Cosa sono gli open day e a cosa servono
Avrete sicuramente già partecipato ad almeno un open day nella vostra vita. Quindi, saprete benissimo di cosa si tratta. Eventi organizzati dalle scuole per permettere a studenti e genitori di visitare le strutture e conoscere meglio i servizi didattici offerti da questo o quell’istituto. Durante un open day si può partecipare a tour guidati delle aule, dei laboratori; incontrare docenti, studenti o professionisti per porre loro domande e ricevere informazioni concrete; partecipare a workshop, presentazioni o lezioni aperte per avere un’idea più tangibile delle offerte formative (e, perché no, anche lavorative). Durante gli open day si può fare incetta di brochure, cataloghi e documenti che illustrano i corsi, le opportunità e le modalità di iscrizione.
Sono così efficaci come sembrano?
In apparenza, quindi, questi eventi dovrebbero aiutare a giungere ad una scelta consapevole, da parte degli studenti, della scuola superiore o della facoltà alla quale ci si vorrebbe iscrivere. Il condizionale, però, non è usato a caso. A sottolineare le criticità degli open day, perlomeno per come sono attualmente impostati, ci pensa Maurizio Tucci, Presidente del Laboratorio Adolescenza Milano, in un articolo che porta la sua firma pubblicato su Corriere.it.
Perché gli open day per come sono impostati oggi sono poco utili
Tucci inizia subito col porre in evidenza l’approccio che spinge genitori e figli a partecipare agli open day. Secondo il Presidente del Laboratorio Adolescenza Milano, non sarebbero sufficientemente preparati. Perché se è vero che gli open day dovrebbero servire per fare chiarezza, è anche vero che non siano strumenti miracolosi, specie se non si ha già di base una preferenza. Insomma, è difficile che, partecipando ad uno di questi eventi, si abbia un’illuminazione. Secondo l’autore dell’articolo “la qualità e contenuti degli Open day sono ormai quanto di più omogeneo ed indifferenziato si possa immaginare”.
Le scuole puntano molto sullo sport
Se per quanto riguarda i contenuti gli open day sembrano assomigliarsi molto, è sull’aspetto “coreografico” che gli istituti si differenzierebbero seguendo un po’ la tendenza dei college americani. Ci si riferisce all’accoglienza gestita da studentesse e studenti sorridenti vestiti con la tuta della scuola (che spesso e volentieri riporta il brand della stessa) in modo da far passare il messaggio dell’importanza che, nell’istituto, riveste lo sport.
Non tutte le scuole, naturalmente, sono uguali. Le eccezioni in tal senso ci sono, e non sono poche. Ma anche quando si differenziano in quanto a contenuto, a riportare il tutto su un piano molto più standard ci sono le richieste di informazioni poste dai genitori. I quali, accanto alle domande riguardanti progetti pilota e indirizzi, chiedono anche se la scuola adotta la settimana corta, o quale sia la media necessaria per poter vedere accettata la propria iscrizione. Non meno importante, se da un lato ci si assicura che nell’istituto vigano integrazione e accoglienza, dall’altro si domanda quale sia la percentuale di studenti stranieri iscritti.
In cosa dovrebbero cambiare gli open day
Cosa propone, in conclusione del suo articolo, Maurizio Tucci? Sicuramente non di eliminare questi eventi che hanno comunque del potenziale in quanto un contatto diretto con la scuola che si desidera frequentare è fondamentale. Però, bisognerebbe rivederne i contenuti. Dovrebbero diventare strumenti di approfondimento piuttosto che semplici eventi promozionali. Anche le famiglie, d’altra parte, dovrebbero approcciarsi con una certa consapevolezza, sfruttandoli come opportunità per perfezionare una scelta già in fase di orientamento.
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Foto di Sam Balye su Unsplash