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Vita e filosofia di Porfirio

Pensiero e vita del filosofo Porfirio.

Porfirio continuò le indagini del maestro Plotino, ancorandole più strettamente al patrimonio della religione pagana tradizionale e approfondendo l’ esegesi dei testi platonici. Nato a Tiro nel 232, studiò ad Atene con Longino, dal quale assorbì l’ amore per l’ erudizione. Divenne poi discepolo di Plotino, dal quale si allontanò nel 268 per recarsi in Sicilia su consiglio di Plotino stesso, allo scopo di recedere dalle sue intenzioni di suicidio. In Sicilia compose probabilmente il suo scritto Contro i cristiani, che è andato perduto. In vecchiaia sposò la vedova di un amico, Marcella. Morì all’ inizio del quarto secolo, poco dopo la comparsa della sua edizione delle Enneadi di Plotino. Fu autore di numerosissimi scritti, alcuni dei quali sono conservati, quali la Consolazione a Marcella e Sull’ astinenza, nel quale difende il vegetarianesimo. Probabilmente compose anche una sorta di storia della filosofia, della quale fa parte una Vita di Pitagora. Persi sono i suoi commenti al ” Timeo ” e al ” Parmenide “, mentre un saggio della sua tecnica allegorica di interpretazione è documentato nello scritto Sull’ antro delle Ninfe, concernente il libro 13 dell’ Odissea. In esso, Porfirio ammette la possibilità  di più significati allegorici di uno stesso mito. Il suo scritto più noto nel Medioevo, grazie alla traduzione latina di Boezio, fu l’ Introduzione alle categorie di Aristotele, nota anche come Isagoge ( dal greco eisagoghò, introduzione ). In un passo di essa è affrontata la questione dello status ontologico degli universali, la quale offrirà  ampia materia di discussione alla cultura medioevale. Riprendendo la dottrina plotiniana delle ipostasi, Porfirio tende ad attenuare la distanza tra esse, insistendo sui legami di continuità  di ciascuna con quella precedente o seguente. Egli esclude che si possa dire che il nous è altro rispetto all’ Uno: anche l’ alterità , infatti, è una forma di relazione con altro e pertanto comporta una limitazione da parte dell’ altro. La stessa alterità , quindi, non può essere nell’ Uno. La maggiore distanza dal maestro sembra però consistere nel riconoscimento dell’ importanza della teurgia ( termine che significa letteralmente ” operazione sulla divinità  ). Lo scopo dei rituali teurgici è l’ incorporazione di una forza divina in un oggetto materiale ( come una statua ) o in un essere umano, che si viene così a trovare in uno stato di ” trance ” profetica. Porfirio scrisse un’ opera intitolata La filosofia desunta dagli oracoli. Egli considerava gli oracoli una sorta di libro sacro, che insegna la via della salvezza attraverso la teurgia. Per l’ uomo comune la teurgia è più utile della filosofia, ma per il filosofo essa non è necessaria. Nella Lettera a Anebo, un prete egizio che potrebbe essere reale o fittizio, Porfirio conduce infatti una critica alla religione popolare: gli dei non possono essere mossi da preghiere. Preghiere o pratiche magiche possono operare grazie alla simpatia che lega tra loro le cose sensibili, ma non possono avere influenza sulle anime superiori degli dei, come già  aveva sostenuto il maestro Plotino. Ma le critiche di Porfirio sono anche esplicitamente indirizzate contro i cristiani. In ciò egli aveva dei predecessori, a partire dal Discorso vero composto da Celso verso il 178. Esso è andato perduto, ma è ricostruibile attraverso la risposta che parecchi decenni dopo avrebbe dato ad esso Origene nell’ opera intitolata appunto Contro Celso. Nello scritto di Celso era condannato il proselitismo nei confronti degli umili e degli ignoranti, spinti alla ribellione nei confronti dell’ autorità  dei saggi. Sul piano più strettamente teorico, Celso sottolinea l’ assurdità  dell’ incarnazione divina, ossia di un dio che soffre e muore, e della resurrezione finale, incompatibile con la svalutazione del corpo, propria del platonismo. Su questi punti, Porfirio riprende le critiche di Celso, rifiutando in generale ogni forma di antropomorfismo ed escludendo pertanto qualsiasi movente arbitrario nell’ agire divino. Di qui scaturisce una condanna dei miracoli e quindi della stessa incarnazione divina. Alla nozione cristiana di creazione, Porfirio contrappone la tesi tradizionale dell’ eternità  del mondo e considera l’ immortalità  una proprietà  inerente alla natura stessa dell’ anima, non una grazia concessa dalla divinità .

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