Ben altra originalità rispetto agli altri filosofi ebrei in terra araba presenta il pensiero di Moshò ben-Maimon, noto anche come Maimonide. Anch’ egli nacque a Cordoba nel 1138, ma nel 1148 fu costretto a lasciare, con la famiglia, la città per sfuggire alla persecuzione seguita alla conquista degli Almohadi. Dopo peregrinazioni per la Spagna e forse per la Provenza, si stabilì dapprima a Fez nel Marocco e successivamente al Cairo, ove morì nel 1204. La famiglia era dedita al commercio marittimo con l’ India, ma un naufragio la portò alla rovina; Maimonide si dedicò allora alla medicina, acquistando fama e diventando nel 1185 uno dei medici ufficiali del vizir del Saladino. Egli ò l’autore oltre che di scritti giuridici, di due opere importanti. la Mishneh Torah, terminata verso il 1180, e dedicata ai fedeli semplici e presenta in forma chiara e razionale l’ insieme della legge orale, contenuta nella Mishnah e nel Talmud, mentre la sua opera filosofica fondamentale ò La Guida dei perplessi, terminata nel 1190. Scritta in arabo, essa fu tradotta in ebraico agli inizi del XII secolo e successivamente dall’ ebraico in latino. Essa ò destinata a un allievo prediletto, uno uno di quelli “che girano intorno alla dimora del sovrano e cercano l’ ingresso”: tali sono, appunto, i perplessi, ugualmente lontani sia da una fede cieca nella rivelazione, sia dall’esclusivo affidamento alla ragione. La loro perplessità deriva dal fatto di trovare nei testi sacri affermazioni contrastanti e perciò l’ obiettivo di Maimonide consiste nel tirarli fuori da queste perplessità . Secondo Maimonide, non tutti gli uomini hanno uguali possibilità di raggiungere la verità . Nel testo sacro esistono due sensi, uno esplicito ed uno nascosto; quest’ ultimo ò superiore e può essere conosciuto e accettato dai più soltanto “per via autoritativa”. Così ò, per esempio, per l’ unità e l’ incorporeità di Dio. La piena comprensione della verità ò, dunque, soltanto di pochi, e a questi la verità può essere adeguatamente trasmessa soltanto nel rapporto diretto tra maestro e discepolo. Partendo da queste tesi, alcuni stidiosi moderni hanno tratto la conclusione che Maimonide fosse fautore di una forma di esoterismo filosofico, secondo il quale le verità filosofiche non devono essere rese pubbliche per iscritto. Inoltre, quando si scrive, esse devono comparire soltanto tra le righe, passando inosservate ai più e rimanendo inaccessibili a quanti sono indegni di riceverle. La stessa Guida dei perplessi ò organizzata in modo da rivelare e dissimulare insieme il suo significato nascosto, ed ò per questo che Maimonide invita a studiare il suo libro, senza idee preconcette, non capitolo per capitolo, ma problema per problema. Per quale ragione le verità filosofiche dovrebbero essere dissimulate? Su vari punti la filosofia ò in contrasto con la religione; se i filosofi manifestano apertamente le conclusioni alle quali sono pervenuti razionalmente, sarebbero perseguitati. Inoltre non per tutti gli uomini la verità ò un bene. Ciò di cui tutti gli uomini hanno invece bisogno per sopravvivere ò la società retta dalla legge: la legge ò necessaria per i più, incapaci di sopportare la luce abbagliante della verità . I destnatari del discorso di Maimonide non sono i più, ma neppure i dotti, bensì i perplessi, come si ò visto. Se avesse scritto per i dotti, ossia per i filosofi, egli avrebbe potuto rivolgersi ad essi senza dissimulare il suo pensiero; ma ciò non significa che la filosofia sia dunque estranea all’ orizzonte di Maimonide: egli sottolinea esplicitamente la necessità di studiare Aristotele, “il grado supremo dell’ intelletto umano”. Di Platone invece si può fare a meno, “perchò l’ opera di Aristotele ò sufficiente”. Maimonide ritiene che sia possibile stabilire, per via dimostrativa, l’ esistenza di Dio, la sua unità e la sua incorporeità . Se qualcosa esiste, come appunto ci attestano i sensi, esiste necessariamente un essere necessario che ne è la causa. Tale essere è Dio, che conosce anche le cose particolari, ma con un unico e immutabile atto, sicchò la molteplicità delle cose conosciute da Dio non comporta che il suo sapere sia molteplice e non unico. Il modo meno inadeguato di parlare di Dio è quello che fa uso di attributi negativi: non è privo di vita, la sua esistenza non dipende da una causa e quindi è eterno, non è nò impotente, nò ignorante, nò negligente. Dal riconoscmento dell’ esistenza dell’ essere necessario e, dunque, eterno, non consegue necessariamente che ciò che deriva e dipende da lui, vale a dire il mondo, sia eterno. L’ eternità del mondo è indimostrabile, mentre la creazione è certa; infatti, il mondo avrebbe potuto essere diverso da come è, ma poichò esso è così come è, ciò è dipeso dalla libera scelta di Dio: di qui scaturisce la contingenza del mondo. Il problema dell’ uomo è, anche per Maimonide, quello di ascendere alla conoscenza di Dio. L’ anima razionale dell’ uomo è l’ intelletto materiale o in potenza e, per farlo passare all’ atto, occorre l’ intervento dell’ intelletto attivo, che è unico. Sin qui la posizione di Maimonide non si differenzia da quella di Avicenna, ma egli aggiunge un’ ulteriore condizione: per esercitare efficacemente la sua opera, l’ intelletto attivo deve trovare l’ intelletto materiale ben predisposto ad accoglierla. E’ compito dell’ uomo prepararsi e predisporsi in tal senso, in quanto, in relazione a gradi diversi di preparazione e predisposizione, si avranno gradi diversi di illuminazione da parte dell’ intelletto attivo. Solo su chi ha studiato le scienze, per conoscere Dio attraverso i risultati della sua azione, si può diffondere la luce dell’ intelletto attivo: sapiente è colui che la riceve nell’ anima razionale, mentre profeta è chi la riceve anche nella facoltà immaginativa, e quest’ ultimo è il grado supremo di perfezione dell’ uomo. L’ immortalità è riservata agli eletti, ma non sembra riguardare l’ anima individuale; la diversità tra individui dipende, infatti, dalla materia, ma poichò con la morte l’ anima si separa dal corpo, essa perde ogni individualità . L’ immortalità dell’ uomo consiste, quindi, nella partecipazione all’ intelletto separato, che è unico ed eterno.
- Letteratura Araba ed Ebraica