Nicolas de Malebranche nacque a Parigi nel 1638, entrò come novizio all’ Oratorio nel 1660 e fu ordinato sacerdote nel 1664. Tra le sue opere si ricordano: Ricerca della verità ( 1674 – 75 ), Conversazioni cristiane, Trattato della natura e della grazia ( 1680 ), oggetto di una polemica con il giansenista Antoine Arnauld, Bousset e Fònelon, Trattato di morale, Meditazioni cristiane e metafisiche, Dialoghi sulla metafisica e la religione. Morì nel 1715. In Malebranche l’ unico vero scopo della filosofia, dove non conta altro che la ” gloria di Dio “, è di mostrare che in realtà l’ anima non si distacca mai da Dio, anche quando essa se ne crede molto lontana, ossia quando essa è al più basso livello di conoscenza, che Malebranche ( sulla scia essenzialmente di Platone ) identifica con la sensibilità . La falsa credenza della nostra indipendenza e del potere autonomo delle creature è una forma di peccato di orgoglio ( come d’ altronde aveva già sostenuto Giordano Bruno ), ed è esclusivamente un fatto intenzionale o volontario ( d’ una intenzione pervertita dal peccato originale: quella di allontanarsi da Dio ); ma ciò nella realtà è impossibile poichò tutte le realtà sono necessariamente in Dio. La principale origine della meditazione personale di Malebranche sembra essere stata la difficoltà del cartesianesimo di spiegare il rapporto tra finito e infinito, tra corpo e anima. Cartesio era stato l’ autore di una fisica che, sin dalle prime sue opere, Malebranche adottò con entusiasmo; ne elaborò lui stesso alcune parti, come la teoria della luce, e seguì con convinzione la teoria dell’ animale – macchina; questa fisica era fondata sull’ idea chiara e distinta dell’ estensione, che essa considerava come la forma rapprsentativa della sostanza creata; d’ altronde essa poneva nel movimento la causa di tutte le modificazioni dell’ universo, e affermava che il corpo agisce sull’ anima e l’ anima sul corpo. Cartesio pensava dunque che la realtà materiale potesse comunicare qualcosa all’ anima che la percepisce e che la materia avesse in se stessa potenzialità di modificarsi. Secondo Malebranche questi errori e difficoltà propri della filosofia cartesiana possono essere evitati solo se si comprende l’ essenza dello stesso pensiero cartesiano. Un primo modo di evitare questi errori è indubbiamente dato dalla teoria della visione di tutte le realtà in Dio. La filosofia di Cartesio permette di distinguere, nella nostra percezione delle cose esteriori, essenzialmente due elementi: 1 ) qualità sensibili oscure, le quali sono modi di essere modificati dalla sensazione e modi di essere della nostra anima, che danno la verità ; 2 ) un’ idea chiara e distinta, quella dell’ estensione, che è puramente intellettuale e non sensibile. Da questi due elementi del cartesianesimo, Malebranche effettua le seguenti osservazioni: l’ estensione non può essere infinita se non identificandosi con Dio, ed è in Dio che noi la possiamo intuire; anzi, è la qualità dell’ infinitezza di Dio stesso ” in quanto partecipa ” alla creazione materiale; l’ idea della ” partecipazione “, manco a dirlo, sa fortemente di platonico. Un secondo modo per evitare gli errori cartesiani è la teoria delle cause occasionali. Malebranche accoglie il principio cartesiano dell’ evidenza, così come difende le esigenze di un razionalismo rigoroso. La ragione riveste infatti un carattere necessario, che vale anche per Dio, il quale si identifica con la ragione stessa; già Agostino era stato il precursore di queste teorie, sostenendo che la nostra ragione si identificasse, o meglio, fosse una pallida copia della seconda persona della Trinità ( la Sapienza ). L’ ordine del mondo non è dunque espressione di una volontà arbitraria della divinità , come di fatto pensava Cartesio, ma rispecchia la struttura della ragione universale e infinita ( infinita per le seguenti ragioni: a ) essa comprende in sò la totalità delle ” idee “; b ) tale totalità comporta un numero infinito di ” idee “; c ) tra queste idee vi è pure quella di infinito ); la ragione presente in Dio, cui Dio obbedisce non obbedendo che a se stesso, coincide per Malebranche con la struttura oggettiva della realtà e di conseguenza essa fornisce anche la garanzia assoluta del sapere che l’ uomo attinge consultandola. Un simile impianto razionalistico trova però paradossalmente in Malebranche un esito mistico – religioso e il ponte di passaggio dall’ uno all’ altro termine è offerto proprio dalla critica alla dottrina cartesiana del rapporto tra le sostanze. Erroneamente, sostiene Malebranche, siamo soliti congiungere causalmente due cose per il solo fatto che si vede sempre l’ una insieme all’ altra. Per esempio, quando una palla da biliardo ne incontra un’ altra, si sostiene che la prima è causa del movimento della seconda; oppure quando il braccio si muove in concomitanza della mia volontà di muoverlo, si dice che il mio atto di volizione è causa del