Martedì mattina la comunità di Padova si è svegliata con una triste notizia, quella della morte di Riccardo Faggin, uno studente di 26 anni venuto a mancare a seguito di un incidente stradale alla vigilia del giorno nel quale avrebbe dovuto discutere la sua tesi. Ma così non è stato, e a poche ore dal tragico evento si è scoperto che non sarebbe neanche potuto essere, in quanto all’università la discussione della sua tesi non era registrata. Cosa è successo, quindi, al giovane padovano?
Morto in un incidente stradale nel giorno della sua “presunta” laurea
Tutto era pronto per la sua laurea: dal vestito alle bomboniere, persino il regalo. Ma Riccardo non potrà più festeggiare né ricevere doni, perché nella notte di lunedì, alla vigilia di quello che sarebbe dovuto essere un giorno importante nella sua vita, ovvero la discussione della tesi di laurea in Scienze infermieristiche, il ragazzo si è schiantato con l’auto contro un albero, a un chilometro di distanza dalla casa in cui abitava. Si trattava, però, di una bugia che il ragazzo portava avanti oramai da mesi, e non solo con i suoi familiari, ma anche con amici e conoscenti. Una bugia che a distanza di poche ore sarebbe crollata. Ha scelto, così, di non affrontare le conseguenze ponendo fine alla propria vita. Ha detto ai genitori di voler andare a bere qualcosa con gli amici per allentare la tensione. Anche questa una bugia per coprire le sue intenzioni, ed è uscito di casa.
A detta dei genitori, Riccardo, come molti suoi coetanei, era entrato in crisi con il lockdown. Aveva cambiato amicizie e si era bloccato con un esame al quale era stato bocciato due volte. La scorsa primavera aveva poi informato i suoi di averlo superato e di potersi dedicare alla tesi. Ma alla domanda di informazioni circa quest’ultima ha sempre aggirato l’ostacolo dicendo che non voleva farla leggere a nessuno perché si trattava di una sorpresa.
Il dolore dei genitori ” Non abbiamo saputo leggere i segnali”
Intervistati dal Corriere del Veneto, i genitori sono affranti. E si rammaricano di non essere riusciti a leggere i segnali, di non avergli insegnato ad essere più forte, a chiedere aiuto.
Provo vergogna come genitore, e non faccio che ripetermi che vorrei essere un po’ più stupido per non ritrovarmi a riflettere sui miei sbagli, a ragionare sul fatto che forse avrei potuto incidere di più sulle sue scelte. Perché Riccardo si è sentito in trappola e io, in questi 26 anni, non sono riuscito a trasmettergli la consapevolezza che, in realtà, non era solo, che mamma e papà potevano comprenderlo e sostenerlo nell’affrontare le difficoltà che la vita gli avrebbe messo davanti, fallimenti compresi».
Ha dichiarato il padre. Che ha concluso con la speranza che la morte del figlio possa essere di insegnamento ai genitori affinché evitino di caricare i figli, in maniera consapevole o meno, delle loro aspettative.
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