchiodano coi baci, perchè il piacere non ò puro, e vi sono oscuri impulsi che spingono a straziare l’oggetto, qualunque sia, da cui sorgono i germi di quella furia (vv. 1076-1083). Dopo aver condannato l’amore come sofferenza (v. vv. 1068-1074), furore (vv. 1079- 1083), amarezza (v. 1134), rimorso (v. 1135), gelosia (vv. 1139 e segg. ), cecità  (v. 1153), miseria (v. 1159) ed umiliazione (vv. 1177-1179), Lucrezio cambia tono: “àˆ proprio lei che talvolta con l’onesto suo agire, / l’equilibrio dei modi, la nitida eleganza della persona, / ti rende consueta la gioia d’una vita comune. / Nel tempo avvenire l’abitudine concilia l’amore; / ciò che subisce colpi, per quanto lievi ma incessanti, / a lungo andare cede, e infine vacilla”. Appare diverso, teneramente malinconico, più paterno (“E spesso alcuni [… ] trovarono fuori [di casa] una natura affine, così da poter adornare di prole la loro vecchiaia”, vv. 1254-6). Personalità  contrastata fra ratio e furor, Lucrezio, come scrisse Schwob, “conoscendo esattamente la tristezza e l’amore e la morte, continuò a piangere e a desiderare l’amore e a temere la morte”. *Civiltà  e peste: Nel libro seguente il poeta descrive dettagliatamente la formazione del mondo e la nascita della civiltà : I re cominciarono a fondare città  e a stabilire fortezze, per averne difesa e rifugio a sè stessi, e divisero i campi e il bestiame, assegnati a seconda della forza, dell’ingegno e della bellezza di ognuno (V, vv. 1008-1111), senza però cadere in tentazioni positiviste: con la nascita della civiltà  nascono anche l’ambizione e la cupidigia, contro cui Lucrezio si scaglia con forza: Lascia dunque che si affannino invano e sudino sangue coloro che lottano sull’angusto sentiero dell’ambizione, poichè sanno per bocca d’altri e dirigono il loro desiderio ascoltando la fama piuttosto che il proprio sentire; nè questo accade e accadrà  piຠdi quanto ò accaduto in passato (vv. 1131-1135). Insomma, Lucrezio pone molta attenzione sul progresso dell’uomo e ne delinea gli effetti positivi e quelli negativi. Tra questi ultimi ha molto rilievo il fatto che il progresso ha portato con sè una grave decadenza morale e il sorgere di bisogni innaturali. Epicuro aveva infatti prescritto di evitare i desideri innaturali e non necessari, e di badare solo al soddisfacimento di quelli necessari: gli unici requisiti essenziali per essere un uomo veramente felice sono il non provare la fame, la sete e il freddo. Bisogna abbandonare gli sprechi inutili per indirizzarsi verso i piaceri naturali. Anche nel discusso finale dell’opera, la descrizione della tremenda peste di Atene, il poeta si distacca dalla pretesa leggerezza dell’epicureismo, per immergersi completamente nella malattia e nelle morti: probabilmente l’opera non doveva avere questo finale (ò comunque appurato che dovesse essere il sesto l’ultimo libro e non moltissimi versi alla chiusura del poema), mancando la descrizione delle sedi degli dei e la spiegazione di come l’epicureismo possa aiutare ad affrontare persino i mali piຠoscuri come la peste; il passo rimane comunque emblematico del tormentato animo lucreziano, che in questa descrizione ò piຠvicino al gusto dell’orrido di stoici come Seneca o Lucano che non al calmo filosofo del Giardino. *Politica: Seguendo gli insegnamenti del maestro Epicuro (‘vivi al di fuori della sfera politica’), Lucrezio rifiuta la politica e vede in essa una fonte di affanni e di tormenti per l’anima umana. Il saggio deve, inoltre, abbandonare le inutili ricchezze e allontanarsi, poi, dalla vita politica, dedicandosi a coltivare lo studio della natura con gli amici più fidati, somma ricchezza della vita umana. Lucrezio sottolinea la vacuità  e l’inutilità  di ogni forma di potere: solo distanti dalla vita politica si può contemplare il mondo serenamente, e guardare tutto e tutti con occhio distaccato, così come ò soave guardare dalla terraferma il mare in tempesta e gli uomini che vengono tormentati, compiacendosi dei mali da cui si ò indenni. Lo stile Se le teorie epicuree vedevano nella