Esperimento alla Bicocca: 5 minuti in una cella finta per capire le reali condizioni dei detenuti - Studentville

Esperimento alla Bicocca: 5 minuti in una cella finta per capire le reali condizioni dei detenuti

Il progetto ha lo scopo di far riflettere sulle condizioni delle carceri italiane per promuovere una maggiore consapevolezza sulle difficoltà affrontate dai detenuti, anche per quanto riguarda il reinserimento nella società dopo la reclusione.
Esperimento alla Bicocca: 5 minuti in una cella finta per capire le reali condizioni dei detenuti

L’Università di Bicocca a Milano ha da poco avviato un insolito esperimento che mira a far comprendere agli studenti e alla cittadinanza la realtà delle condizioni di vita nelle carceri italiane. L’iniziativa invita a riflettere sulle difficoltà e le ansie affrontate dai detenuti, anche quando escono dal carcere e devono riadattarsi alla vita in società. Il progetto è stato ideato e curato dalla Professoressa Maria Elena Magrin, docente di Psicologia Giuridica presso l’ateneo, che lo porta avanti con il supporto di una studentessa laureanda, Olivia Serio, che accompagna le persone nella cella.

L’esperimento: cosa si prova a vivere in una cella?

Nell’ambito di questo progetto, gli studenti e i partecipanti possono sperimentare cosa si prova a vivere in una cella, anche se solo per un breve periodo di cinque minuti. La cella è stata creata in collaborazione con la Caritas Ambrosiana ed è parte del progetto “Extrema Ratio”; riproduce fedelmente una cella di San Vittore, una delle carceri più popolate d’Italia. Si tratta di una micro stanza di soli 2 metri per 4, dove i partecipanti possono vedere quanto sia angusta la vita dei detenuti nelle carceri italiane. L’esperienza porta senza dubbio a riflettere: se si pensa che vivere così sia impossibile, fa ancora più riflettere il fatto che spesso un simile spazio deve essere condiviso anche da quattro persone.

L’esperienza è stata definita “immersiva” poiché offre un’idea diretta delle condizioni di vita carcerarie. I partecipanti devono lasciare i loro oggetti personali, come telefoni (vietati in carcere), cinture e lacci delle scarpe (pericolosi), soldi e gioielli, all’esterno e quindi entrare nella cella. Qui possono sedersi solo su uno sgabello o una branda, con la testa storta, scomodi e rassegnati a causa dello spazio ristretto; anche l’ambiente cerca di ricreare le condizioni reali del carcere con il neon acceso, i materassi duri, l’armadietto minuscolo e l’immancabile gabinetto cucina, tutto abbastanza sporco e squallido. Chi si sottopone all’esperimento, esce dalla cella pieno di dubbi, ai quali la dott.ssa Magrin e Olivia sono pronte a rispondere.

Lo scopo dell’iniziativa

Questa iniziativa ha l’obiettivo di sensibilizzare le persone sulle difficoltà affrontate dai detenuti, spesso dimenticati dalla società. La Professoressa Magrin ha dichiarato che “la gente non sa niente del carcere”, e pertanto è fondamentale provare a far comprendere le sfide che i detenuti affrontano quotidianamente. L’esperienza cerca di simulare la realtà carceraria, anche se con alcune differenze chiave, come la maniglia interna alla cella, che simboleggia la libertà, mentre nelle carceri reali la porta è chiusa dall’esterno.

Questo esperimento è aperto non solo agli studenti ma a tutta la cittadinanza per invitare le persone a riflettere su come sia importante affrontare le sfide della reintegrazione sociale dopo il periodo di detenzione. È un’opportunità per educare le persone sulla realtà delle carceri con un esperimento pratico, promuovendo una maggiore comprensione delle difficoltà che i detenuti devono superare nel loro percorso di riabilitazione e reinserimento nella società.

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