PRIMA PROVA MATURITÀ 2020: TEMA DI ATTUALITÀ SUL REFERENDUM COSTITUZIONALE
Manca pochissimo alla prima prova di Maturità e il tototema per le tracce di prima prova della maturità 2020 è già iniziato da un pezzo. Fino al 20 giugno, giorno della prima prova, non conosceremo le scelte compiute dal Miur; tuttavia, possiamo iniziare a capire quali sono gli argomenti di attualità su cui il Ministero potrebbe puntare. Che il referendum sia oggetto di una delle tracce, magari del tema d’attualità (Tipologia D)? Lo vedremo, ma intanto vi proponiamo un tema svolto sui contenuti del quesito del referendum e sulle posizioni del sì e del no. Voi potete arricchirlo con le conseguenze che si sono verificate in seguito al risultato o sui motivi che hanno spinto a votare per la posizione risultata vincente.
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PRIMA PROVA MATURITÀ 2020: TEMA SUL REFERENDUM SVOLTO
Il 4 dicembre 2016 è stata una data che verrà inserita sicuramente nei libri di storia, almeno in Italia: si è tenuto infatti il referendum popolare per approvare o respingere la più ampia riforma della Costituzione mai ideata dall’entrata in vigore della Carta Costituzionale (1° gennaio 1948) a oggi. A proporla il Governo Renzi (la riforma è chiamata Boschi-Renzi dal nome della promotrice, il Ministro Maria Elena Boschi), che, dopo aver ottenuto l’approvazione parlamentare, ha sottomesso il progetto di revisione costituzionale al voto popolare, così come previsto dall’art. 138 Cost. Una riforma che ha spaccato in due il Paese e le varie forze politiche, tra i sostenitori del sì, a cui faceva capo l’ex Governo e i renziani, e i sostenitori del no, che includeva uno spettro eterogeneo di forze dalle varie correnti di destra al Movimento Cinque Stelle, oltre a molta parte della sinistra meno filo-renziana. Perché questa divisione? Cosa prevede la riforma e quali sono le ragioni del sì e del no? Cerchiamo di capirlo con ordine.
MATURITÀ 2020, PRIMA PROVA: TEMA SUL REFERENDUM COSTITUZIONALE SVOLTO
La riforma costituzionale avrebbe modificato la Parte II della Costituzione, sull’ordinamento della Repubblica, esclusi i principi fondamentali su cui si basa l’attuale Stato italiano e i diritti-doveri dei cittadini. Sarebbe stata modificata, in sostanza, la composizione e il ruolo del Senato, il rapporto Stato- Regioni, il referendum abrogativo e le proposte legislative popolari e di eliminare il CNEL. Il quesito referendario è il seguente: “Approvate il testo della legge costituzionale concernente diposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del CNEL e la revisione del titolo V parte II della Costituzione, approvato dal Parlamento e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n.88 del 15 aprile 2016?”. Nello specifico, la riforma si propone di porre fine al bicameralismo perfetto che caratterizza l’attuale assetto istituzionale italiano. Camera e Senato, infatti, hanno attualmente gli stessi poteri: tutte le leggi, sia ordinarie sia costituzionali, devono essere approvate da entrambe le camere, così come la fiducia del governo deve essere concesse da entrambe le camere. In caso di vittoria del sì, invece, la camera dei deputati sarebbe diventata l’unico organo eletto a suffragio universale diretto mentre il Senato un organo rappresentativo delle autonomie regionali. Il nuovo Senato, composto da 100 senatori (invece degli attuali 315) non eletti direttamente dai cittadini, ma scelti tra sindaci e consiglieri regionali, non avrebbe potuto più dare il voto di fiducia al governo, così come non avrebbe potuto più approvare le leggi ordinarie e di bilancio, ma avrebbe mantenuto il potere di esaminare i testi delle leggi presentati dalla Camera e di proporre modifiche che dovranno essere approvate o respinte dai deputati. I senatori avrebbero continuato a partecipare all’elezione del Presidente della Repubblica, dei