Vita e filosofia di Plotino - Studentville

Vita e filosofia di Plotino

Pensiero e vita del filosofo Plotino.
Pensiero e vita del filosofo Plotino.

La vita e l’adesione al platonismo Plotino nacque a Licopoli in Egitto verso il 204. Iniziò tardi, verso i 28 anni, a interessarsi di filosofia ad Alessandria, ove, deluso da vari filosofi, incontrò finalmente il platonico Ammonio Sacca. Alla scuola di Ammonio, che non lasciò alcuno scritto, Plotino rimase 11 anni. Nel 243, allo scopo di entrare in contatto con i sapienti di Persia e India, si unì alla spedizione dell’ imperatore Gordiano contro i Parti. Ma l’ uccisione di Gordiano fece fallire la spedizione e Plotino si rifugiò ad Antiochia, per recarsi poi, nel 244, a Roma. Qui raccolse intorno a sè amici e discepoli, con i quali leggeva e discuteva testi di Platone e Aristotele e dei loro commentatori. Di questo pubblico facevano parte non solo filosofi, come Amelio e Porfirio, ma anche medici, membri del Senato e donne di nobili famiglie, che non esitavano ad affidargli i figli in tutela e i beni da amministrare. Pur senza essere un filosofo di corte, Plotino godette dell’ amicizia dell’ imperatore Gallieno e della moglie Salomina. Col loro appoggio contava di far sorgere in Campania una città  di filosofi, retta da leggi platoniche, che avrebbe appunto chiamato Platonopoli. Il progetto sfumò per l’ opposizione di membri della corte, ma non si deve pensare che esso fosse la reviviscenza del filosofo – politico di stampo platonico; la città  a cui Plotino aspirava era piuttosto il rifugio del filosofo e dei suoi compagni, in questo senso, essa è stata paragonata a una sorta di monastero o convento pagano. Nel 263 entrò nella sua scuola all’ età  di 30 anni Porfirio, il futuro autore di una Vita di Plotino ed editore degli scritti del maestro. Nel 268, anno in cui Gallieno fu assassinato, Porfirio, in preda ad una crisi, meditò il suicidio, ma Plotino lo distolse, invitandolo a distrarsi con un viaggio. Porfirio si recò in Sicilia, ove nel 270 lo raggiunse la notizia della morte di Plotino, che, ammalato, si era ritirato in Campania. Nei primi dieci anni del suo soggiorno a Roma, sino al 253, Plotino insegnò soltanto attraverso conversazioni orali. Nei 10 anni successivi, sino all’ arrivo di Porfirio nella scuola, compose 21 libri, ma senza dare titoli ad essi. I rimanenti furono scritti negli anni successivi, per un totale di 54 trattati, che possediamo nella loro integralità . All’ inizio del quarto secolo, Porfirio mise a punto un’ edizione di essi secondo un ordine sistematico, non secondo l’ ordine cronologico della loro composizione. Egli suddivise i 54 trattati in 6 gruppi di 9 ( da cui il titolo Enneadi ), raggruppandoli per temi secondo una sequenza che espone l’ itinerario del filosofo che si innalza dal mondo sensibile sino alla divinità . Si tratta dell’ itinerario che anche i discepoli devono ripercorrere, sulla scia dell’ insegnamento del maestro, dalle questioni più facili sino alle più complesse. Per quel che possiamo sapere, Plotino è il primo filosofo dell’ antichità , che scrive di proprio pugno i suoi scritti, non secondo la prassi abituale di dettare a un amanuense. Porfirio riferisce che egli non modellava le lettere, non curava l’ ortografia, nò rileggeva quanto aveva scritto, anche per la sua debole vista. La sua scrittura veniva di getto, quasi come se si limitasse a trascrivere complessi di pensieri già  totalmente e perfettamente organizzati nella sua mente. Le Enneadi non danno un’ esposizione sistematica e scolastica del suo pensiero, ma partono sempre da problemi singoli, a volte postigli dal suo pubblico o da interlocutori immaginari, seguendo l’ andamento della conversazione orale, e non disdegnando dal ricorrere a un linguaggio pieno di immagini e