Sta circolando molto in questi giorni la notizia riguardante una professoressa di storia e filosofia di una scuola secondaria che è stata destituita dopo un’assenza totale di 20 anni su 24 di servizio. Questa docente era stata oggetto di un’ispezione ministeriale che aveva giudicato le sue modalità di insegnamento “incompatibili” con quest’ultimo. E ora la Cassazione ha confermato la sanzione disciplinare comportante la sua rimozione dall’impiego. L’accusa? “Inettitudine permanente e assoluta”. Approfondiamo come sono andate le cose.
Docente assente 20 anni su 24
Sembra che questa professoressa non godesse di grande popolarità tra gli studenti. A scatenare l’ispezione del Ministero dell’Istruzione nei suoi confronti erano state infatti le lamentele di questi ultimi nel lontano 2013. Durante soli quattro mesi di insegnamento, gli alunni avevano presentato una serie di reclami nei confronti della prof. Oggetto delle lamentele era stato il fatto che la docente non fosse adeguatamente preparata, che assegnasse dei voti a caso e che arrivasse a scuola senza i libri di testo.
A seguito di queste segnalazioni era stata avviata un’ispezione a suo carico, e si era giunti a stabilire che le sue modalità di insegnamento fossero “incompatibili con l’insegnamento”. La conferma della sua destituzione da parte della Cassazione ha confermato la gravità delle accuse mosse nei suoi confronti.
Il ministro dell’Istruzione, Giuseppe Valditara, ha commentato la vicenda esprimendo l’impegno del Ministero nel garantire un’attività di docenza svolta con adeguata professionalità. Al di là del caso specifico, il ministro riconosce l’importanza di ridare autorevolezza agli insegnanti, sottolineando che ciò richiede anche una consapevolezza personale della loro alta dignità nel ruolo, che ha come fulcro la persona dello studente.
La prof aveva invocato la libertà di insegnamento
A seguito della decisione della cassazione, la professoressa ha deciso di difendersi dalle accuse mossegli invocando la “libertà di insegnamento”. Ma, evidentemente, non deve aver convinto i giudici romani che hanno analizzato il suo caso e che hanno respinto il suo ricorso. Secondo questi, infatti, la libertà di insegnamento nell’ambito scolastico significa che gli insegnanti hanno autonomia didattica per garantire una formazione completa della personalità degli studenti. Dunque, non libertà intesa in senso assoluto, ma all’interno del ruolo dell’insegnante, e sempre con al primo posto il rispetto del diritto allo studio dei giovani nell’ottica di favorire la piena formazione della loro personalità. La stessa libertà – come hanno stabilito i giudici – deve consentire alla professoressa di scegliere metodi di insegnamento appropriati, non di improvvisarli.
Dall’ispezione sono venuti fuori diversi comportamenti inaccettabili tenuti dalla donna in classe, come l’uso costante del cellulare, anche durante le interrogazioni, la poca attenzione nei confronti degli studenti e delle lezioni che conduceva e il non possesso dei libri di testo delle classi, presi puntualmente in prestito dagli studenti. Ed ancora, scarsa attendibilità nei confronti della redazione dei programmi scolastici, con indicazioni di ore e argomenti errate.
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