Un recente rapporto dell’ANVUR, l’ente di valutazione delle università, mette sotto la lente d’ingrandimento una problematica che, nonostante gli sforzi, continua a persistere: la sottorappresentazione delle donne nei corsi STEM (Science, Technology, Engineering, and Mathematics). La ricerca ha incluso diversi segmenti: immatricolazioni, iscrizioni a vari livelli di laurea, laureati, dottorandi, assegnisti di ricerca e studenti di specializzazione; prendendo in considerazioni i dati dal 2011 al 2022. Ne emerge che dopo anni di progetti e campagne per abbattere i pregiudizi di genere, la scelta delle discipline scientifiche rimane ancora un ostacolo per moltissime studentesse italiane.
STEM: un’ancora del genere maschile
Nonostante un aumento complessivo nel numero delle immatricolazioni ‒ con un incremento delle donne dal 2016 che, nell’anno della pandemia, hanno addirittura superato le immatricolazioni maschili di circa 36.000 unità ‒, negli ultimi dieci anni la percentuale di donne iscritte a facoltà inerenti le materie scientifiche, o di ingegneria e informatica, è rimasta ferma al 39,3%. Ci sono stati alcuni progressi, ma il bilancio finale continua a rilevare una larga maggioranza di adesione maschile, con il 60,7%, mentre la percentuale di donne nelle STEM resta a un timido 39,3%. La maggior parte delle diplomate continua infatti a preferire facoltà umanistiche, sociopolitiche o sanitarie.
Le difficoltà nella carriera accademica
Il rapporto evidenzia anche un miglioramento nel gender gap tra docenti, ma la carriera accademica resta ancora un percorso difficile per le donne: rispetto al 57% delle laureate, solo il 42,3% ricopre ruoli di professori associati e appena il 27% diventa professore ordinario. Nonostante alcune conquiste, il recupero di posizioni da parte delle donne è uno dei più lenti in Europa.
Il rapporto sottolinea un primo ostacolo nella transizione al livello più alto degli studi: il 47,8% delle donne, contro il 52,2% degli uomini, accede ai dottorati di ricerca; se poi passiamo ai ricercatori a tempo determinato, la presenza femminile scende al 44,1% e diventa sempre più rara man mano che si scala la gerarchia accademica: 42,3% dei professori associati e solo il 27% degli ordinari.
Commissioni, rettori e prospettive future
L’analisi della composizione delle commissioni per l’Abilitazione Scientifica Nazionale, passaggio cruciale per l’accesso ai ruoli accademici di vertice, rivela un ulteriore squilibrio: su 4.649 commissari, solo un terzo sono donne. Se poi passiamo ai rettori, le donne sono appena dodici anche se lo scorso novembre è stata eletta per la prima volta una donna al vertice della Conferenza dei rettori. Le previsioni per la parità di genere fra i professori ordinari non sono positive, tanto che potrebbe richiedere fino al 2061.
La Ministra e la rivoluzione culturale
La ministra dell’Università Anna Maria Bernini ha sottolineato la necessità di una “rivoluzione culturale da portare avanti tutti insieme”. Nonostante i progressi compiuti, l’Italia rimane indietro rispetto ad altri Paesi europei, soprattutto nelle discipline legate alle nuove tecnologie dell’informazione.
Le parole del presidente dell’ANVUR
Il presidente dell’ANVUR, il professor Antonio Felice Uricchio, ha evidenziato l’importanza dell’Analisi di Genere nel contesto della valutazione del sistema universitario e della ricerca. «Abbiamo ritenuto importante presentare come primo tra i focus collegati al Rapporto 2023 proprio quello sull’Analisi di Genere, che si colloca così nel solco della lunga tradizione negli studi di genere e nel contrasto alle disuguaglianze che vanta il nostro Paese. L’Analisi ci consente di osservare l’intero complesso del sistema della formazione superiore da una angolatura che non può che arricchire il complesso lavoro di valutazione del sistema universitario e della ricerca svolto dall’Anvur».