metafore, proprio come quello di Platone, di cui Plotino celebrava il compleanno con sacrifici e banchetti; peraltro, i testi di Platone sono il punto di partenza della sua riflessione. In tal senso, la filosofia è in primo luogo esegesi, ricerca del significato presente in quei testi. Il suo insegnamento iniziava con la lettura di passi platonici, o anche aristotelici, nonchò di interpretazioni che ne erano state date nel passato; questa lettura era poi occasione per sviluppare analisi e riflessioni. Plotino non esita a riprendere e utilizzare temi, concetti e terminologia derivanti anche da altre scuole filosofiche, come lo stoicismo o l’ aristotelismo. Ma egli interpreta la sua attività  filosofica essenzialmente come esplicazione di ciò che è implicito, talora enigmaticamente implicito, nel testo di Platone, come un rotolo di libro che dispiegandosi manifesta i suoi tesori. In tal modo, egli va ben oltre la lettera del testo platonico, dandone una riformulazione originale, anche se agli occhi di Plotino, come dei suoi contemporanei, l’ originalità  non pare essere un merito: ciò che conta è richiamarsi a un’ autorità . In questo quadro, l’ unica forma di originalità  si può allora configurare come interpretazione non pedissequa, ossia, ai nostri occhi di moderni, ” infedele ” rispetto al testo autorevole. In Plotino, tuttavia, l’ appello a Platone non deve essere scambiato per una forma di venerazione del passato o dell’ originario in quanto tali. Se il testo di Platone è per lui il punto chiave, lo è non tanto per la sua antichità , quanto per il contenuto di verità  che esso racchiude. Nè Plotino intende presentarsi come un filosofo che attinga a una sapienza orientale piuttosto che a quella greca: l’ unica via che porta a dio passa attraverso la filosofia e l’ indagine razionale. Il messaggio di Plotino non si pone in concorrenza con movimenti religiosi che intendono rivolgersi a gruppi sempre più vasti ed anche ai ceti meno colti. La filosofia è marginale rispetto alla società , perchò è diventata sempre più marginale rispetto allo stesso mondo sensibile, in fuga da esso. La filosofia di Plotino dà  l’ impressione di essere una filosofia complicata, artificiosamente complicata: va però detto che essa risente del clima culturale dell’ epoca che favoriva collegamenti tra filosofia e religione: se teniamo conto dell’ epoca in cui Plotino vive, ci accorgiamo che egli è l’ opposto di ciò che sembra essere: è l’ ultimo strenuo difensore del platonismo e soprattutto del patrimonio classico antico; fra le varie degenerazioni del platonismo e della filosofia classica in primo piano lui metteva il cristianesimo, che dava interpretazioni erronee della filosofia. Da notare che Plotino viene generalmente definito da noi moderni ” neoplatonico “, ma lui non si definiva affatto così: si sentiva platonico a tutti gli effetti, un vero e proprio seguace di quel Platone vissuto qualche secolo prima. Egli si definiva platonico, ma senz’ altro assai influenti erano anche in lui le influenze aristoteliche; il lavoro di Plotino è infatti un lavoro di sintesi di tutte le elaborazioni e le filosofie classiche, dove svettano il platonismo, l’ aristotelismo e, in misura minore, lo stoicismo; di fatto restano però esclusi l’ epicureismo e lo scetticismo, che, in qualità  di filosofie essenzialmente materialistiche, non possono trovare spazio nell’ ambito della metafisica. Plotino cerca di dare un’ interpretazione fortemente positiva della realtà , provando a dimostrare l’ inesistenza del male. Questo è il risultato paradossale della ” terribile ” epoca in cui vive, il terzo secolo, forse il più brutto per l’ Impero Romano. Si tratta infatti di un secolo segnato da continue invasioni e scorrerie barbariche e dall’ anarchia militare. L’uno e la