Gli atenei italiani sono diventati teatro di una crescente mobilitazione contro le politiche governative che minacciano il futuro della ricerca accademica. La protesta, che si sta diffondendo capillarmente in tutto il paese, punta il dito contro i tagli all’università e la precarizzazione dei ricercatori imposti dalla ministra Bernini.
Le proteste negli atenei italiani nascono come risposta alle riforme della ministra Bernini, caratterizzate da significativi tagli ai fondi universitari e da misure che accentuano la precarizzazione dei ricercatori.
La mobilitazione si è intensificata in relazione al piano di riarmo europeo e alla progressiva conversione dell’industria verso il settore bellico, aspetti che la comunità accademica percepisce come deviazioni di risorse da investimenti nell’istruzione e nella ricerca scientifica.
Rivendicazioni di studenti e docenti
La comunità accademica si oppone fermamente al ddl sicurezza, in particolare all’articolo 31 che obbliga gli atenei a trasmettere informazioni ai servizi segreti, misura vista come una grave ingerenza nell’autonomia universitaria.
Gli studenti contestano inoltre il piano di riarmo europeo e la conversione dell’industria verso il settore bellico, ritenendo incompatibile questa direzione con i valori della ricerca e della formazione. Tra le richieste emergono maggiori investimenti per la ricerca scientifica, stabilizzazione del personale precario e una netta opposizione alla militarizzazione degli spazi di studio che dovrebbero rimanere luoghi di confronto libero e critico.
Azioni e presidi negli atenei
«Ci siamo mobilitati – spiegano i ricercatori dell’Università di Bologna – per svelare cosa c’è dietro agli atenei italiani: il lavoro precario di migliaia di ricercatori, dottorandi e assegnisti di ricerca che hanno contratti breve, senza garanzie, costretti a cambiare sede in cerca di un contratto»
Anche qui, come alla Sapienza e a Roma Tre, alla mobilitazione hanno partecipato anche molti docenti che hanno tenuto lezioni libere nelle piazze. Alla Bicocca di Milano i manifestanti hanno consegnato una lettera aperta alla presidente della Crui e rettrice Giovanna Iannantuoni che «mette in luce come il problema non sia solo che il contratto di ricerca rende impossibile lavorare ma anche l’assenza di risorse necessarie e di piani per il reclutamento».
Implicazioni per la ricerca e il sistema universitario
Le misure imposte dalla ministra Bernini rischiano di compromettere gravemente il futuro dell’accademia italiana. I tagli ai finanziamenti stanno già provocando una riduzione delle opportunità di ricerca, mentre la crescente precarizzazione obbliga molti ricercatori qualificati a cercare impiego all’estero, accelerando la fuga di cervelli.
La condivisione forzata di informazioni con i servizi segreti solleva inoltre serie preoccupazioni riguardo la libertà accademica, principio fondamentale per l’innovazione scientifica. La riconversione dell’industria verso il settore bellico, contestualmente al definanziamento degli atenei, rappresenta un chiaro spostamento di priorità nazionali dalla formazione verso il militare, minacciando l’eccellenza e l’indipendenza del sistema universitario italiano.