poesia un passatempo per allietare l’animo, Lucrezio la considera come il miele che, cosparso sull’orlo del bicchiere, aiuta il bambino a prendere la medicina ( nam veluti pueris abstinthia taetra medentes / cum dare conantur, prius oras pocula circum / contingunt mellis dulci flavoque liquore – lib V vv. 11-13): la sua poesia ò scientifica, chiara ( obscura de re tam lucida pango / carmina ), in netta rottura coi vatum terriloquis dictis di molti poeti che l’hanno preceduto (anche se può sembrare strano che la ricerca della chiarezza si accompagni ad un frequente uso di arcaismi e grecismi). Il commento di Cicerone, pensatore notoriamente avverso all’epicureismo, riguardo il “De rerum natura” testimonia che egli ammirava in Lucrezio non solo l’acutezza del pensatore, ma anche le grandi capacità  di elaborazione artistica. Anche lo stile, come l’organizzazione complessiva della materia da trattare, doveva piegarsi al fine di persuadere il lettore. Si spiegano sotto questa luce le frequenti ripetizioni che, a una prima vista, potevano sembrare delle semplici imperfezioni stilistiche. Anche l’invito all’attenzione del lettore ò ripetuto spesse volte. Non bisogna trascurare inoltre che la lingua latina mancava di alcuni vocaboli tecnici e non era quindi in grado di esprimere certi concetti della filosofia greca, Lucrezio si trovò costretto così a dover inventare nuove perifrasi e nuovi vocaboli: il poeta sfrutta molti vocaboli della poesia arcaica e molti altri ne crea ex novo. Vi ò inoltre un uso abbastanza frequente di allitterazioni, assonanze, costrutti arcaici, infiniti passivi in -ier, il prevalere della desinenza bisillabica -ai e l’uso dell’enjambement. Lucrezio dimostra di avere una buona conoscenza della letteratura greca, come testimoniano le riprese da Omero e Platone e la descrizione della peste di Atene. Il registro del poema ò quello dell’entusiasmo poetico posto a servizio della didattica: ne scaturisce uno stile severo, capace di durezze ed eleganze, pronto alla commozione ma anche all’invettiva profetica: comunque sempre grandioso. Considerazioni Prima del “De rerum natura” la letteratura romana non aveva prodotto opere di poesia didascalica di grande impegno; d’altra parte, Lucrezio si differenzia notevolmente rispetto ai poeti ellenistici in quanto ha come unico scopo quello di descrivere e spiegare ogni aspetto importante della vita dell’uomo e del mondo, di convincere il lettore della validità  della dottrina epicurea. La tradizione ellenistica ricerca invece la sua ispirazione negli argomenti tecnici, quasi idealizzanti. La consapevolezza dell’importanza ella materia e delle informazioni date determina un particolare tipo di rapporto tra Lucrezio e il lettore discepolo: questo viene continuamente esortato e minacciato affinchè segua con rettitudine i precetti e il percorso di felicità  imposti dall’epicureismo. Un’ ulteriore differenza tra la poesia didascalica ellenistica e quella di Lucrezio sta nel fatto che quest’ultimo ricerca le cause dei fenomeni, e propone al lettore una verità , una ratio sulla quale ò obbligato ad esprimere un giudizio, mentre la prima si limita a descrivere in maniera empiristica tali fenomeni. Per Lucrezio non vi ò nulla di cui meravigliarsi nell’osservazione di questo o quel fenomeno poichè esso ò connesso necessariamente con una regola oggettiva: non può trarne stupore chi abbia capito il funzionamento di tale regola. Alla retorica del mirabile egli sostituisce la retorica del necessario ( necesse est ò una formula molto usata nel poema di Lucrezio). I toni grandiosi e gli scenari sublimi del poema sono pensati per spronare il lettore a scegliere anch’egli un modello di vita forte e alta: il lettore di Lucrezio ò chiamato a trasformarsi in eroe, a farsi pronto e forte come la poesia che egli legge. Il destinatario ideale di Lucrezio ò colui che sa adeguarsi alla forza sublime di un’esperienza sconvolgente: in questo modo la dottrina degli atomi ò descritta non solo in sè, ma anche nelle reazioni di vertigine che può provocare nel