gerarchia della realtà  Da Platone riprende soprattutto la struttura gerarchica della realtà ; a differenza di Platone, però, secondo il quale al vertice vi era un principio bipolare, Plotino mette a capo dell’ intera realtà  l’ Uno; Plotino si lascia molto influenzare da questo punto di vista dalle idee correnti ai suoi tempi, che tendevano a ridurre il principio bipolare: in fin dei conti avviene questo: al vertice della realtà  non può esservi un principio ” doppio “, quindi l’Uno è il vertice e il Due è declassato nell’ ambito della scala gerarchica. Dunque per Plotino al vertice della realtà  c’è l’Uno, al secondo livello il Nous ( la ragione ), ciò che Platone chiamava diade. L’ Uno di Plotino è l’ erede del principio supremo della filosofia platonica, ossia il Bene in sè, la cui caratteristica fondamentale era di essere ” superiore all’ essere per dignità  e potenza “; l’ Uno è esattamente la stessa cosa: è un qualcosa al di sopra dell’ essere; da notare che Plotino ammette una teologia negativa: infatti l’ Uno, che di fatto è il dio per Plotino, non lo chiama dio perchò cadrebbe in errore; chiamarlo Uno è la maniera meno sbagliata di definirlo, in quanto si tratta di una realtà  superiore all’ essere, a tutto quanto e, come già  aveva detto Platone nel ” Parmenide “, non può neanche essere nominato, perchò così facendo non sarebbe già  più un principio unico; è come se nominandolo già  si sdoppiasse: definendolo Uno si applica proprio la teologia negativa perchò non si dice ciò che dio è, ma ciò che non è, ossia si dice che non è molteplice. E’ proprio questo il cardine della teologia negativa, che vuole dio ineffabile: l’ unico modo per parlarne è parlarne in termini negativi, ossia dire ciò che dio non è: dio non è buono, non è bello, non è alto, non è basso… Anche chiamarlo Bene, come aveva fatto Platone, non è corretto perchò lo si definirebbe in rapporto alle altre cose, per cui egli rappresenta il bene: definirlo Bene significherebbe ammettere che si occupa delle cose, essendo per loro il bene: ma ricordiamoci che dio per Plotino è ” pensiero di pensiero “. L’ Uno quindi è al vertice e la realtà  ne deriva in maniera gerarchica; ma come fa a derivare la realtà ? Plotino si serve per esprimere questo concetto di due parole: emanazione e processione; la prima delle due espressioni è più generica e forse rende meno bene l’ idea, ma di fatto si completano a vicenda. La realtà  emana dall’ Uno, ma in che modo? L’ attività  dell’ Uno, innanzitutto, non è nò necessaria nò libera, oppure si può anche intendere che sia ambedue le cose: il contetto che sintetizza è la spontaneità ; ciò significa che l’ Uno agisce senza obblighi, ma tuttavia seguendo la propria natura: l’ azione dell’ Uno è spontanea ( anche perchò non potrebbe essere altrimenti: non c’è ancora nulla all’infuori di lui, e chi dunque potrebbe costringerlo? ); esso fa emergere l’ essere a causa di una sovrabbondanza di essere, come una fonte inesauribile; infatti non è che l’Uno emanando, emettendo l’ essere, diminuisca: ricordiamoci che è al di sopra dell’ essere. Fin qui si sarà  senz’ altro notata la parentela di Plotino con Platone; ma da qui in poi subentra anche quella con Aristotele: è infatti tipicamente aristotelica l’ idea che tutto ciò che si produce sia conseguenza di un’ attività  teoretica ( l’ artigiano produce in conseguenza del pensare ); altrettanto aristotelico è il concetto di divinità  vista come pensiero di pensiero ( la divinità  infatti per Aristotele non fa altro che pensare a se stessa, senza conseguenze, se non la sua beatitudine ); unendo l’ Uno e la derivazione della realtà  con la produzione artigianale, nonchò il ” pensiero di pensiero “, Plotino prova a dare una sua interpretazione; vi è l’ Uno, pensiero di pensiero, che pensa a se