Le aziende italiane sembrano propense a integrare l’AI nei processi produttivi e nei servizi, ma la mancanza di manodopera specializzata rappresenta ancora un ostacolo.
L’intelligenza artificiale (AI) sta trasformando rapidamente il mondo del lavoro anche in Italia dove, nell’ultimo anno, circa 10.000 imprese hanno deciso di introdurla nei processi produttivi e nei servizi, registrando un aumento del 30% rispetto all’anno precedente. Di conseguenza, la domanda di personale specializzato nel settore è esplosa, passando da 40.000 a oltre 300.000 addetti.
Questi dati emergono dal VI rapporto dell’Osservatorio di 4.Manager, intitolato “Intelligenza Artificiale. Cambiamento culturale e organizzativo per le imprese e manager: nuove traiettorie della managerialità”, che sarà presentato oggi pomeriggio presso la Pontificia Università Antonianum.
Un’adozione ancora limitata: solo il 1,9% delle imprese la considera una priorità
Secondo il rapporto, il 48,1% delle aziende utilizza l’intelligenza artificiale per migliorare l’efficienza produttiva, mentre il 40% evidenzia l’importanza della collaborazione interdisciplinare per sfruttare appieno le potenzialità della tecnologia. Tuttavia, solo il 1,9% delle imprese intervistate vede l’AI come una priorità strategica con molte aziende ancora ferme alla fase sperimentale.
Le aziende più grandi tendono ad adottare questa tecnologia in modo più strutturato (24%), rispetto alle piccole e medie imprese (5%). Milano, Roma, Torino, Bologna e Napoli emergono come le principali città in cui l’intelligenza artificiale è maggiormente integrata, soprattutto nei settori dell’informatica, dello sviluppo software e della ricerca.
Nonostante il progresso tecnologico, il presidente di Federmanager Stefano Cuzzilla ha espresso preoccupazioni sull’insufficiente investimento nella formazione: “Sebbene l’intelligenza artificiale stia rivoluzionando il mondo dell’impresa il vero valore continua a risiedere nell’intelligenza umana. I nostri sistemi produttivi sono miniere di saperi e abilità, in gran parte ancora inesplorate dell’AI, che aspettano di essere valorizzate. Ad oggi, però, l’investimento in formazione è ancora insufficiente rispetto alla portata del cambiamento in atto”.
La carenza di competenze digitali è una sfida per le aziende
Uno dei principali ostacoli all’adozione diffusa dell’intelligenza artificiale è la mancanza di competenze specializzate. L’indagine dell’Osservatorio 4.Manager evidenzia che la domanda di professionisti in grado di lavorare con l’AI è aumentata del 157% negli ultimi cinque anni, ma il 55% delle aziende intervistate fatica a trovare figure professionali adeguate.
I ruoli più richiesti sono AI Integration Specialist (18,6%), Chief Data Officer (9,3%) e AI Strategy Director (8,9%), ma anche Data Science Manager (8,4%) e Chief AI Officer (7,2%). Questi profili, oltre a competenze tecniche avanzate, devono possedere capacità di leadership e pensiero critico per gestire complessi processi di integrazione tecnologica.
Secondo i dati del rapporto, il 53,4% delle aziende ha già assunto nuove figure professionali legate all’AI nell’ultimo anno, mentre il 15,2% prevede di farlo nel prossimo futuro anche se la carenza di personale qualificato rimane un problema che influisce negativamente sull’efficacia dell’adozione di nuove tecnologie.
“L’innovazione tecnologica è un motore dello sviluppo del Paese ed è fondamentale la capacità di guidare il cambiamento per assicurare alle nostre imprese la disponibilità di competenze e di know-how adeguatamente formato”, ha sottolineato Alberto Tripi, special advisor di Confindustria per l’Intelligenza Artificiale. Le aziende stanno quindi investendo in formazione, collaborando con università, centri di ricerca e ITS Academy per migliorare le competenze del personale, non solo dal punto di vista tecnico, ma anche nelle cosiddette soft skills, come la capacità di adattarsi al cambiamento e gestire i processi di trasformazione.