Il 56% degli italiani lavora part-time
Così come avete letto nel titolo, una grande percentuale dei lavoratori italiani (con, spoiler, una maggiore incidenza tra le donne) che svolge un rapporto di lavoro part-time, non lo ha scelto. Piuttosto, vi è stato “costretto”. E’ quanto è emerso dal Report del Forum Disuguaglianze e Diversità intitolato “Da conciliazione a costrizione: il part-time in Italia non è una scelta. Proposte per l’equità di genere e la qualità del lavoro”. Che, oltre questo, mostra una serie di altri dati che dovrebbero quantomeno farci riflettere. Approfondiamo, quindi, cosa è emerso.
Part-time involontario, un fenomeno in crescita
Il rapporto ha come focus il fenomeno del cosiddetto “part-time involontario“. Situazione che accomuna, ad oggi, più di 2 milioni di lavoratori e lavoratrici che, in realtà, non l’hanno cercata, ma che si sono ritrovati a subire loro malgrado. Magari per necessità di lavorare comunque, oppure per assenza di altre possibilità. Tale formula di lavoro, però, è spesso strettamente legata a condizioni meno soddisfacenti per i lavoratori, oltre che a precarietà. A farne le spese, come anticipato, sono soprattutto le donne. Basti pensare che, nel 2022, l’incidenza sul totale dei lavoratori sia stata pari al 5,6% per gli uomini e al 16,5% per le donne. Si tratta, tuttavia, di un incremento che riguarda solo l’Italia.
Le differenze rispetto all’Europa
Anche i dati diffusi da Eurostat hanno confermato come l’abuso del part-time involontario sia maggiore nella nostra penisola rispetto ad altri Paesi europei. E’ vero che nell’ultimo ventennio il part-time è aumentato un po’ ovunque, ma questo incremento non ha seguito la medesima evoluzione nei vari paesi. Cosa che, invece, è avvenuta per quello “volontario”. Per comprenderne la portata rispetto al resto dell’Europa, basta riflettere su questi dati: “nella media EU i lavoratori e le lavoratrici in part-time involontario sul totale di chi ha un impiego part-time sono meno di un quarto (19,7%) a fronte di più di uno su due in Italia (56,2%)”.
Caratteristiche del part-time involontario in Italia
A caratterizzare il fenomeno del part-time involontario in Italia sono alcuni fattori. Quello che salta subito all’occhio è che interessa maggiormente le donne. Se 3/4 delle persone occupate a tempo parziale appartengono al sesso femminile, anche l’incidenza del part-time involontario sul totale delle persone occupate dimostra una divergenza: 5,6% per gli uomini, 16,5% per le donne. Inoltre, i settori nei quali il “part-time non scelto” è preponderante, sono quello dei servizi alle famiglie e degli alberghi e ristorazione. Ancora, il part-time involontario “è più frequente nel Mezzogiorno, tra le persone straniere e tra chi possiede un basso titolo di studio”. Infine, tale tipologia di lavoro è spesso legata a insoddisfazione riguardante i guadagni, le opportunità di carriere e la stabilità. Il 35,6% di tutti i contratti avviati nel I semestre 2022 è part-time. E con le oramai assodate differenze di genere. Il 49% dei contratti avviati a donne è a tempo parziale. E’ invece pari al 26,2% dei contratti attivati agli uomini. Tale proporzione è uguale a quella dell’anno precedente e riguarda tutte le tipologie contrattuali.
Quando si può parlare di part-time involontario
Ma quando, il ricorso ad un orario di lavoro ridotto, può essere definito involontario? Secondo il report, tra gli altri, può avvenire nei seguenti casi. Quando un lavoratore o una lavoratrice è assunto/a con orario ridotto ma gli viene corrisposta una paga maggiore tramite ore di lavoro straordinarie o clausole elastiche; quando è assunto/a part-time ma lavora più ore di quanto concordato; quando le ore lavorate in più vengono pagate fuori dalla busta paga (sempre che, e non è raro, non vengano affatto retribuite). Cosa fare, in conclusione, per combattere questo fenomeno? In quanto alle possibili soluzioni prospettate, vi sono la proposta che il part-time venga affiancato al tempo indeterminato ed il miglioramento degli strumenti volti alla tutela contrattuale. Nonché la previsione di contributi previdenziali più alti per chi lavora part-time rispetto a chi lavora a tempo pieno.
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