Primo e principale fautore dell’alessandrismo, Pietro Pomponazzi (1462-1524) contrappone a Padova il priprio insegnamento all’ averroismo di Achillini. Nel trattato sull’immortalità dell’anima (1516) si propone al lettore semplicemente come fedele riespositore della dottrina aristotelica e, in base a ciò che Aristotele asserisce nel De anima, dichiara che l’anima umana non può esercitare la propria funzione più elevata, cioò quella intellettiva, qualora sia privata dei dati sensibili che le provengono dagli organi corporei: dichiara di voler esporre il pensiero di Aristotele quale esso è, non quello strumentalizzato dalla tradizione scolastica; infatti la filosofia aristotelica è stata usata dagli scolastici per fornire una copertura illusoriamente razionale a ciò che si può soltanto ritenere per fede. Ma se si seguono con onestà e coerenza i dettami della ragione ( e quindi della teoria di Aristotele, che ne è la massima espressione ) è inevitabile riconoscere che ciò che si accetta per fede non può avere un fondamento filosofico. Così seguendo Aristotele e la ragione si vedrà che dal punto di vista filosofico l’ anima è mortale, poichò essa non può prescindere dal rapporto con la materia ( ricordiamoci dei sinoli ): la sua funzione più elevata, quella razionale, non può essere esercitata quando le venga a mancare quella sorta di ” materia prima ” che sono le immagini sensibili prodotte dai corpi esterni ( materiali ) e recepite dalla facoltà immaginativa, la quale opera attraverso gli organi del senso ( anch’ essi materiali ) del soggetto percipiente. Quando l’ anima fosse svincolata dal corpo, come detto, non potrebbe più svolgere alcuna funzione: sarebbe, appunto, morta. E questa conclusione discende, per Pomponazzi, da una fedele lettura del De anima di Aristotele. Da questo punto di vista l’esistenza dell’anima stessa appare come un non senso quando si prescinda dalla sua connessione con il corpo: in questo modo la tesi dell’immortalità appare ammissibile per fede, ma indimostrabile dal punto di vista filosofico. Pomponazzi sembra così far propria la cosidetta dottrina della doppia verità , tradizionalmente attribuita all’ aristotelismo averroistico, secondo la quale esisterebbero una verità filosofica e una verità religiosa. In realtà , dal punto di vista averroistico, ò sempre esistita una sola verità che ò stata trasmessa in certi modi attraverso il discorso filosofico, per le persone capaci di intenderlo, e in altri modi attraverso la rivelazione, per le persone più semplici. Pomponazzi, dal canto suo, non fa altro che rilevare la reciproca indipendenza della ricerca filosofica e della fede religiosa. Per ciò che concerne la considerazione dell’anima umana, la filosofia di Pomponazzi mette capo a esiti di tipo materialistico; tuttavia, questa filosofia non nega nè Dio, nè la sua azione nei confronti del creato in virtù della quale nel mondo ò riscontrabile un ordine razinale e naturale. L’opera postuma intitolata ” De naturalium effectuum admirandorum causis sive de incantationibus ” si propone infatti di dimostrare ogni fenomeno naturale, per quanto staordinario, dipende da una causa razionalmente indagabile. Perfino i cosidetti incantesimi e i prodigi magici non sono illusori, ma sono spiegabili razinalmente. La loro causa, e la causa di tutto ciò che avviene nel mondo, ò Dio, che si serve degli astri e dei loro movimenti come strumenti intermedi per esercitare la propria azione sul mondo, il cui ordine ò regolare perchò regolari sono quei movimenti. La razionalizzazione della magia e dei miracoli dei quali parla la tradizione religiosa discende dalla razionale accettazione dell’ astrologia. Gli astri sono strumento di Dio e non mentono: tutto ò prevedibile e spigabile. Secondo Pomponazzi ogni accadimento dipende dall’ ordine naturale. Tutti i fenomeni sono infatti determinati necessariamente dalle congiunzioni e dai movimenti degli astri, dei quali Dio si serve come di strumenti intermedi per esercitare la propria azione sul mondo. Nell’ universo esiste dunque un ordine regolare, perchò regolari sono i moti astrali: l’ astrologia è così legittimata come strumento di indagine ( e insieme come testimonianza ) dell’ ordine naturale e razionale che regna nel mondo. Di conseguenza non c’è alcun bisogno di ricorrere all’ intervento di entità soprannaturali ( quali i dòmoni ) per spiegare ciò che agli ignoranti appare come un prodigio. La ” prodigiosità ” di alcuni fenomeni consiste solamente nel fatto che talvolta queste congiunzioni si ripetono a intervalli molto lunghi, rendendo il fenomeno particolarmente raro, inconsueto e, quindi, apparentemente prodigioso. Ma, se tutti gli eventi del mondo, comprese le azioni umane, sono deterministicamente regolati da un piano che li trascende, resta da chiarire quale spazio rimanga alla libertà dell’ uomo. Pomponazzi risolve questo problema ricorrendo all’ argomentazione, mutuata dalla tradizione stoica, che sostituisce su questo punto il suo costante riferimento all’ aristotelismo, secondo cui il libero arbitrio si identifica con la spontanea partecipazione all’ ordine prestabilito: la libertà può pertanto coesistere con la provvidenza divina, concepita come ordine razionale che governa il mondo e quindi, in termini stoici, come fato. Tutto questo significa che al determinismo astrologico non sono soggetti soltanto i fenomeni naturali, ma anche le azioni umane: nel pensiero di Pomponazzi il “fato”, che pure può identificarsi con la provvidenza di Dio, sembra prevalere sul libero arbitrio dell’uomo, il quale nella sua limitatezza può anche scambiare per ingiustizia la giustizia intrinseca che, in modo apparentemente paradossale, regna nel mondo.
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