La decisione dell’istituto milanese di sospendere le lezioni il 31 marzo, in coincidenza con la fine del Ramadan, divide opinione pubblica e politica.
A Pioltello, comune dell’hinterland milanese, la decisione di chiudere le scuole per il Ramadan torna a far discutere, come era già accaduto lo scorso anno. L’istituto scolastico locale ha deliberato di sospendere le lezioni il 31 marzo, data coincidente con la fine del mese sacro per i musulmani, motivando la scelta con considerazioni pratiche: nella scuola, infatti, oltre il 43% degli studenti sono di fede islamica, per cui la dirigenza ha descritto la decisione come “realistica e di buon senso”, un modo per garantire una gestione adeguata della giornata scolastica.
Nonostante le motivazioni, però, le critiche non si sono fatte attendere, in particolare dal mondo politico di destra. Il dibattito, come sottolinea il portale ‘OrizzonteScuola’, si concentra sulla necessità o meno di adeguare il calendario scolastico alle festività di specifiche comunità religiose. Tra i detrattori spicca Silvia Sardone, eurodeputata della Lega e consigliera comunale a Milano, che ha attaccato duramente la scelta. “Perché bambini e famiglie non musulmane, in Italia, devono essere penalizzate? Qui non siamo in Pakistan e nemmeno in Marocco”, ha dichiarato in un’intervista a ‘MilanoToday’; l’eurodeputata ha inoltre accusato la scuola di favorire eccessivamente la comunità islamica, citando episodi simili accaduti in altre città, come il divieto di merenda durante il Ramadan a Cremona o corsi dedicati all’uso del velo islamico in un istituto di Abbiategrasso.
La replica e il contesto: tra integrazione e problemi strutturali
La vicepreside dell’istituto di Pioltello ha cercato di riportare il focus su questioni più urgenti, sottolineando i problemi cronici del sistema scolastico italiano. “Siamo al 2 gennaio 2025 e gli alunni della mia scuola non hanno ancora fatto una lezione di tecnologia perché il provveditorato chiama e la gente rinuncia. […] Inoltre, degli alunni speciali perderanno il loro docente di sostegno e tanti altri studenti rientreranno il 7 gennaio senza ritrovare i loro insegnanti di italiano a causa delle nuove nomine”. Le sue dichiarazioni evidenziano una realtà in cui il dibattito su questioni religiose rischia di distogliere l’attenzione dai problemi organizzativi e strutturali del sistema educativo.
Nel frattempo, il Ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara ha ribadito la necessità di una normativa nazionale uniforme. “La futura normativa allo studio non sarà contro questa o quella religione, ma garantirà la difesa della legalità e il principio di non discriminazione fra le religioni e le nazionalità. L’integrazione si fa tenendo le scuole aperte, non chiudendole”, ha affermato Valditara, lasciando intendere che presto potrebbero esserci novità legislative in merito.
Adattamenti regionali: il precedente della Campania
In Italia, la crescente presenza di studenti stranieri rappresenta una realtà consolidata, come dimostrano i dati del report della Uil Scuola Rua, che stimano oltre un milione di alunni stranieri nelle scuole italiane. In alcune Regioni, come la Campania, sono già stati introdotti meccanismi per adattare il calendario scolastico alle esigenze delle diverse comunità. Una delibera regionale del 2023, confermata nel 2024, prevede che le scuole possano disporre adattamenti del calendario scolastico per celebrare importanti ricorrenze religiose o etniche, a patto che queste decisioni siano motivate e concertate con tutte le componenti scolastiche.
Mentre alcune istituzioni promuovono l’integrazione attraverso tali misure, altre vedono in esse un rischio di frammentazione sociale e una possibile discriminazione verso gli studenti non appartenenti a comunità religiose specifiche.
Le prospettive future
Il caso di Pioltello si inserisce in un dibattito più ampio sull’integrazione e sull’autonomia scolastica. La sfida per le istituzioni sarà trovare un equilibrio tra il rispetto delle diversità culturali e religiose e la necessità di garantire uniformità e inclusione in un contesto educativo sempre più complesso. Nell’attesa di una normativa nazionale, le polemiche sembrano per ora destinate a proseguire.