Nell’ ambito del Cristianesimo vi fu anche chi rifiutò radicalmente la filosofia, anche se, come aveva insegnato Aristotele, anche per rifiutare la filosofia si deve comunque fare un ragionamento filosofico; il rappresentante più significativo in questa direzione è Quinto Settimio Fiorente Tertulliano. Nato a Cartagine tra il 150 e il 160 da genitori pagani, dotato di ampia cultura retorica e giuridica, esercitò forse l’avvocatura in Roma. Verso il 195 si convertì al cristianesimo, tornò in Africa, ove compose numerosi scritti in lingua latina in difesa della Chiesa contro pagani ed eretici. Fu anche prete, e le sue posizioni religiose si dimostrarono molto rigorose, tanto che nel 213 finì con l’aderire ad una delle sette più note per l’intransigenza e il fanatismo, quella dei Montanisti, che in vecchiaia abbandonò per dar vita ad un nuovo gruppo, quello dei “Tertullianisti”. Di Tertulliano ci sono pervenuti circa quaranta scritti, tra i quali sono particolarmente importanti l’ Ad nationes, contro i pagani, e l’ Apologetico, composti entrambi nel 197, e il De praescriptione haereticorum, di poco successivo. Come abbiamo detto, verso il 207 aderì al montanismo, eresia introdotta da Montano, fondata sulla credenza nella fine imminente del mondo e sulla necessità di prepararsi ad essa con rigoroso ascetismo. Con vari scritti, Tertulliano intervenne anche su questioni etiche, come l’immoralità dell’assistere agli spettacoli teatrali e circensi o delle acconciature femminili. Morì a Cartagine dopo il 220. Profondamente intriso di cultura classica, anche filosofica e medica, Tertulliano attinge anch’egli a dottrine filosofiche. Esempio significativo di questo atteggiamento è dato dal suo scritto Sull’ anima, dove egli si fa sostenitore di una forma di materialismo. Riallacciandosi allo stoicismo, egli sostiene che tutto ciò che esiste è corpo e, dunque, è corpo anche l’ anima. Ne scaturisce il cosiddetto traducianismo, secondo cui l’anima è un derivato dell’anima dei genitori e di conseguenza attraverso di essa viene trasmessa la macchia del peccato originale, commesso dal primo uomo, cioò Adamo. Tertulliano ammette la possibilità di somiglianze tra la verità rivelata e determinate dottrine, per esempio etiche, dei filosofi pagani; egli giunse addirittura a definire Seneca ” saepe noster ” ( spesso nostro ), in quanto sostenitore di dottrine affini a quelle cristiane. Ma si tratta di somiglianze casuali: anche nelle tempeste, egli afferma, è talvolta possibile giungere per caso in porto. Di fatto, la sua condanna dei filosofi pagani è inesorabile. Il filosofo e il cristiano, i discepoli della Grecia e quelli del cielo, non hanno ai suoi occhi nulla in comune: ” che cosa hanno in comune ” egli chiede nel De praescriptione ” Atene e Gerusalemme, l’ Accademia e la Chiesa, gli eretici e i Cristiani? “. Egli sottolinea la presenza nella vita dei filosofi dell’arroganza, dell’impudicizia, della slealtà , ma soprattutto della curiosità , il loro peccato capitale: dopo Cristo e il Vangelo, curiosità e ricerca non hanno più ragione di essere. In questa prospettiva egli giunge ad affermare che è meglio non sapere quanto Dio non ha rivelato, che imparare da congetture umane. La verità rivelata da Dio ha messo completamente fuori gioco le presunzioni dei filosofi di pervenire alla verità con forze proprie: l’ intera tradizione filosofica diventa la tradizione dell’ errore. Alle filosofie si oppone la tradizione unanime e concorde delle Scritture, dei profeti e degli apostoli, e questa tradizione contiene verità che possono apparire assurde nell’ ottica delle filosofie. Certezza e fede hanno il loro fondamento nella verità della rivelazione. A Tertulliano è stata erroneamente attribuita l affermazione ” credo quia absurdum ” ( credo perchò è assurdo ), ma nello scritto intitolato De carne Christi, egli dichiara espressamente che la crocifissione e morte di Cristo è ” credibile perchò inconcepibile ” e la sua resurrezione è ” certa, perchò impossibile “. La presunzione di attingere una verità fuori dalla rivelazione fa invece della filosofia la causa delle eresie, in particolare delle eresie gnostiche, che sorgono nel seno stesso del cristianesimo, allontanandosi dalla tradizione unitaria delle Scritture e della Chiesa. La radicalità dell’attacco di Tertulliano alla filosofia è spiegata soprattutto proprio dalla necessità di attaccare questi nemici interni, più vicini. Meritano però di essere menzionate e, in qualche misura, commentate altre sue opere: nell’ Ad martyras troviamo una vibrante esortazione ad un gruppo di Cristiani incarcerati e in attesa del martirio: ” se riflettiamo che piuttosto lo stesso mondo ò un carcere, possiamo dire che voi siete usciti dal carcere anzichè entrati in esso “; nel De praescriptione haereticorum, del 200 circa, si scaglia contro i Cristiani che inquinano la loro fede con dottrine filosofiche pagane e propugnano interpretazioni troppo libere del testo biblico. L’ Ad Scapulam (212) ò indirizzato al governatore dell’Africa proconsolare che conduceva un’efferata campagna contro i Cristiani. Con il De spectaculis Tertulliano si schiera contro la partecipazione agli spettacoli del teatro, dell’anfiteatro e del circo; ai vestiti delle donne ò dedicato il De cultu feminarum: essi devono essere particolarmente discreti; interpretando in chiave diabolica la figura di Eva nell’episodio del serpente nella Genesi, Tertulliano mostra la più completa svalutazione della figura femminile e, in particolare, proibisce alle donne l’uso dell’ornamento e del trucco; nel De virginibus velandis impone l’uso del velo alle donne: esse non devono uscire di casa a viso scoperto. La donna ò, secondo Tertulliano, un essere che Dio ha voluto inferiore; essa ò ” diaboli ianua ” (“la porta del demonio”): ” tu, donna, hai con tanta facilità infranto l’immagine di Dio che ò l’uomo. A causa del tuo castigo, cioò la morte, anche il figlio di Dio ò dovuto morire; e tu hai in mente di adornarti al di sopra delle tuniche che ti coprono la pelle? “. Nel De pudicitia Tertulliano mette alla berlina i rapporti sessuali al di fuori del matrimonio. Con il De corona si scaglia contro il servizio militare, poichè ò incompatibile con l’appartenenza alla fede cristiana. Con il De idolatria condanna tutte le attività economiche che siano in qualche modo connesse con i culti pagani. Nell’ Apologeticum (197) difende il cristianesimo dagli attacchi dei pagani: anche se ” la verità ò straniera sulla terra “, essa chiede all’autorità giudiziaria di essere conosciuta prima di essere condannata, perchè se le leggi ” la condanneranno senza ascoltarla, oltre all’accusa di ingiustizia si meriteranno anche il sospetto di una certa mala fede, per non voler ascoltare quello che non avrebbero potuto condannare, una volta ascoltato “.
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