Nella storia della filosofia, il tema dell’alienazione è congiunto a quello dell’esistenzialismo. Ciò che si mette in risalto è il rapporto tra l’individuo e la società e, in particolare, tra l’essenza umana e il mondo esterno. A tal proposito, si considerano due approcci contemporanei, ma differenti e contrastanti. Uno è quello espresso dalla filosofia di Soren Kierkeegard (1813-1855) e l’altro dalla filosofia di Karl Marx (1818-1883). Secondo Kierkeegard, l’esistenza umana è alienata perché priva di una vera libertà di scelta, compensata solo da una possibile vita religiosa e dal rapporto con Dio. L’angoscia che deriva dall’impossibilità di raggiungere il completo soddisfacimento dei bisogni esistenziali porta l’uomo a fare un salto psicologico al di là della normale esistenza quotidiana. L’eccezionalità dell’individuo, in questo modo, è recuperata nella dimensione della fede. Secondo Marx, invece, l’esistenza umana è alienata perché proiettata in oggetti esterni. Nel modo di produzione capitalistico, ad esempio, il lavoro umano è oggettivato nel suo prodotto, che diventa merce di scambio. Nella società borghese, al contempo, si riproduce anche una dinamica di estraniazione tra l’individuo e lo Stato, tra l’essenza umana e le leggi. Il capovolgimento di questa relazione, però, non è la rivalsa individuale o la chiusura, ma l’emancipazione collettiva. Come si nota, dunque, Kierkegaard propone un movimento “in verticale”, mentre Marx “in orizzontale”.
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