Al rientro dalle vacanze estive, in Francia, le aule scolastiche sono state teatro di una nuova polemica: l’abaya è stato bandito dalle scuole. Nonostante il divieto, 298 studentesse si sono presentate a lezione indossando la tradizionale tunica araba. Di queste, 67 hanno rifiutato di toglierla e sono state mandate a casa.
Sebbene la decisione abbia suscitato non poche polemiche, il Consiglio di Stato ha approvato il divieto, respingendo il ricorso presentato dall’associazione Action droits des musulmans (Adm), attiva nella tutela dei diritti dei musulmani in Francia, affermando che l’uso dell’abaya “si iscrive in una logica di affermazione religiosa”.
Il ministro dell’Istruzione Gabriel Attal ha definito la decisione della più alta corte amministrativa francese “importante per la scuola della Repubblica”. In un’intervista rilasciata a TF1, Attal ha dichiarato di voler dare “regole chiare a livello nazionale” ai dirigenti scolastici e ha affermato che “la laicità è la libertà di emanciparsi attraverso la scuola”, aggiungendo che “se entri in un’aula, non devi poter identificare la religione degli studenti a colpo d’occhio”.
Anche il Presidente francese Emmanuel Macron, in una recente intervista, ha ribadito con fermezza la sua posizione in merito alla laicità nelle istituzioni scolastiche, che “devono rimanere luoghi neutri, dove la religione non interferisce con l’istruzione e l’apprendimento”.
I precedenti
Il recente divieto dell’abaya richiama alla mente la polemica sul divieto del burqini nel 2016. Quell’anno, diverse città costiere francesi interdissero sulle proprie spiagge l’uso del burqini, un tipo di costume da bagno femminile che copre integralmente il corpo. In quell’occasione, il Consiglio di Stato francese revocò il divieto, definendolo una “violazione grave e manifestamente illegale delle libertà fondamentali”. Anche l’ONU criticò il provvedimento, perché lesivo dei diritti umani fondamentali.
La Francia, nel corso degli anni, ha introdotto diverse misure restrittive legate all’utilizzo dei simboli religiosi nello spazio pubblico. Queste norme sono state spesso al centro di dibattiti accesi, poiché toccano temi delicati come la libertà individuale, la laicità dello Stato e l’integrazione delle minoranze.
Dal 2004, nelle scuole statali francesi non si può indossare il velo islamico. Dal 2010, questa regola vale anche per il niqab in luoghi pubblici come strade e uffici. Nel 2019, è stata approvata una legge che impedisce alle madri con l’hijab di accompagnare i figli a scuola o nelle gite. Nel 2022, l’hijab è stato bandito anche dalle gare sportive nazionali.
Le critiche al provvedimento
La decisione delle autorità francesi di proibire l’abaya ha sollevato aspre critiche interne, in particolare da parte del partito di sinistra La France Insoumise, che ha etichettato il provvedimento come “incostituzionale” e come un affronto ai principi cardine della laicità e della libertà individuale. Manuel Bompard, coordinatore del partito, si è detto intenzionato a contestare la misura davanti al Consiglio di Stato.
Anche la società civile si è mossa. L’associazione Action droits des musulmans (Adm) ha presentato un ricorso contro il divieto, che però è stato respinto dalla corte. Vincent Brengarth, avvocato dell’Adm, ha contestato la decisione del Consiglio, accusando il giudice di aver ignorato certe testimonianze e sminuito il valore tradizionale dell’abaya. Dichiarazioni a cui hanno fatto seguito quelle di Siham Zain, presidente dell’associazione musulmana, che ha definito il provvedimento razzista e sessista, poiché prende di mira principalmente ragazze di origine araba.