Il dibattito sull’insegnamento della lingua siciliana nelle scuole riaccende interrogativi sull’identità culturale e linguistica dell’isola. La Regione siciliana ha stanziato 405mila euro per finanziare corsi di siciliano nelle istituzioni scolastiche, sollevando questioni fondamentali sul valore dei dialetti regionali nell’educazione.
Giovanni Verga, padre del Verismo, quando interrogato sul perché non scrivesse in siciliano, rispose che limitarsi al dialetto avrebbe significato raggiungere solo un pubblico ristretto dell’isola. Questo dilemma tra preservazione dell’identità locale e necessità di una lingua standard rimane centrale nella discussione educativa contemporanea.
Contesto storico e culturale
Il dibattito sull’insegnamento del siciliano affonda le radici nelle riflessioni di illustri letterati. Giovanni Verga, padre del Verismo, scelse di non scrivere in siciliano preoccupato che le sue opere avrebbero raggiunto un pubblico troppo ristretto. Una sorte simile toccò ai poeti dialettali, dai lombardi Porta e Parini, ai romani Belli e Trilussa, fino ai siciliani Tempio e Meli.
Leonardo Sciascia, nelle sue corrispondenze con Pasolini, sosteneva che il dialetto fosse utilizzabile solo in poesia, mai nella prosa o saggistica, incoraggiando i giovani a parlare l’italiano. Questa posizione riflette una consapevolezza fondamentale: la lingua, come organismo vivente, si trasforma continuamente nella sintassi e nel vocabolario, mentre numerosi dialetti scompaiono quotidianamente.
Il siciliano, in quanto dialetto, è caratterizzato dall’uso in un gruppo ristretto di persone in luoghi specifici, senza applicazioni ufficiali. Manca di una grammatica unitaria, di una sintassi comune, di una fonetica standardizzata, e presenta un vocabolario che varia significativamente tra paesi e città dell’isola.
Approccio educativo e didattico
La Regione siciliana ha stanziato 405mila euro per finanziare corsi di siciliano nelle scuole, dimostrando un interesse concreto verso la conservazione del patrimonio linguistico locale.
Tuttavia, emergono criticità significative: l’assenza di una grammatica unitaria, differenze fonetiche e lessicali tra province, e soprattutto la carenza di docenti con titoli specialistici documentabili per garantire un insegnamento qualificato e coerente del dialetto.
Sfide pratiche e linguistiche
Il dialetto siciliano ha subito profonde trasformazioni nel corso dei secoli, influenzato dai cambiamenti socioeconomici che hanno modificato il tessuto culturale dell’isola. L’evoluzione da un’economia prevalentemente agricola a una più industrializzata ha causato la perdita di migliaia di termini caratteristici, rendendo alcune espressioni tradizionali quasi incomprensibili alle nuove generazioni.
Un esempio emblematico di questa complessità si trova in alcuni versi dialettali dell’entroterra siciliano: “Genti di cozzi, di timpi e chiarchiari, cuticunazzi, viddani e pasturi, genti di macchi, zirbi e lavinari”. Questi termini, legati a un mondo contadino ormai scomparso, risultano estranei non solo agli abitanti delle zone costiere ma spesso anche ai giovani delle stesse aree interne.
Le variazioni geografiche complicano ulteriormente il quadro: il siciliano parlato a Palermo differisce notevolmente da quello di Catania o di Agrigento, con variazioni lessicali, fonetiche e persino sintattiche. Questa mancanza di standardizzazione rende difficile stabilire quale versione del dialetto dovrebbe essere insegnata nelle scuole e quali materiali didattici potrebbero essere utilizzati efficacemente.
Ruolo delle istituzioni e prospettive future
Le istituzioni regionali giocano un ruolo fondamentale nella tutela delle varietà linguistiche locali. La regione Veneto, ad esempio, ha sfruttato l’articolo della Costituzione che tutela le lingue minoritarie per formulare una legge che riconosce il popolo veneto come minoranza linguistica, permettendo così l’ingresso del dialetto nelle scuole e negli edifici pubblici. Anche in Sicilia, l’Assessorato dei beni culturali ha aggiunto “dell’identità siciliana” alla propria denominazione, segnalando un interesse concreto verso la salvaguardia del patrimonio linguistico.
Per quanto riguarda l’implementazione pratica, rimane aperta la questione della formazione dei docenti. Sarebbe necessario prevedere corsi universitari specialistici e l’assegnazione da parte del ministero di classi di concorso specifiche con relative abilitazioni. Senza questi presupposti, l’insegnamento del dialetto rischia di trasformarsi in un’attività priva di supporto metodologico e certificazione dei risultati, vanificando lo stanziamento di fondi come i 405mila euro previsti dalla Regione siciliana per i corsi di siciliano nelle scuole.