Solstizio d’inverno: significato e tradizioni della notte più lunga dell'anno - Studentville
Solstizio d’inverno: significato e tradizioni della notte più lunga dell'anno

Solstizio d’inverno: significato e tradizioni della notte più lunga dell'anno

Oggi, 22 dicembre 2023, è il solstizio d’inverno, ma cosa significa precisamente?

Il termine solstizio viene dal latino solstitium, che significa letteralmente “sole fermo”. Se ci troviamo nell’emisfero nord della terra, nei giorni che vanno dal 22 al 24 dicembre possiamo infatti osservare come il sole sembri fermarsi in cielo, fenomeno tanto più evidente quanto più ci si avvicina all’equatore. In termini astronomici, in quel periodo il sole inverte il proprio moto nel senso della “declinazione”, cioè raggiunge il punto di massima distanza dal piano equatoriale. Il buio della notte raggiunge la massima estensione e la luce del giorno la minima. Si verificano cioè la notte più lunga e il giorno più corto dell’anno.

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Subito dopo il solstizio, la luce del giorno torna gradatamente ad aumentare e il buio della notte a ridursi fino al solstizio d’estate, in giugno, quando avremo il giorno più lungo dell’anno e la notte più corta. Il sole, quindi, nel solstizio d’inverno giunge nella sua fase più debole quanto a luce e calore, pare precipitare nell’oscurità, ma poi ritorna vitale e “invincibile” sulle stesse tenebre. E proprio il 25 dicembre sembra rinascere, ha cioè un nuovo “Natale”.

Questa interpretazione “astronomica” può spiegare perché il 25 dicembre sia una data celebrativa presente in culture e paesi distanti tra loro. Pochi sanno infatti che, intorno alla data del 25 Dicembre, quasi tutti i popoli hanno sempre celebrato la nascita dei loro esseri divini: in Egitto si festeggiava la nascita del dio Horus, che mosaici ed affreschi raffigurano in braccio a Iside, ricordando da vicino l’iconografia cristiana della Madonna col bambino. Nel giorno corrispondente al 25 dicembre odierno, nel 3000 a.C. circa, veniva festeggiato il dio Sole babilonese Shamash. Successivamente comparve poi in Babilonia il culto della dea Ishtar e di suo figlio Tammuz, che veniva considerato l’incarnazione del Sole. Allo stesso modo di Iside, anche Ishtar veniva rappresentata con il suo bambino tra le braccia e attorno alla testa di Tammuz si rappresentava un’aureola di 12 stelle. È interessante aggiungere che anche in questo culto il dio Tammuz muore per risorgere dopo tre giorni. Sempre nei giorni del solstizio d’inverno, nell’antica Grecia si svolgeva in onore di Dioniso una festa rituale chiamata Lenaea; nel Messico pre-colombiano nascevano il dio Quetzalcoath e l’azteco Huitzilopochtli; Bacab (il dio Sole messo al mondo dalla vergine Chiribirias) nello Yucatan; il dio Freyr, figlio di Odino e di Freya, era invece festeggiato dalle genti del Nord; Zaratustra in Azerbaigian; Buddha, in Oriente; Krishna, in India; Scing-Shin in Cina, mentre in Persia si celebrava il dio guerriero Mithra, anch’esso partorito da una vergine e soprannominato “il Salvatore”.

Le origini di tale coincidenza vanno ricercate in ciò che è “principio” della vita sulla terra e che “dal principio” è stato oggetto di culto e di venerazione: il sole. I popoli antichi si sentivano infatti intimamente legati al “ciclo della natura” poiché da questo dipendeva la loro stessa sopravvivenza. L’uomo antico si sentiva parte di quella natura, ma in posizione di debolezza, il mondo appariva lui come un luogo dominato da forze potenti e indecifrabili. Per questo, attraverso il rito, cercava di guadagnarsi la benevolenza di questa o quella forza.

Al centro di questo ciclo c’era l’astro che scandiva il ritmo della giornata, la “stella del mattino” che determinava i ritmi della fruttificazione e che condizionava tutta la vita dell’uomo. Per quest’ultimo, temere che il sole non sorgesse più e vederlo perdere forza, riducendo sempre più il suo corso nel cielo durante inverno, era un’esperienza tragica che minacciava la sua stessa vita. Perciò, doveva essere esorcizzata con riti che avessero lo scopo di evitare che il sole non si innalzasse più o di aiutarlo nel momento di minor forza.  È proprio partendo da questa considerazione che possiamo individuare le origini dei rituali e delle feste collegate al solstizio d’inverno.

