In Italia, a laurearsi è meno del 30% dei giovani in età compresa tra 25 e 34 anni. Pochi, se pensiamo come tale percentuale in Corea, Giappone o anche solo nella vicina Irlanda sia pari al doppio. Si tratta di una situazione che non può che far riflettere e portare a delle considerazioni. Che Franceso Billari, rettore dell‘Università Bocconi, ha consegnato alle pagine del “Corriere della sera”.
Rettore della Bocconi: “Troppi pochi laureati in Italia”
Secondo Billari, Professore di demografia che è stato docente presso l’Università di Oxford, il Nuffield College e presso l’Istituto Max Planck per la ricerca demografica, il numero di giovani diplomati è cresciuto esponenzialmente anche se non sono venute completamente meno determinate difficoltà, specie quelle che interessano coloro che provengono da strati socioeconomici svantaggiati. E che magari, proprio per la loro svantaggiata estrazione sociale, si orientano verso percorsi professionali o tecnici e abbandonano l’idea di proseguire gli studi universitari.
Molti Paesi, dalla Finlandia al Regno Unito, con una quota di laureati superiore al nostro hanno un sistema basato su una scuola secondaria unica fino a 16 anni, che non costringe le famiglie a compiere scelte con conseguenze di lungo periodo a 13 anni. Nella prima tappa dobbiamo dunque creare percorsi aperti, che lascino più opzioni, e far sì che il più alto numero possibile di studenti giunga al termine con successo.
Ha dichiarato. Ponendo tra l’altro l’accento su come non sia auspicabile avere pochi diplomati che aspirano a proseguire gli studi a livello universitario. La loro quota attualmente si aggira intorno al 50%. Bisogna farla aumentare.
Secondo Billari, i possibili scenari sono ricollegati ad una delle strategie finora adottate in Italia per ciò che concerne l’Università. La prima è quella basata sulla famiglia, e in virtù di questa l’università tende ad “andare a casa” dello studente. La seconda invece mette al centro della questione l’autonomia dei giovani. In questo caso sono gli studenti che si trasferiscono per “andare all’università”. “
Da quanto si può evincere, la strategia che l’Italia ha adottato maggiormente è quella basata sulla famiglia, che non è stata priva di criticità. Sempre basata sulla famiglia, è anche la strategia che propone l’associazione delle università digitali che, a detta del suo presidente Miccoli, prevede un sistema universitario “capillare, flessibile e accessibile”, con una prevalenza della componente online, come la chiave principale per ridurre il gap per i laureati”.
Comunità universitarie per ridurre il gap per i laureati
Che sia questa la soluzione al problema? E’ indubbio che l’apprendimento telematico consenta una flessibilità tale da permettere l’inclusione di tutti gli studenti, sia quelli che lavorano che quelli che si trovano in condizioni personali o familiari particolari.
“Poiché la strategia basata sulla famiglia non ha funzionato, dobbiamo pensare a quella alternativa: un sistema che, in generale, orienti gli studenti ad “andare alle università”, a far pienamente parte, per un periodo decisivo della propria vita, di una comunità di apprendimento. Proprio l’idea iniziale di università inventata in Italia. Va bene avere alcuni atenei con vocazione territoriale, ma è lo standard nella quasi totalità dei Paesi avanzati che ci precedono in termini di quota di laureati. Dobbiamo perciò imparare da loro: con maggiori investimenti sui giovani e in particolare in borse di studio, incrementando in modo deciso l’offerta di residenze studentesche e creando delle vere e proprie esperienze di campus”.
Bisognerebbe insomma creare comunità universitarie, questa la proposta del rettore.
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