Considerato come i videogiochi, da mero strumento ludico abbiano invaso poco alla volta ambiti dai quali erano stati fin dalla loro origine nettamente separati come ad esempio quello culturale (hanno messo piede, solo per citare un esempio, nei musei) perché non introdurli anche nel mondo della scuola? I videogiochi possono diventare un metodo di apprendimento molto efficace in diversi contesti educativi. O, almeno, così la pensa la sottosegretaria Borgonzoni, che li ha proposti come materia di insegnamento a scuola.
I videogiochi sono cultura, il pensiero della sottosegretaria Borgonzoni
La considerazione viene dopo la pubblicazione del rapporto sui videogiochi in Italia, che ha evidenziato come nella nostra Penisola siano 14,2 milioni i videogiocatori, quasi un terzo della popolazione italiana. Se di questi la stragrande maggioranza ha più di 18 anni, la fascia d’età in cui sono presenti più videogiocatori è quella che va dagli 11 ai i 14 anni. Praticamente una buona parte dell’età scolare.
Secondo la sottosegretaria, l’industria dei videogiochi andrebbe ben oltre l’aspetto ludico e andrebbe incrementata anche nel contesto scolastico. Lungi dall’essere un mero pensiero personale, la Borgonzoni ha aggiunto che si è già all’opera in tal senso: sarebbe già al lavoro con il ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara per implementare i videogiochi nelle classi italiane.
Ha anche dichiarato:
Crediamo che il gaming debba trovare un ruolo sempre maggiore all’interno delle scuole. Il nostro grande sogno è che i videogiochi, così come tutto l’audiovisivo, diventino materia di studio come tutte le altre.
Videogiochi materia di studio
Se una cosa è certa, è che i videogiochi possono essere considerati un metodo di apprendimento tecnologicamente avanzato e altamente motivante. Possono essere utilizzati in programmi educativi per facilitare l’apprendimento degli studenti e migliorare l’efficacia dell’insegnamento in numerose materie. Ma anche per migliorare alcune abilità, come la memoria, l’attenzione, la coordinazione e la destrezza. Naturalmente, è importante che vengano usati in modo appropriato e controllato, con attenzione alla sicurezza e alla salute mentale dei giovani, e che vengano integrati con altre forme di apprendimento per garantire un’educazione completa.
Tuttavia, un’apertura in tal senso è già in atto grazie alla “gamification“, ovvero l’utilizzo di meccanismi di gioco in contesti non ludici per motivare e coinvolgere le persone. Si tratta di una tecnica utilizzata ad oggi in molti campi, come quello del lavoro, della salute e del marketing, per migliorare l’esperienza degli utenti, aumentare l’efficacia delle attività e favorire l’acquisizione di nuove competenze. Perché, quindi, non dovrebbe funzionare anche a scuola? L’obiettivo, in fondo, è nobile, e consiste nel rendere le attività didattiche più divertenti, coinvolgenti e gratificanti, stimolando la partecipazione attiva e l’apprendimento.
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