stesso e da questa attività  teoretica emana spontaneamente la realtà . Ma va notato che anche il concetto di ” pensiero di pensiero ” in Plotino è un’ ibridazione tra Aristotele e Platone: infatti Plotino dice che il pensante e il pensato sono sì lo stesso, ma in modo radicale, come diceva Platone a proposito della conoscenza del Bene in sò: per conoscere bisogna che l’ oggetto e il soggetto siano sempre più vicini, ma una volta arrrivati a combaciare, paradossalmente, soggetto e oggetto sono lo stesso; anche noi possiamo provare a pensare a noi stessi, ma non sarebbe lo stesso perchò l’ unità  soggetto-oggetto non sarebbe quella intesa da Plotino ( e da Platone ): infatti, pur non essendoci distinzione numerica, ci sarebbe distinzione concettuale, ossia sapremmo pur sempre quale è il soggetto e quale l’ oggetto. Quel che intende Plotino è l’ AUTOINTUIZIONE, ossia la conoscenza diretta e non mediata: una sorta di coglimento immediato di sè, in cui soggetto e oggetto non sono distinguibili nò numericamente nò concettualmente. Esattamente nel momento in cui l’ Uno si autointuisce emana qualcosa. Per esprimere meglio il concetto Plotino usa una metafora ( pensiamo a Platone e a tutte le sue metafore ), quella della fonte luminosa e della luce che si espande intorno: immaginiamoci una candela accesa in una stanza buia: l’ Uno è la candela, la realtà  la sfera luminosa che si espande intorno. L’ altra metafora che Plotino usa è quella della fonte e il ruscello: la fonte è l’ Uno e il ruscello che scende a valle è la realtà ; oltre all’ idea di emanazione, già  presente nella metafora della candela, va qui notata un’ altra cosa: ossia il tipo di rapporto tra Uno e realtà : la metafora suggerisce che la fonte è sì diversa dal ruscello, ma che tuttavia non c’è l’ atto creatore: l’ essere procede fuori dall’ Uno senza una vera e propria cronologia: è solo in termini logici e avviene all’ eterno, a differenza di quanto dice il cristianesimo ); la metafora suggerisce anche che non ci sarà  mai netta separazione tra Uno e realtà : non si può concepire la fonte senza il ruscello e viceversa: il concetto di processione emerge molto meglio in questa metafora, che non in quella della candela. E’ difficile stabilire fino a che punto la concezione di Potino sia immanente ( come lo stoicismo ) o trascendente ( come il platonismo ). Dunque ” emanazione ” dà  più l’ idea di omogeneo, ” processione ” dà  l’ idea di una serie di cose che escono procedendo una a una, non come un fluido Il nous, le ipostasi e le idee Dunque abbiamo detto che la realtà  viene emanata dall’ Uno, ma non in modo fluido, bensì ” a tappe “; queste ” tappe ” Plotino le chiama ipostasi, termine piuttosto simile a quello aristotelico che designava la sostanza, upokeimenon ( ciò che sta sotto ); ipostasi si può quindi tradurre con ” sostanza “. In termini filosofici si ipostatizza quando si trasforma in una sostanza un’ attività  o una funzione. Platone, ad esempio, ha individuato le idee con l’ ipostatizzazione: ha preso delle qualità , per esempio la giustizia, che per noi di per sò non esiste, e l’ ha trasformata in una sostanza: l’ idea di giustizia. Plotino grosso modo, sulla scia di Platone, dice che ci sono le ipostasi ( le idee ) e anche nella realtà  materiale c’è un pallido riflesso. Nella scala gerarchica l’ ipostasi che occupa il primo posto è il NOUS ( intelletto ), ossia la forma più elevata e sublime di essere ( l’ Uno, chiaramente, non rientra nella gerarchia in quanto non è essere ) che Plotino fa derivare in parte da Platone e in parte da Aristotele: anche il nous ha una sua attività  produttiva simile all’ Uno: pensa e fa derivare un’ ipostasi a lui successiva; anche lui è pensiero di pensiero, anzi, lo è ancora più dell’ Uno: infatti il nous è il vero pensiero