componenti del CSM e dei giudici della corte costituzionale. La riforma avrebbe cambiato anche le maggioranze di voto per approvare la nomina del Presidente della Repubblica, eletto dalle camere in seduta comune, senza però la partecipazione dei delegati regionali. Inoltre sarebbe stato eliminato Il Consiglio nazionale per l’economia e il lavoro (che ha una funzione consultiva e di proposta di legge in materia di legge e questioni economiche) e riformulata la distribuzione dei poteri tra Stato e Regioni, riportando una ventina di materie oggi di competenza concorrente sotto la competenza esclusiva dello Stato. Infine, con la riforma costituzionale, se un referendum abrogativo sarà proposto da 800 mila cittadini (invece che da 500 mila), il quorum per rendere valido il risultato sarà abbassato al 50% dei votanti alle ultime elezioni politiche e non al 50% dei cittadini italiani con diritto di voto. Sarebbe aumentato invece il numero minimo di firme per proporre una legge d’iniziativa popolare passando dalle 50 firme attuali alle 150 mila firme. Sebbene una riforma costituzionale sia auspicata da anni, i tentativi passati di riformare la Costituzione promossi dalle bicamerali non hanno portato a risultati, e così è accaduto anche questa volta. Lo avevano previsto i sondaggi, e così è stato: anche questa volta i “no” sono stati in vantaggio. Secondo i sostenitori del sì, questa riforma sarebbe stato il cambiamento di cui il Paese ha bisogno: si sarebbe superato il bicameralismo paritario, spesso additato come il principale problema del ritardo nell’applicazione delle leggi, si sarebbero ridotti i costi grazie alla diminuzione del numero dei senatori e al fatto che questi non avrebbero preso l’indennità parlamentare, così come all’abolizione del CNEL e si sarebbe reso più chiaro il rapporto Stato-Regioni, evitando i tantissimi ricorsi attualmente pendenti di fronte alla Corte Costituzionale per conflitto d’attribuzione. Uno Stato più snello, economico ed efficiente, con un governo più forte e in grado di governare senza che vengano meno i principi di rappresentanza democratica. Il fronte del “no”, invece, ritiene che questa riforma, seppure abbia alcuni spunti positivi, nella sua totalità avrebbe prodotto effetti più negativi dell’attuale ordinamento. In particolare, c’è e c’è stata preoccupazione per la possibile diminuzione di democrazia che deriverebbe dal connubio tra la nuova formazione del Parlamento e la legge elettorale sempre approvata dal governo Renzi, l’Italicum. Il rischio è che si sarebbe creata, con questa legge elettorale che prevede un ampio premio di maggioranza (340 seggi su 650 alla Camera dei deputati al partito che alle elezioni abbia ottenuto almeno il 40% dei voti o, in caso nessuno li ottenga, a chi ha vinto il ballottaggio), una Camera espressione della volontà del Governo, con un Senato senza più il potere di fare da contrappeso. Tra i punti criticati anche la composizione del nuovo Senato, la riduzione dei costi irrisoria e i procedimenti legislativi che sarebbero aumentati invece di ridursi, con il rischio di chiamare in causa la Corte Costituzionale troppo di frequente paralizzando il Paese.
PRIMA PROVA TEMA SVOLTO SULLA RIFORMA COSTITUZIONALE: CONCLUSIONE
Quello che personalmente ho trovato sconcertante di tutta la questione non sono le legittime e contrastanti opinioni sul tema, ma la personalizzazione che si è fatta di questo referendum, finendo per trasformare la modifica del più importante documento su cui si fonda la nostra repubblica in una questione di voto pro o contro Renzi. Inoltre, anche i toni della campagna elettorale sono stati esasperati da entrambe le parti: se avesse vinto il sì non si sarebbe arrivati alla deriva autoritaria, così come la vittoria del no non ha provocato l’Apocalisse o nessuna possibilità di cambiamento della Costituzione in futuro con una nuova riforma.