lettore. Il rapporto docente allievo diventa nel “De rerum natura” un centro di tensione e un tema problematico; basta pensare per contrasto a quanto fosse pacifica la struttura didascalica dei poemi ellenistici. Una delle caratteristiche principali del poema ò la rigorosa struttura argomentativa. Lucrezio usa anche il sillogismo. Il libro che testimonia la perizia argomentativa di Lucrezio ò il III, dedicato alla confutazione del timore della morte. Pur avendo dimostrato scientificamente la mortalità  dell’anima, Lucrezio si rende conto che ciò non basta per distogliere l’uomo dalla paura di lasciare la propria vita. Al fine di convincerlo Lucrezio, nella parte finale del libro, dà  la parola alla Natura stessa, che si rivolge all’uomo; si tratta di una delle più celebri prosopopee della letteratura latina: ‘ Perchò la morte ti strappa questi gemiti? Perchò se hai potuto godere a tuo piacimento della vita trascorsa, se tutti questi godimenti sono stati come radunati in un vaso forato, se non sono scorsi via e perduti senza profitto, perchò, come un convitato sazio, non ritirarti dalla vita? Perchò, povero sciocco, non prenderti di buona grazia un riposo che nulla turberà ? Se, invece, tutto ciò di cui hai a lungo goduto è trascorso in pura perdita, se la vita ti è di peso, perchò volerla prolungare di un tempo che a sua volta deve terminare in una triste fine e dissiparsi tutto senza profitto? Non posso immaginare ormai altre nuove invenzioni per farti piacere: le cose vanno sempre allo stesso modo. ‘ In questo libro ò evidente il contatto di Lucrezio con la letteratura diatribica (ossia l’accorgimento di far parlare dei personaggi fittizi di particolare interesse). I critici sono molto confusi riguardo al binomio autore e narratore: benchè siano la stessa persona non devono essere sovrapposte meccanicamente. Come visto, un’attenta lettura dell’opera induce a constatare che la tensione dell’autore ò sempre rivolta a conseguire il convincimento razionale del lettore, a trasmettergli i precetti di una dottrina di liberazione morale. Lucrezio ò fortemente contrario alle insensatezze della passione amorosa poichè questa non ò certamente un bisogno necessario e deve essere, di conseguenza, esclusa dai piaceri da conseguire. Probabilmente avranno agito anche stimoli culturali diversi, quali la volontà  di contrapporsi all’ideologia erotica dei neoteroi. La volontà  di Lucrezio ò allora, come già  detto, quella di ricercare un indirizzo stilistico elevato che accolga nella sua forma sublime gli elementi della satira e della diatriba. Riassunto del De Rerum Natura La più grande opera di Lucrezio, il “De rerum natura”, fu scritta in esametri e suddivisa in sei libri: probabilmente non fu finita o, in qualsiasi caso, manca di una revisione. Il poema ò dedicato a Gaio Memmio, che fu amico e patrono di Catullo e Cinna. San Girolamo asserisce che il “De rerum natura” fu rivisto e pubblicato da Cicerone pochi anni dopo la morte di Lucrezio. La data di composizione non ò sicura: probabilmente fu composta nel periodo successivo al 58, anno in cui fu pretore Memmio. Il motivo del poema, come spiega lo stesso Lucrezio, ò la diffusione della filosofia epicurea a Roma; un’impresa ardua, tanto più per il fatto che la lingua latina aveva un vocabolario molto ristretto e Lucrezio si trova in difficoltà  nel tradurre in latino parole greche centrali nella filosofia di Epicuro e deve ricorrere a perifrasi nuove, quali semina, primordia o corpora prima per designare gli atomi. Ma perchè allora Lucrezio, per impartire insegnamenti filosofici, si avvale della poesia? Lucrezio spiega che come i genitori somministrano le medicine ai bambini cospargendole di miele per renderle meno sgradite, così lui intende fare con la filosofia: vuole cioò cospargere col miele delle Muse una dottrina apparentemente amara, che riduce l’esistenza dell’uomo al mondo terreno. Quest’idea, di sfuggita, ò ripresa anche da Torquato Tasso in La Gerusalemme liberata, libro I: E che il vero condito in mille versi, / i più schivi allettando