“La stella di Natale” è una poesia per l’Epifania scritta dall’autore russo Boris Pasternak. Nato a Mosca nel 1890, Pasternak è stato un poeta e scrittore il cui esordio fu segnato, nel 1914, dal volume di poesie Bliznec v tucach (Il gemello nelle nuvole). La sua opera più conosciuta è sicuramente Il Dottor Živago (1957), libro che è diventato un caso editoriale a livello internazionale e dal quale è stato tratto il celebre film. Pasternak è considerato tra i più interessanti poeti russi della sua generazione. Un aneddoto che ne riguarda la vita: ricevette il premio Nobel per la letteratura nel 1958, ma non poté ritirarlo in quanto non avrebbe poi potuto fare rientro in patria.
Alla sua produzione poetica fa capo “La Stella di Natale” che può essere annoverata tra le poesie per l’Epifania da conoscere o perlomeno leggere il giorno della Befana. Con i suoi versi, Pasternak ci guida nella scena della nascita di Gesù. Lo sfondo, però, non è quello palestinese: si evince dai versi che fanno riferimento al gelido clima russo, patria dell’autore.
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“La stella di Natale” poesia per l’Epifania
Era pieno inverno.
Soffiava il vento della steppa.
E aveva freddo il neonato nella grotta
Sul pendio della collina.
L’alito del bue lo riscaldava.
Animali domestici
stavano nella grotta,
sulla culla vagava un tiepido vapore.
Scossi dalle pelli le paglie del giaciglio
e i grani di miglio,
dalle rupi guardavano
assonnati i pastori gli spazi della mezzanotte.
Lontano, la pianura sotto la neve, e il cimitero
e recinti e pietre tombali e
stanghe di carri confitte nella neve,
e sul cimitero il cielo tutto stellato.
E lì accanto, mai vista sino allora,
più modesta d’un lucignolo
alla finestrella d’un capanno,
traluceva una stella sulla strada di Betlemme.
Per quella stessa via, per le stesse contrade
degli angeli andavano, mescolati alla folla.
L’incorporeità li rendeva invisibili,
ma a ogni passo lasciavano l’impronta d’un piede.
Una folla di popolo si accalcava presso la rupe.
Albeggiava. Apparivano i tronchi dei cedri.
E a loro: “Chi siete? ” domandò Maria.
“Noi, stirpe di pastori e inviati del cielo,
siamo venuti a cantare lodi a voi due”.
“Non si può, tutti insieme. Aspettate alla soglia”.
Nella foschia di cenere, che precede il mattino,
battevano i piedi mulattieri e allevatori.
Gli appiedati imprecavano contro quelli a cavallo;
e accanto al tronco cavo dell’abbeverata
mugliavano i cammelli, scalciavano gli asini.
Albeggiava. Dalla volta celeste l’alba spazzava,
come granelli di cenere, le ultime stelle.
E della innumerevole folla solo i Magi
Maria lasciò entrare nell’apertura rocciosa.
Lui dormiva, splendente, in una mangiatoia di quercia,
come un raggio di luna dentro un albero cavo.
Invece di calde pelli di pecora,
le labbra d’un asino e le nari d’un bue.
I Magi, nell’ombra, in quel buio di stalla
Sussurravano, trovando a stento le parole.
A un tratto qualcuno, nell’oscurità,
con una mano scostò un poco a sinistra
dalla mangiatoia uno dei tre Magi;
e quello si voltò: dalla soglia, come in visita,
alla Vergine guardava la stella di Natale.
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