di pensiero alla Aristotele; nell’ Uno infatti il soggetto e l’ oggetto non ci sono più in ogni caso, mentre nel nous, come anche per il dio aristotelico, ci sono eccome, ossia vi è concettualmente un pensante e un pensato. Il nous quindi ha attività  teoretica simile al dio aristotelico. In esso, che tende a riferirsi soprattutto al lato soggettivo ( colui che pensa ), vi è pure il pensato, nella sua forma pura: le idee per Platone erano gli oggetti pensati e il nous di Plotino, come oggetto ( ciò che viene pensato ) è il mondo delle idee; quindi il dio plotiniano, a differenza di quello aristotelico, ha in sò le strutture del mondo. Va senz’ altro notato come Plotino riesca a dare una collocazione a tutte le dottrine platoniche e aristoteliche: il pensiero di pensiero, il Bene, l’ Uno, la Diade; quest’ ultima, infatti, altro non è che il nous come soggetto: infatti in Platone essa era al vertice della realtà , mentre Plotino la declassa al secondo posto, partendo dal presupposto che il principio supremo non possa essere duplice. Va poi detto che in Plotino ricompare una dottrina tipicamente platonica, ossia quella del Demiurgo; esso ha stretta parentela con il nous e Plotino fa derivare questa parentela, paradossalmente, da un concetto aristotelico: l’ attività  di produzione come conseguenza del pensare; il nous pensa a se stesso, proprio come per Aristotele, ma lui come oggetto altro non è che il mondo delle idee platonico; da questo pensare deriverà  la realtà  sensibile. Ma vi è qui una grande differenza tra Plotino e Platone: per Platone le idee esistono proprio come soggetto ed erano indipendenti dal Demiurgo: erano libere da questo divino artigiano ed erano ambedue coeterni; si potrebbe quasi dire che le idee fossero superiori al Demiurgo perchò esso dipendeva in qualche misura da loro in quanto nel creare il mondo doveva attenervisi. In Plotino e ancora prima nel cosiddetto medioplatonismo cambiò nettamente la concezione delle idee: le idee per esistere hanno bisogno di essere pensate e quindi esistono nella misura in cui sono pensate, ma è comunque una concezione diversa rispetto alla nostra: secondo Platone le idee sono enti a sò stanti e indipendenti e noi e la divinità  ( il Demiurgo ) siamo nella stessa posizione di impotenza nei confronti delle idee ( o meglio, la divinità  è messa un pò meglio perchò contempla le idee più facilmente ): per dirla in altri termini, per Platone l’ idea di giustizia esiste indipendentemente dall’ uomo o da dio e questo concetto emergeva benissimo nell’ Eutifrone: le cose sante piacciono agli dei perchò sono sante e non sono sante perchò piacciono alla divinità . Nel medioplatonismo e in Plotino, invece, si passa ad una situazione intermedia tra quella di Platone e la nostra: le idee esistono indipendentemente dall’ atto conoscitivo dell’ uomo, ma tuttavia occorre l’ atto conoscitivo di dio. Il nous nel suo lato oggettivo è il mondo delle idee, immutabile ed eterno ( come per Platone ), ma cambia il rapporto tra idee e dio: le idee esistono nella misura in cui vengono pensate dal nous: dunque se il Demiurgo era impotente verso le idee, il nous è il fondamento stesso della loro esistenza; presso di noi, invece, le idee esistono nella misura in cui sono pensate non da dio, ma da noi stessi. Dunque per Plotino l’ uomo può solo cogliere le idee, ossia le verità  ( e questo mediante grandi sforzi ), mentre dio le crea: dunque Plotino a differenza di Platone direbbe che le cose sono sante perchò piacciono agli dei. Se ben ci pensiamo siamo con Plotino alle premesse del concetto cristiano di Trinità : l’ Uno, il Nous e l’ anima sono il corrispettivo del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo; vi è però una grande differenza: mentre la Trinità  è tutta sullo stesso livello, Plotino