ha persuaso. Il poema ò chiaramente articolato in tre gruppi di due libri (diadi): Nel I libro, dopo l’inno a Venere, personificazione della forza vivificatrice della natura e immagine della contemplazione razionale della bellezza della natura, sono spiegati i princìpi generali della filosofia epicurea: gli atomi, le parti ultime della materia (indivisibili, immutabili, infinite), muovendosi nel vuoto infinito si aggregano in modi diversi e danno vita a tutte le realtà  esistenti; interviene poi la disgregazione. Nascita e morte sono costituite da questo processo di continua aggregazione e disgregazione: a rigor di logica, spiega Lucrezio, nulla muore, nulla nasce e tutto si conserva. Alla fine del I libro Lucrezio fa una carrellata di teorie naturalistiche contrapposte a quella di Epicuro, confutandole una ad una: Eraclito, Empedocle, Anassagora. Nel II libro viene illustrata la teoria del clinamen, la caratteristica più originale di Epicuro rispetto a Democrito e Leucippo: il clinamen, ovvero la deviazione degli atomi dal loro corso, svolge due funzioni importantissime. Se non ci fosse, da un lato, il mondo non si sarebbe potuto formare: esso ò infatti dato dallo scontro degli atomi e dalla loro successiva aggregazione, ma se essi cadessero verticalmente nell’infinito non potrebbero mai incontrarsi; con il clinamen, invece, per una qualche legge che sfugge al rigido determinismo, può succedere che qualche atomo si allontani dal suo moto verticale e vada a scontrarsi con altri atomi. La teoria del clinamem, poi, rende possibile il libero arbitrio dell’uomo, il quale ò, per Epicuro e per Lucrezio, artefice del proprio destino: l’idea che nel mondo non tutto vada secondo necessità , secondo leggi rigidamente determinate ò dimostrato dal fatto che gli atomi subiscano il clinamen (deviazione) e si scontrino, dando origine al mondo; viene così garantito un margine di libertà  all’agire umano. Il III e IV libro costituiscono la seconda coppia che espone l’antropologia epicurea: il III spiega come l’anima e il corpo siano entrambi costituiti da atomi e, pettanto, entrambi destinati a morire. Tuttavia si tratta di atomi diversi: quelli dell’anima sono più leggeri e lisci. Il IV libro tratta la gnoseologia epicurea: entra in gioco la teoria dei simulacra, teoria secondo la quale alcuni atomi si staccano dall’ oggetto conosciuto per colpire i sensi del soggetto conoscente. I simulacra, tra l’altro, servono anche per spiegare le immagini che vediamo nei sogni e sono anche all’origine della reazione dei dormienti di fronte all’immagine degli oggetti del loro desiderio. Lucrezio dà  anche una celebre spiegazione della passione d’amore, spiegando come essa altro non sia che un’attrazione fisica, meramente materiale. La terza coppia di libri prende in esame la cosmologia: il libro V espone la mortalità  del mondo (uno degli infiniti tra i mondi esistenti), analizzandone il processo di formazione. Lucrezio tratta anche, in questo libro, del moto degli astri e delle sue cause. Il VI libro, invece, si sforza di dare spiegazioni assolutamente naturali dei vari fenomeni fisici (i fulmini, i terremoti, ecc), estromettendone la volontà  divina, che non influisce minimamente negli affari degli uomini. Sulla descrizione dei vari eventi catastrofici si innesta la descrizione della terribile peste scatenatasi ad Atene nel 430 e già  narrata splendidamente da Tucidide, con la quale l’opera si chiude bruscamente. Ogni coppia si chiude con un quadro impressionante di dissoluzione. All’attacco di ogni libro, invece, c’ò una celebrazione di Epicuro ( ille deus fuit ripete Lucrezio), del suo coraggio intellettuale e del suo ruolo storico (e qui Lucrezio evidentemente intende il riferimento anche come rivolto a se stesso). Come detto, il “De rerum natura” probabilmente non ha ricevuto un’ultima revisione: il poema avrebbe dovuto chiudersi con una nota serena, in corrispondenza con il gioioso inno a Venere, e non con il terrificante quadro della peste di Atene.

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