La Corte dei Conti del Molise conferma la condanna nei confronti di una docente che aveva dichiarato un titolo di laurea mai ottenuto.
Ha suscitato notevole attenzione la vicenda della docente licenziata dopo aver dichiarato di possedere una laurea mai ottenuta. Il caso, trattato dalla Corte dei Conti del Molise con la Sentenza 23/2024, mette finalmente in luce l’episodio e le conseguenze per la finta docente. All’inizio, a destare i primi sospetti, pare ci fosse stata la data della laurea, che cadeva di domenica, circostanza che ha immediatamente i primi accertamenti. L’Università ha confermato che l’insegnante risultava iscritta come studentessa fuori corso, ma che non aveva mai conseguito il titolo. Il fatto ha quindi portato alla denuncia e all’immediato licenziamento della docente che ora è stata anche condannata per danno erariale, in quanto aveva ottenuto la supplenza sulla base di una documentazione non veritiera.
Il danno erariale per titoli falsi: il principio della Corte
La Corte dei Conti ha riconosciuto l’esistenza di un danno erariale causato dalla falsa dichiarazione del titolo accademico. Il principio su cui si basa questa sentenza è che la percezione indebita di stipendi e contributi previdenziali a seguito di un’assunzione ottenuta con documenti falsi costituisce un pregiudizio economico diretto per l’Erario. La docente, infatti, ha ottenuto il contratto di lavoro in modo illecito visto che veniva a mancare il titolo di studio abilitante: questo ha compromesso l’utilità stessa della prestazione lavorativa resa alla scuola pubblica, portando a una nullità del contratto e alla condanna.
Secondo la sentenza, l’illecito ha avuto conseguenze sia economiche sia previdenziali, poiché la docente ha percepito uno stipendio non dovuto e contributi per il futuro trattamento pensionistico: il danno, quindi, non si limita alla remunerazione percepita, ma si estende anche agli oneri previdenziali versati, che rappresentano un vantaggio esclusivo del dipendente senza corrispettiva utilità per l’amministrazione.
La decadenza del rapporto di lavoro e i precedenti giuridici
La Corte ha richiamato specifici precedenti normativi e giurisprudenziali per sostenere la sua decisione. Tra questi, si fa riferimento all’art. 127 del D.P.R. 3/1957 e all’art. 75 del D.P.R. 445/2001, che stabiliscono la decadenza dal pubblico impiego in caso di dichiarazioni non veritiere. Queste disposizioni prevedono che la falsificazione di documenti o la dichiarazione di titoli inesistenti comportino la nullità del contratto di lavoro.
La Corte ha poi richiamato la Sentenza n. 36502 del 2009 della Cassazione Penale, che trattava un caso simile di truffa aggravata ai danni di un ente pubblico. In quel caso, un individuo era stato assunto come infermiere senza possedere il titolo necessario e la Cassazione aveva riconosciuto sia il profitto ingiustamente conseguito dal reo sia il danno arrecato all’ente pubblico, corrispondente alle retribuzioni percepite illecitamente.
La Corte esclude vantaggi soggettivi per l’amministrazione
Un punto rilevante della sentenza riguarda la cosiddetta “regola dei vantaggi”, secondo la quale, in alcuni casi, è possibile considerare eventuali benefici di cui ha goduto la Pubblica Amministrazione dalla prestazione lavorativa. Tuttavia, in questo caso specifico, la Corte dei Conti ha escluso qualsiasi possibilità di applicare tale regola perché, trattandosi di una prestazione lavorativa resa senza il possesso del titolo di studio necessario, non si può ritenere che l’amministrazione abbia tratto alcun vantaggio dall’operato della docente.