Di grande rilievo risulta l’opera filosofica di Friedrich (Federico) Schlegel (1772-1829); in un saggio giovanile Sullo studio della poesia greca (1797) egli introduce un’importante distinzione tra poesia oggettiva e poesia interessante che riprende sostanzialmente quella, fatta da Schiller, tra poesia ingenua e sentimentale. Anche Schlegel è convinto che la poesia moderna (interessante) non si debba semplicemente contrapporre a quella classica (oggettiva), ma possa recuperare i valori dell’oggettività tramite un processo di riflessione su se stessa. Schlegel elabora pertanto, ispirandosi anche a Kant, l’idea di una poesia trascendentale, o “poesia della poesia” in cui si ricompone la frattura tra la spontanea unità della poesia oggettiva classica e le consapevoli divisioni di quella moderna. Un altro importante aspetto del pensiero di Schlegel è la teorizzazione del concetto di ironia, concetto tipòicamente romantico. In ambito estetico, in cui trova la prima formulazione romantica, l’ironia indica il rapporto di inadeguatezza tra l’infinità dell’artista creatore, concepito come soggetto assoluto, e la finitezza dell’opera d’arte e del mondo fenomenico in cui essa si pone. Ma il concetto viene a indicare, più in generale, l’atteggiamento di chi, comprendendo il carattere relativo degli aspetti finiti dell’esistenza, coglie l’incomparabile superiorità dell’infinito che è in sò. Così Schlegel definisce ironia il modo di sentire di “chi sovrasta ogni cosa, di chi si eleva infinitamente al di sopra di ogni cosa finita, anche sopra la propria arte, virtù e genialità “. Segno dell’incidenza della cultura romantica sul costume dell’epoca sono due opere di Schlegel filosoficamente minori, ma molto famose: il saggio Su Diotima (1795) e il romanzo Lucinde (1799). In questi scritti, Schlegel elabora una dottrina dell’eros in cui si riconosce il diritto della donna a cercare la propria realizzazione nella passione. Soprattutto Lucinde, che destò un grande scandalo, contribuì particolarmente a quiell’emancipazione della donna che nella cultura romantica era non solo teorizzata, ma anche praticata e che Nietzsche detesterà e avverserà con tutte le sue forze. Il modello autobiografico di Lucinde è, infatti, Dorothea Mendelssohn, figlia del filosofo illuminista Moses Mendelssohn, la quale si era separata dal proprio marito per sposare lo stesso Schlegel. Con la morte di Novalis (1801), il circolo di Jena si disperse. Schlegel tenne corsi privati a Parigi e a Colonia e nel 1808, dopo la conversione personale al cattolicesimo, si trasferì a Vienna mettendosi al servizio del principe di Metternich, uno dei maggiori esponenti della Restaurazione. Qui Schlegel diede vita ad un nuovo circolo, espressione ormai del tardo romanticismo tedesco, fondando la rivista “Concordia” (1820-1823). Quest’ultima fase dell’attività del pensatore è contrassegnato politicamente dalla difesa della politica restauratrice e reazionaria condotta dal governo austro-ungarico a partire dal Congresso di Vienna e, sul piano filosofico, da un’evoluzione del suo pensiero in senso religioso e teistico. Il problema fondamentale di Schlegel diventa allora quello di elaborare una filosofia che sostituisca l’idealismo tedesco, da lui ricondotto ai quattro sistemi di Fichte e di Schelling da un lato (espressioni dell’aspetto teoretico dell’idealismo), e di Kant e Jacobi dall’altro (che rappresentano il versante pratico, il tentativo di passare dalla filosofia alla fede con un “salto nel buio”). Ma nò il metodo razionale-speculativo, nò il ricorso all’atteggiamento fideistico possono, secondo Schlegel, cogliere l’assoluto nella sua pienezza. Per fare ciò bisogna attingere l’elemento della personalità come principio della vita stessa: l’ultima parola di Schlegel è quindi la rivalutazione di un atteggiamento religioso che fa leva sul teismo, ossia su una concezione di Dio come persona e come vita. Quest’ultimo periodo del pensiero di Schlegel è espresso in cicli di lezioni dedicate alla Filosofia della vita (1827), alla Filosofia della storia (1828) e alla Filosofia del linguaggio e della parola (1830).
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