Cosa funziona (e cosa no) nel nuovo Decreto Università Telematiche - Studentville

Cosa funziona (e cosa no) nel nuovo Decreto Università Telematiche

Cosa funziona (e cosa no) nel nuovo Decreto Università Telematiche

Negli ultimi tempi le università telematiche italiane sono al centro di un’importante riforma e di molte nuove regole previste dal prossimo decreto ministeriale. Tra i principali cambiamenti, si parla di rendere obbligatoria almeno un’attività formativa su cinque da svolgere in presenza, di portare il rapporto docenti/studenti a uno su due e di svolgere gli esami esclusivamente in presenza, con eccezioni limitate. Questo decreto, ancora in fase di elaborazione da parte del Consiglio Universitario Nazionale (CUN) e dell’Agenzia Nazionale di Valutazione del Sistema Universitario e della Ricerca (ANVUR), prevederebbe l’entrata in vigore delle nuove misure a partire dal prossimo anno accademico.

L’obiettivo dichiarato è quello di regolamentare il settore delle università telematiche, garantendo standard qualitativi che le avvicinino agli atenei tradizionali, ma ci sono forti critiche soprattutto per quanto riguarda l’impatto che potrebbero avere sulla flessibilità, uno dei punti di forza dell’educazione a distanza.

Perché è necessario regolamentare le università telematiche?

Durante e dopo la pandemia di Covid-19, che ha imposto il distanziamento sociale e favorito lo sviluppo dell’e-learning, le università telematiche hanno registrato una crescita significativa. Prima della pandemia gli esami degli atenei online erano svolti in presenza nelle numerose sedi distribuite su tutto il territorio italiano proprio per facilitare l’accesso agli studenti; con la pandemia, però, la situazione sanitaria ha spinto molte università a offrire esami a distanza, semplificando ulteriormente l’accesso per gli iscritti.

Ora che la situazione sanitaria non richiede più misure straordinarie, regolamentare il settore dell’istruzione online diventa fondamentale per mantenere alta la qualità e garantire che le università telematiche, riconosciute dal Ministero dell’Università e della Ricerca (MUR), rispettino standard elevati. Bisogna stabilire criteri chiari per assegnare i crediti accademici, per valutare gli studenti e per proteggere i dati personali durante l’utilizzo delle piattaforme online. Secondo molti, la nuova normativa dovrebbe dare più perso al miglioramento dei contenuti rispetto alle modalità di svolgimento degli esami e delle lezioni.

La natura diversa dell’e-learning e le critiche al decreto

Uno dei principali punti critici del decreto è l’imposizione delle modalità tipiche delle università fisiche alle università telematiche. Queste ultime, per loro natura, offrono una maggiore flessibilità permettendo agli studenti di seguire le lezioni in modalità asincrona, ovvero in qualsiasi momento, e di gestire autonomamente il proprio tempo, caratteristiche particolarmente apprezzate da chi, per motivi lavorativi o familiari, non può seguire lezioni in presenza.

L’obbligo di sostenere esami esclusivamente in presenza rischia di rendere più difficile l’accesso per molti studenti, soprattutto per quelli residenti in aree remote o che hanno limitazioni di tempo. Secondo Matteo Monari, la nuova normativa potrebbe “non giovare all’intero sistema educativo universitario” perché non tiene conto delle specificità delle università telematiche.

Un’altra differenza cruciale tra i due modelli di istruzione è la centralità dello studente. Mentre le università tradizionali sono spesso incentrate sul ruolo dell’ateneo come struttura fisica, le università telematiche pongono lo studente al centro del processo educativo. Ciò si traduce in una maggiore flessibilità nell’accesso alle risorse didattiche e nella possibilità di interagire con i docenti tramite piattaforme tecnologiche, come videochiamate o chat.

Un confronto con il panorama europeo

L’Italia, con questo decreto, rischia di allontanarsi dai modelli di e-learning adottati in altri Paesi europei, dove la flessibilità è una caratteristica chiave. Nel Regno Unito, la Open University, ad esempio, è un ateneo pubblico che offre corsi completamente online, consentendo agli studenti di organizzare autonomamente il proprio percorso di studi; in Spagna, le due principali università telematiche, la UNED e la UOC, contano oltre 200.000 studenti, dimostrando come il modello di educazione a distanza possa essere efficace anche su larga scala.

Questi due esempi dimostrano che è possibile coniugare flessibilità e qualità e dovrebbero diventare un modello da seguire per l’Italia che rischia altrimenti di rimanere indietro rispetto all’evoluzione del settore dell’istruzione online.

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