A questo importante momento di passaggio, quando il Sole, dopo essere arrivato al punto più basso del suo percorso stagionale, torna ad allungare le giornate, gli antichi Romani associarono la festa Dies Natalis Solis Invicti, il giorno del Natale del Sole Invitto, del Sole cioè che tornava a illuminare le giornate e scaldare il suolo. Tale festività segnava la fine del ciclo negativo del Sole e l’inizio di un nuovo periodo stagionale. Il nostro odierno Capodanno, che cade molto prossimo al Solstizio, origina appunto da questa festa. Ma non solo; anche il Santo Natale deve la collocazione della sua data proprio a questa ricorrenza.

Molti sono i simboli che testimoniano tale sovrapposizione, tra essi l’usanza del vischio, pianta sacra del Solstizio d’Inverno, e simbolo della vita. Il vischio, sacro ai druidi, era considerata una pianta discesa dal cielo, figlia del fulmine, e quindi emanazione divina. Tali simbologie solstiziali sono ancora oggi riscontrabili nelle tradizioni del  Capodanno, momento in cui baciarsi sotto di esso è considerato un gesto propiziatorio di fortuna. Sempre presso i celti era anche in uso un rito in cui le donne attendevano, immerse nell’oscurità, l’arrivo della luce-candela portata dagli uomini con cui veniva acceso il fuoco, per poi festeggiare tutti insieme alla luce da esso emanata. Tutt’oggi, tra Natale e Capodanno è ancora un proliferare di falò che, accesi quasi in ogni piazza, attirano un folto gruppo di persone che si riuniscono intorno ad essi per festeggiare assieme. Questo è infatti il momento in cui, quando la notte diviene padrona e il buio totale, è necessario mantenere accesa la fiamma della Fede, che al mattino, con l’alba, diverrà trionfante. Sono origini molto antiche, anche quelle che collocano il famoso abete nelle feste del Solstizio d’inverno, ovvero il Natale: i popoli germanici, lo usavano nei loro riti pagani, per festeggiare il passaggio dall’autunno all’inverno. In seguito era usanza bruciarlo nella stufa, in un particolare rito, in modo che il fuoco propiziasse il ritorno del sole. Fu scelto l’abete perché è un albero sempre verde, che porta speranza nell’animo degli uomini visto che non muore mai, neppure nel periodo più freddo e difficile dell’anno. Era inoltre un simbolo fallico, di fertilità ed abbondanza, associato alle divinità maschili di forza e vitalità. Ecco che addobbarlo, prendeva quindi i connotati di un piccolo rito casalingo che portava fortuna ed abbondanza alla famiglia e il Solstizio d’inverno, è il momento in cui la divinità maschile muore, per poi rinascere in primavera. Questo ciclo di morte-nascita, lo si ritrova in moltissime culture: oltre che nella tradizione cristiana, è presente in Egitto, con la morte di Osiride e nel mito di Adone, che si evirò proprio sotto ad un pino. Addobbare l’albero di Natale con le luci, accendendolo di mille riflessi, ricorda quindi il rituale del grande falò dell’abete, che spesso si prolungava fino all’attuale festa della Befana. In alcune popolazioni europee, con il fuoco dell’abete, si bruciava simbolicamente le negatività del passato, e le streghe leggevano nel fuoco i presagi per il futuro.

Tanta fu la forza che assunse questo particolare momento dell’anno che da tutti gli antichi popoli è stato invariabilmente atteso e magnificato: i Gallo-Celti lo denominarono “Alban Arthuan” (“rinascita del dio Sole”); i Germani, “Yulè” (la “ruota dell’anno”); gli Scandinavi “Jul” (“ruota solare”); i Finnici “July” (“tempesta di neve”); i Lapponi “Juvla”; i Russi “Karatciun” (il “giorno più corto”)”. Una festa di morte, trasformazione e rinascita, il cui senso universale è meravigliosamente esplicato in questo mito: Yule è il momento in cui il Re Oscuro, il Vecchio Sole, muore e si trasforma nel Sole Bambino che rinasce dall’utero della Dea. All’alba la Grande Madre Terra dà alla luce il Sole Dio. La Dea è la vita dentro la morte, perché anche se ora è regina del gelo e dell’oscurità, mette al mondo il Figlio della Promessa, il Sole suo amante, che la rifeconderà riportando calore e luce al suo regno. Anche se i più freddi giorni dell’inverno ancora devono venire, sappiamo che con la rinascita del sole la primavera ritornerà.

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