moto del braccio. In realtà è Dio la causa reale del movimento della seconda palla da biliardo così come del braccio, mentre la prima palla o la volontà non sono che le cause occasionali. Infatti, si può conoscere un rapporto causale solo quando esso è evidente. Ma l’ osservazione dei movimenti delle due palle da biliardo, o della concomitanza tra la mia volizione e il moto del braccio, non offre questa evidenza. Per contro, la ragione mi garantisce l’ evidenza del fatto che Dio è causa non solo di tutte le cose, ma anche di qualsiasi mutamento avvenga nel mondo. Viene così negata non solo l’ efficienza causale della sostanza pensante su quella estesa ( o viceversa ), ma anche quella interna alla sostanza estesa stessa, cioò tra corpo e corpo, come nel caso delle due palle da biliardo. Ma se Dio è causa di ogni evento possibile, egli sarà anche la vera causa delle nostre idee. Noi dunque conosciamo gli oggetti non in quanto li percepiamo sensibilmente, ma in quanto vediamo le cose in Dio, cioò in quanto Dio comunica direttamente le idee alla nostra mente. Il dubbio cartesiano sulla veridicità dell’ esperienza viene così risolto non già facendo di Dio il semplice garante dei meccanismi conoscitivi dell’ uomo, ma considerandolo l’ autore del contenuto stesso della conoscenza mediante un’ illuminazione interiore di esplicita ascendenza agostiniana: Malebranche a proposito dice: ” non soltanto non potremmo veder nulla che Dio non volesse lasciarci vedere, ma non potremmo veder nulla se Dio stesso non ce lo facesse vedere. E’ Dio stesso, quindi, che illumina i filosofi nelle conoscenze che gli uomini ingrati chiamano naturali, anche se provengano loro da nessun altro luogo che dal Cielo “. In quella che può essere considerata la sua opera più importante, La ricerca della verità , Malebranche affronta proprio la questione della visione delle idee in Dio: da un lato esprime l’ esigenza di privilegiare le fonti interiori della conoscenza e il fondamento teologico che la supporta, in piena armonia con la tradizione agostiniana; dall’ altro egli si mantiene fedele all’ istanza razionalistica di Cartesio, fino a fare della ragione la struttura necessaria della realtà e del sapere, che trova corrispondenza nella natura stessa di Dio. In parte Malebranche riprende una tematica tipica della filosofia scolastica – cristiana: Dio ha in sò l’ apparato ideale ( quelle che Platone chiamava ” idee ” ) ispirandosi al quale può creare tutta la realtà ( può decidere se crearla o meno, ma non può decidere se pensarla o no: è cioò vincolato dalla sua natura stessa ) oppure egli è totalmente libero di agire a suo piacimento senza vincoli interni, ossia senza le ” idee ” ( l’ apparato ideale stesso è un vincolo perchò Dio dovrebbe ispirarsi ad esso nel creare la realtà )? Malebranche risponde al quesito dicendo che ” è assolutamente necessario che Dio abbia in se stesso le idee di tutti gli esseri che ha creato, poichò altrimenti Egli non avrebbe potuto crearli ” e aggiunge anche che è necessario che perciò ” veda tutti questi esseri contemplando le sue perfezioni essenziali con le quali essi sono collegati “. Cartesio secondo Malebranche sbagliava in modo grossolano quando sosteneva che di una cosa si potesse affermare solo ciò che si concepisce chiaramente e distintamente nella sua idea: analizzando l’ idea di corpo, infatti, non vi si troverà altro che una estensione figurata e mobile, ma niente che sia paragonabile a un principio che si definisca come ” forza “. E’ solo in Dio che noi possiamo trovare una vera causa efficiente e, se l’ incontro dei corpi è seguito da una regolarità di modificazioni, si dirà che l’ urto è la causa occasionale o naturale in cui agisce l’ unica causa che è Dio: in occasione dell’ incontro Dio vuole, con una volontà attiva, che queste modifiche si compiano. Dovunque, quindi, solo l’ azione divina rende intellegibile la realtà ; questa azione ha un carattere di perfezione che ci aiuta nella scoperta e nell’ interpretazione della natura: infatti, visto che Dio è l’ essere universale e perfetto, agisce secondo leggi universali e secondo leggi semplici: questa semplicità che noi vediamo all’ opera nelle leggi della natura, dove l’ effetto più complicato è sempre prodotto attraverso le vie più semplici, si trova pure, in una maniera che possiamo comprendere in modo chiaro e razionale, nelle leggi della grazia e della giustizia divina, perchò un’ azione di Dio non può essere arbitraria, ma ha una sua norma anche se questa sfugge alla nostra concettualizzazione. Dio è anche norma dell’ azione morale: perchò è in lui che noi troviamo la regola secondo la quale le creature si ordinano in base a una gerarchia di perfezioni da cui proviene l’ imperativo su ciò che è moralmente preferibile: l’ ideale morale è agire secondo l’ ordine, che è la virtù che racchiude tutte le altre virtù.
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- Filosofia - 1600