colloca le sue tre ipostasi su tre livelli ontologici diversi. L’anima e la molteplicità  L’ ultima ipostasi, derivante dal nous come il nous deriva dall’ Uno, è l’ anima ( Psukò ), che viene generata dal nous che pensa a se stesso nel modo già  descritto. Ancora una volta si può effettuare un paragone a Platone: in Plotino, infatti, l’ anima rappresenta il ragionamento discorsivo ( la dianoia platonica ), il nous rappresenta il coglimento intellettuale delle idee ( la noesis platonica ) e l’ Uno ( il bene platonico ) rappresenta la forma suprema di conoscenza della realtà  e si identifica di fatto in dio. Se l’ Uno era l’ unità  assoluta, e il nous quel principio bipolare che Platone aveva chiamato diade ( da notare che è vero che il nous rappresenta l’ intero mondo delle idee, ma Plotino dice che esso è unitario e compatto ), l’ anima ha un ampio tasso di molteplicità : per capire bene che cosa avesse in mente Plotino a riguardo della molteplicità  dell’ anima dobbiamo immaginarci uno specchio rotto che moltiplica all’ infinito le immagini; ebbene l’ anima prende le idee e le moltiplica all’ infinito: se l’ idea di cavallo nel nous è una, essa nell’ anima viene moltiplicata e ci sarà  il cavallo bianco, quello nero, quello grosso, quello piccolo e così via. La materia e il male Dunque per Plotino ci sono le tre ipostasi e al di sotto il mondo sensibile e materiale: ma da che cosa è generato questo mondo che Platone aveva tanto evitato? Bisogna ritornare all’ anima e alla molteplicità  di idee presente in essa; l’ anima coglie le idee dal nous e poi le catapulta al di fuori dando così vita alle realtà  sensibili: abbiamo citato l’ idea di cavallo, che di per sò è una sola, ma che nell’ anima è moltiplicata all’ infinito: ebbene ogni singola proiezione di cavallo dell’ anima dà  forma ad ogni singolo cavallo, andando ad incarnarsi nella materia. Anche qui Plotino mette insieme Platone e Aristotele, riprendendo il concetto di idea ( trascendente ) dell’ uno e quello di forma ( immanente ) dell’ altro: l’ idea platonica è a livello del nous, mentre la forma Aristotele è a livello dell’ idea moltiplicata nell’ anima. Ma che cosa è la materia per Plotino? Egli riprende la concezione negativa di essa tipicamente platonico – aristotelica: è la materia a creare il disordine nella realtà ; però Plotino ha una concezione metafisica più ottimistica: la materia è sì origine del male perchò oppone resistenza alle idee impedendo loro di manifestarsi completamente, ma Plotino dice esplicitamente che essa non esiste, o meglio, esiste solo negativamente; Platone e Aristotele, invece, ponevano la materia allo stesso livello ontologico delle forme ( o idee che dir si voglia ). Per capire meglio ciò che intendesse Plotino, soffermiamoci nuovamente sull’ immagine del lume e della luce che si propaga da esso: la sfera di luce più ci si allontana dalla fiamma e più tende a sparire, ossia il suo diventar sempre più fioca sta a significare che le ipostasi man mano che si scende tendono ad allontanarsi dall’ Uno: nell’ immagine la materia altro non è che il buio, ossia non c’ò neppure, è solo dove si esaurisce la potenza emanativa dell’ Uno: la materia altro non è che il limite negativo di espansione della luce, che è l’ essere pieno, ossia il mondo delle idee. Se non c’ò la materia, che del male è il principio, allora non può esserci neanche il male. Però il male c’ò nel mondo ( ai tempi di Plotino più che mai ). Ma se ontologicamente la materia e quindi il male non esistono, allora che cosa è il male, che abbiamo detto in qualche modo esistere? Il male è mancanza di bene, ossia laddove l’ emanazione dell’ Uno non riesce ad arrivare. La luce, l’ abbiamo detto, è l’essere pieno, ossia il mondo delle idee, eterno e incorruttibile; ne deriva, dunque, che più essere c’ò e più c’ò bene. Certo che se dico che la materia non esiste e neanche il male, allora tutto ciò che esiste è bene, ma evidentemente non è così. Plotino, per non cadere in contraddizione, arriva a dare un’ interpretazione relativistica, quasi alla Protagora: nulla di per sò è male perchò nella misura in cui esiste è bene ( l’ essere è bene ); il male è relativo e possiamo fare un esempio per spiegare che cosa intendesse Plotino per male: i beni del corpo di per sò sono buoni perchò esistono ( e tutto ciò che è, è bene ), ma diventano cattivi nel momento in cui fan calare di livello l’ uomo, distogliendolo da altre attività  più elevate: pensiamo ad un matematico che sia arrivato a fare le equazioni di secondo grado e si metta all’ improvviso a fare solo calcoli banali come due più due: di per sò fare calcoli come due più due non è negativo, ma in questo caso sì perchò fa calare l’ uomo. Dunque per Plotino il male è inteso come direzione autodiminutiva che l’ uomo può intraprendere. Lo scopo umano, una difficile scalata Fin qui siamo andati, per così dire, in discesa: dall’ Uno al nous, dal nous all’ anima e dall’ anima alla materia; ma lo scopo dell’ uomo quale è? Per Plotino lo scopo dell’ uomo è risalire questa scala; l’ uomo deve effettuare una conversione ( come già  diceva Platone nel mito della caverna ), ossia deve dalla posizione in cui si trova ( il punto più basso ) girarsi e salire fino alla cima: deve partire dalla sua situazione, ossia il piano materiale, passare al ragionamento ( l’ anima ), al mondo delle idee ( il piano su cui opera il filosofo ) per poi raggiungere l’ Uno, arrivando così a raggiungere un vero e proprio livello di estasi mistica e razionale, in quanto si tratta di un procedimento assolutamente guidato dalla ragione: questo “viaggio” del soggetto ò da Plotino paragonato a quello di Ulisse verso Itaca; a suo avviso, Omero deve essere letto in senso allegorico, secondo questo significato profondo. Questo procedimento vuole significare la riduzione all’ unità  delle cose, già  piuttosto cara a Platone: l’ uomo deve scavare nella propria anima finchò non arriva all’ estasi; Porfirio ci riferisce che Plotino raggiunse il livello di estasi ( che propriamente significa ” essere fuori di sò ” ) meno di 7 volte nel corso di tutta la sua vita. Da questo punto di vista la funzione dell’ uomo è cosmica in quanto è l’ unico essere vivente in grado di ripercorrere la scala fino all’ Uno e far così tornare l’ intero mondo al suo principio. Ma percorrere la scala non è certo cosa facile e i metodi per farcela sono 3, a seconda di come si intenda il principio supremo: 1) Se lo intendiamo come Uno, allora dovremo seguire la via conosctiva 2) Se lo intendiamo come Bene, dovremo seguire la via ascetica 3) Se lo intendiamo come Eros dobbiamo seguire la via estetica. La via più ovvia è la prima, quella della conoscenza, percorribile tramite la ” redutio ad unum “, la riduzione all’ unità ; per seguire la via ascetica si deve invece rinunciare ai beni fisici, che dirigono l’ uomo verso il ” basso “: di Plotino si ricorda la celebre espressione: ” mi vergogno di avere un corpo “. Plotino rende ancora più di Platone questo distacco dal corpo, probabilmente anche per via del periodo in cui vive. L’ ultima via, quella estetica, riprende nettamente la ricerca dell’ eros platonico, ossia la ricerca incessante del bello. Spesso Plotino è stato definito ” Plato dimidiatus “, Platone dimezzato, in quanto in lui manca la politica, che tanto contava per Platone; però Plotino per quel che riguarda l’ arte ha avuto un’ idea brillante: per lui Platone sbagliava a definirla ” copia di copia “, in quanto lo scultore non si ispira alla persona fisica, ma all’ idea.

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